X: La nobile arte dell'origliare

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Laterale o lungo la schiena?, mi chiedo osservando il mio riflesso nello specchio del bagno. Sono quasi le quattro del pomeriggio, ed è dalle quindici e dieci che sono chiusa qui dentro, e anche se non soffro di claustrofobia, non sono mai stata così tanto tempo in bagno. In tutti i libri che ho letto, quando la protagonista sta per incontrare il ragazzo che poi si rivelerà l'amore della sua vita, è sempre casualmente ben preparata, anche se deve andare a fare la spesa. E anche se questa non è una città come Londra o New York, voglio curarmi anche io. Giusto un po'.

Mi sistemo la frangia e alla fine scelgo di tenere la treccia sulla spalla destra. Ringrazio me stessa per aver infilato in valigia all'ultimo minuto il vestito rosso a pois bianchi con lo scollo a barca e poi indosso i sandali. Non ci penso nemmeno a truccarmi perché non sono mai stata molto brava, e devo fare il possibile per non dare troppo nell'occhio.

«El, io vado al bar. Torno tra un po'», entro nel salotto luminoso e trovo la mia amica stesa sul divano con una ciotola di frutta sulla pancia e la mano che insegue un chicco d'uva che continua a sgusciare via fra le sue dita.

«I soldi li hai?»

Annuisco. Avverto già le farfalle nello stomaco. «Non starò via molto», le do le spalle e vado verso la porta di casa.

«Tranquilla, cara, ho un appuntamento importante anche io» ribatte con tono annoiato.

Appuntamento? Mi rigiro di scatto e la guardo. «Con chi?»

«Con suor Angela di Che Dio ci aiuti! Le cose si stanno facendo interessanti.»

Roteo gli occhi. Come ho fatto a dimenticarmi della sua dipendenza dalle fiction? La saluto un'ultima volta, per chiudermi la porta alle spalle, lasciando El in ottima compagnia. Man mano che scendo i gradini sento il cuore battere più velocemente, e non riesco a non sorridere. Devo solo sperare di ritrovare il ragazzo di stamattina, pagare e prendere posto a un tavolo, il resto sarà compito della sorte. In fondo... audaces fortuna iuvat, no?

Mi fermo sulla soglia del portone del palazzo e il mio sguardo si posa sui tavolini de Il sorriso. Rispetto a stamattina, tre di questi sono occupati da una coppia intenta a dividere un gelato, due genitori con un bambino fra le braccia della mamma e due anziani signori che stanno commentando una notizia sul quotidiano utilizzando il siciliano. Che caso, penso, rappresentano esattamente le tre fasi della vita.

Serro la presa attorno alla tracolla e mi fiondo in avanti con forse troppo impeto. Ma è troppo tardi per tornare indietro: devo farlo. Per me... e per la buon'anima di Cicerone.

«Buongiorno...», mormoro appena mi addentro nel bar. Come mi aspettavo, un delizioso profumo di caffè e miele riempiono l'aria, e stavolta in radio stanno trasmettendo Wake me up when september ends. In questo momento una mia compagna di corso impazzirebbe.

Senza perdere tempo a guardarmi intorno, mi avvicino silenziosamente al bancone. Il ragazzo di stamattina è voltato di spalle, intento a sistemare delle tazzine e una fetta di dolce su un vassoio rotondo. Il suo viso è concentrato e le labbra sottili sono serrate, formando una linea curva verso il basso. Poso la mano sulla superficie fredda del bancone e mi schiarisco la voce. «S-Scusami...»

Il ragazzo smette di sistemare i bicchieri d'acqua accanto alle tazzine e si gira verso di me. «Sì? Mi dica... aspetta un momento», nei suoi occhi castani balugina un lampo di rabbia repressa, mentre appoggia entrambe le mani su un ripiano nascosto dal bancone.

«Già, ehm... ciao» forzo un sorriso imbarazzato, sperando che non inizi ad urlarmi contro in siciliano. Anche perché non saprei come ribattere.

Il ragazzo mi guarda serio, le braccia incrociate sotto il petto. «Tu sei la ragazza di stamattina. Mi devi...»

«Lo so, lo so» lo interrompo prontamente e mostro i palmi in segno di resa. Stranamente sembra che mi stia ascoltando. «Mi dispiace, mi dispiace tanto. Ma ho avuto un problema e sono dovuta scappare via. Sono venuta qui proprio per pagare.»

Lui mi scruta da capo a piedi, per poi lasciarsi andare in un sospiro rassegnato mentre si massaggia la fronte. Assomiglia ad El. «Okay, fa niente, non importa.»

Sorrido, improvvisamente sollevata. «Intanto però posso avere un altro caffè?» tiro fuori il portafoglio e lo agito. «Stavolta giuro che lo pago qui.»

Il ragazzo mi guarda a metà tra il divertito e un saccente Eh, direi. Per dimostrargli di nuovo che non avevo cattive intenzioni, pago tutto prima che mi venga servito e, quando il giovane barista mi posa la tazza sul piattino con un rumore cristallino, ringrazio con un cenno del capo e vado a sedermi al tavolo più lontano dall'ingresso. Dalla borsa prendo anche L'arte di amare di Ovidio e posando la testa sul palmo della mano mi immergo nella lettura. Adesso non mi resta che aspettare.

«Hey, Mic, sono io!»

Riconosco il suo allegro tono di voce nonostante la distanza. Sollevo gli occhi dal libro e contemporaneamente il cuore mi arriva in gola e poi torna giù, come se fosse su una giostra. Il misterioso musicista posa la chitarra sulla stessa sedia dello stesso tavolo di stamattina e poi si avvicina al bancone per scambiare due chiacchiere col barista. Visti da qui sembrano provenire da due mondi completamente diversi.

È il tuo momento, Ari.

Mi impongo di distogliere lo sguardo dal suo sorriso e mi alzo dalla sedia, stando attenta a non fare il minimo rumore. Rimetto il libro in borsa e al posto suo prendo una penna che ho raccolto dal mio comodino prima di uscire. Poi, come oggi, scrivo su un fazzoletto di carta la prima frase che mi viene in mente:

Amor tussisque non caelatur

Lo piego fino a ridurlo a una pallina di carta e mi avvicino al suo tavolo con disinvoltura, facendo finta di uscire dal bar quando vengo interrotta dalle loro voci.

«Be', stasera dove vai?» sento dire dal giovane barista alle mie spalle.

«Ho intenzione di suonare qui in piazza» risponde il musicista accompagnato dal suono della porcellana. «Verso le nove e mezza, o le dieci. Sono sicuro che ci sarà una discreta platea.»

Stasera. Suonare. Piazza. Nove e mezza o le dieci. Appunto tutto in mente con precisione maniacale e mi assicuro di aver memorizzato tutto il necessario. Lascio andare il tovagliolo di carta appallottolato appena sono davanti al tavolo del musicista e a passo veloce esco dal bar, mormorando appena un Arrivederci.

Non so cosa il destino stia cercando di dirmi, ma se tutti questi indizi sono opera sua, io li seguirò fino alla fine. A cominciare da questo: stasera si esce.


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