VIII

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(Louis Mordecai)

C'erano particolari giorni in cui non volevo fare nulla. Non mi sentivo stanca o poco motivata, solo c'erano dei giorni in cui volevo starmene a letto senza dover sentire nulla o parlare. Non ero una persona pigra, ma di tanto in tanto sentivo che avevo bisogno di alcune ore di solitudine e tranquillità per recuperare le energie.

Era passata forse una settimana da quando il Demone mi aveva rifiutata a viso aperto e da allora persino la mia voglia di cercare avventure pericolose si era affievolita. Passavo la maggior parte del tempo sul tetto del condominio e fissavo la natura oltre il Nido, il mondo che non avevo mai visto.

Il Nido era circondato da immensi campi e colline che, osservando sempre più lontano, parevano sollevarsi dalla terra come morbide onde d'acqua verde. Io, che il mare lo conoscevo solo grazie alla televisione e dalle foto dei libri, l'unico colore che assomigliava a quella distesa immensa erano le alture distanti da casa, sfumate di un tetro colore azzurro-blu.

Pioveva, ma era perlopiù una pioggerellina incostante e fastidiosa. Il cielo era ricoperto da uno strato denso di nubi grigiastre, illuminate da un sole esterno. L'aria che tirava era fredda, entro poco l'autunno avrebbe lasciato posto all'inverno.

Tornai a casa e svegliai mio fratello. Russava piano, eppure aveva un sonno davvero profondo e dovetti perderci più di cinque minuti per fargli aprire gli occhi definitivamente. Lui si rigirò tra le coperte e guardò l'ora, poi sbuffò.

Erano appena le sei del mattino.

Mi sedetti sul letto, accanto a lui, e gli pettinai i capelli con le dita. Mi lasciò fare, socchiudendo gli occhi verso di me.

«Vuoi dormire ancora un po'?» gli domandai.

Scosse la testa. «Sai che non posso» bofonchiò con voce impastata e un alito leggermente aspro.

Mi diede un leggero bacio sulle nocche e mi strinse la mano. Amavo i momenti come quelli, di pace e serenità, dove io e lui non eravamo altro che semplici fratello e sorella. Non dovevamo preoccuparci dei nostri assillanti impegni, dei nostri titoli o del fatto che fossimo soli. La cupola che si creava attorno a noi era qualcosa di magico, ma fragile.

«Hai preparato il caffè?» Annuii. «Ti sei alzata presto? Non riuscivi a dormire?»

Alzai le spalle. «Ho fatto un sogno strano» gli dissi.

Lui chiuse gli occhi, godendosi l'ultimo momento di pace. «Ah, sì? E cosa hai sognato?»

«Papà.»

Poche volte ero uscita fuori dalle mura, ma non ero mai stata a Londra né nei villaggi più vicini. Il posto più lontano che avevo visitato era il margine del bosco; sul lato sud c'era uno spuntone da cui si vedeva l'intera pianura circostante, un'ampia discesa di campi di grano e d'erba non tagliata dai restanti contadini. Oltre a quel bosco non c'erano alberi, a parte un enorme castagno su cui mi ero arrampicata tutte le volte che uscivo. Papà mi aveva promesso che ci avrebbe costruito un'altalena tutta per me. Non avevo giochi con cui passare il tempo all'aperto, niente zona bimbi o costruzioni, solo una base militare piena di soldati. Morì prima di adempiere la sua promessa e io smisi di cercare di vedere il mondo fuori dal cancello.

Il Nido mi calzava a pennello. Mi proteggeva.

«Non ne voglio parlare» mi liquidò serio mio fratello, dandomi una leggera spinta per farmi spostare. Si alzò e si infilò i pantaloni sopra le mutande. «Vai a preparare la tavola.»

«Perché non vuoi parlare di papà?» domandai.

Lui strinse le labbra. «Perché è morto, ecco tutto. Parlarne non lo riporterà di certo qui, anzi, conoscendoti, ti farà diventare malinconica. E se tu diventi malinconica vuol dire che dovrò subire i tuoi musi lunghi, perciò mi tengo alla larga da queste situazioni. Diventi una ragazza solo quando hai i tuoi sfoghi da donna» fece, senza cattiveria. «È stato quel Demone a fartelo ricordare? È passata più di una settimana, lascia perdere.»

RyokkuWhere stories live. Discover now