V

3.5K 264 47
                                    

(Wyatt Bell)

Ero fortunata a stare con Andy.

Ero a conoscenza di molti bambini che erano stati mandati in città, a marcire in qualche orfanotrofio o peggio, di quelli che nascevano dentro al Nido senza i geni obbligatori per diventare in futuro dei Dominatori. Erano degli avvenimenti rari, i Dominatori facevano figli con altri Dominatori per non far perdere quella rara inclinazione, tuttavia qualche volta accadeva che un nascituro avesse bloccato stranamente quel potere e non sarebbe stato in grado, nemmeno in tutta la vita sforzandosi al massimo, di controllare un Demone. In quei casi si sceglieva due strade: o l'abbandono o il reclutamento presso altre mansioni minori.

Quando mio padre mi portò qui non mi fece nessun test, chiese di potermi tenere e gli fu accordato. A tredici anni, all'età del mio primo test, uscì che ero di gran lunga superiore a tutti gli altri ragazzi dei corsi sul piano dell'equilibrio mentale.

Un potere naturale e forte.

Da quando John Baskerville morì, in casa rimanemmo solo io e Andy. Vivevamo nel Settore B, nell'anonimo appartamentino del quinto condominio al terzo piano, interno tre. Non c'erano altri ragazzi di sedici anni, molti dormivano nelle camerate militari, ma i sergenti e i tenenti avevano l'opportunità di richiedere una zona per sé, lontano dalla confusione. John Baskerville, che da sempre aveva amato la pace e bramato una zona alla luce per le sue pianticelle, non si schiodò da quell'angusto posto.

Era un appartamento piccolo per tre persone, la cucina dava direttamente sul salotto, c'era un angusto bagno e due camere. Fin da piccoli io e Andy ci abituammo a dividere ogni cosa, spazi, vestiti, giochi e pensieri. Eravamo i diari dell'altro. Quando papà se ne andò per sempre e la sua camera si svuotò, Andy la trasformò in un ufficio, anziché metterci un altro letto e dormire più comodi.

Sviluppammo entrambi la capacità di non poter dormire da soli.

I miei orari non coincidevano con i suoi, uscivo prima di lui per la mia ronda mattutina, mangiavamo insieme nella mensa del Nido, poi lui tornava a casa di sera o di notte, dipendeva dal lavoro affidatogli. Una volta non lo avevo incrociato per ben tre giorni.

Erano più o meno le sette di sera, fuori era già buio e la pioggia aveva smesso di cadere. Il cielo era di un grigio scuro piuttosto brillante, pareva che dietro quelle nubi pesanti ad illuminare la notte ci fossero dei fulmini sordi. La porta finestra era leggermente aperta, i termosifoni erano accesi e producevano un comodo calore. Oltre il vetro, un intenso odore di pioggia mi infastidiva le narici. Avrebbe riniziato da un momento all'altro.

La vita al Nido non si fermava mai, i lampioni erano in funzione, nel campo alcuni soldati passeggiavano tranquillamente senza divisa, i motori delle Jeep rombavano e io osservavo con noia gli steli rinsecchiti della camomilla fuori dal balcone, i petali caduti e il cuore giallo oramai spento, di un tetro marrone.

Saltai giù dal divano e mi osservai i piedi scalzi, sbuffai e mi incamminai nel corridoio, bussando alla prima porta a destra. Entrai un secondo dopo, prima di pentirmene e ritornare sui miei passi.

La vecchia camera di papà era la stanza da letto più grande della casa, ma come ufficio risultava un po' piccola. Forse la mia impressione derivava dalle scartoffie di mio fratello buttate a terra, gli scaffali pieni di libri e la sua poltrona di pelle che occupava quasi metà muro. Aveva i piedi sulla scrivania, le suole degli anfibi poggiate su alcuni documenti e, facendo appello a tutta la mia calma, lasciai perdere.

«Posso parlarti un momento, Andy?» domandai piano, con la schiena dritta e le mani unite.

«No» mi liquidò serio lui. «E non entrare senza permesso.»

RyokkuOnde histórias criam vida. Descubra agora