XIII: Abitudine

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Dopo aver lavato i piatti e sistemato le ultime cose nei nostri armadi, io ed El indossiamo il costume e ci incamminiamo verso la spiaggia.

A causa di un piacevole venticello, delle piccole onde vanno avanti e indietro con un suono così bello e rilassante che solo qualcosa di spettacolare e apparentemente infinito come il mare può avere.

Fisso le barche che scivolano sulla superficie azzurra e immagino di essere anche io lì, in mezzo al mare, senza fretta e senza pensieri. Poter avere tutto il tempo del mondo e un mare intero a disposizione, da riempire di pensieri, di speranze e di sogni impossibili.

«Ieri ho comprato delle riviste» El mi sventola un magazine davanti al viso, coprendomi la visuale. «Se vuoi te ne presto una.»

Abbozzo un sorriso. «Grazie mille, ma oggi non sono in vena di leggere.»

«Ma sei in vena di pensare, scommetto» gira la pagina della rivista e si infila gli occhiali da sole.  «È un aspetto della tua personalità molto affascinante.»

Alzo il viso verso il sole e lascio che mi riscaldi dolcemente. «Cogito, ergo, sum, diceva Cartesio. "Penso, quindi, esisto".»

«È una filosofia davvero meravigliosa, ma io credo più nel Mangio pizza, ergo, sum

Rido. «E chi l'avrebbe detta? Sentiamo.»

Alza un sopracciglio e si porta una mano sul petto. «Me medesima» il tono con cui lo dice è così fiero che se avesse una luce alle spalle, El si trasformerebbe nel clone di un qualche eroe mitologico.

Scuoto la testa divertita e mi stendo sul telo. Dovrei rilassarmi, godermi la spiaggia, il sole, le onde, ma per qualche strano motivo non riesco ad apprezzare fino in fondo tutto ciò.

Cerco di distrarmi tornando a leggere per la terza volta L'arte di amare di Ovidio, ma dopo aver realizzato di essere rimasta sulla stessa pagina per quindici minuti, mollo tutto e mi passo le mani in faccia.

Publio Ovidio Nasone, ovunque tu sia, sappi che non mi stai aiutando.

«Dove stai andando?», mi chiede El mentre mi alzo e allontano con la mano i granelli di sabbia sul telo - se c'è una cosa che non sopporto, è la sabbia addosso.

«Vado a sgranchirmi un po' le gambe» spiego lanciando uno sguardo languido alle onde. «Torno presto», tiro fuori dalla borsa il libro e il portafoglio e mi avvio verso il bagnasciuga.

«Mi porti una granita al limone, per favore?»

Mi fermo di colpo e, stupita, mi volto a guardare El. «Come fai a sapere che voglio tornare al bar?»

El si toglie gli occhiali e mi guarda sorridente. «Ogni psicologa conosce i suoi casi umani.»

✨✨✨

Secondo Epicuro, ogni essere umano rispetta le proprie abitudini come cose che gli appartengono intimamente. Ed è proprio mentre ritorno sui miei passi verso Il Sorriso che mi viene da pensare alle sue Lettere sulla felicità.

Che recarmi ogni giorno in quel bar sia diventato parte della mia routine siciliana, questo è un dato di fatto. Ma dopo la tristezza di ieri sera e le parole di El, più che abbattuta mi sento... determinata. Non è detto che tutto sia finito, in filosofia non bisogna mai dare nulla per scontato.
E alla fine, la vita è questione di filosofia.

«Buongiorno» mormoro entrando nel bar e respirando a pieni polmoni il profumo delle brioches.

Come da copione, il ragazzo dietro il bancone - se la memoria non mi inganna, mi pare si chiami Mic - sposta lo sguardo dai due uomini seduti davanti a lui a me. «Credevo non saresti più passata.»

Mi stava aspettando? «Vorrei un caffè e una granita al limone, da portare via.»

«Mhmh?» Incrocia le braccia e mi squadra da capo a piedi.

«Et voilà» Prontamente, mostro il portafoglio e gli sorrido imbarazzata. «Sono armata.»

Sull'ombra del giovane barista si dipinge un piccolo sorriso divertito, poi con un cenno col capo indica i tavoli alla nostra sinistra. «Vai pure.»

Gli sorrido di nuovo e corro a sedermi al mio solito tavolo. Da quest'angolo ho una perfetta visuale del bancone, dell'ingresso e dei tavoli, ma sono anche abbastanza nascosta, e quindi nessuno fa caso a me.

Davanti alla vetrina del bar passano un paio di ragazzi che, a prima vista, scambio per lui, ma il primo era decisamente troppo alto, il secondo aveva i capelli lunghi fino all'orecchio e una maglietta dei Metallica, mentre il terzo era in compagnia di una ragazza dall'espressione accigliata e un crop top fucsia.

Venti minuti dopo, quando ormai ho finito il mio caffè da un pezzo e sto per perdere le speranze, una voce fin troppp nota alle mie orecchie riempie il silenzio con un allegro: «Ciao, Mic!»

Alzo lo sguardo dalle pagine del libro e lo vedo sedersi allo stesso tavolo di ieri.
«Devo parlarti» il ragazzo dietro al bancone agita la mano, e il musicista dagli occhi blu sospira e si rialza. «Non potevi dirlo prima che mi sedessi? È stancante farsi tutta la spiaggia a piedi.»

Ci alziamo quasi nello stesso istante, e mentre lui e il barista iniziano a parlare così a bassa voce da non riuscire a capire cosa si dicono, faccio finta di andare a buttare un fazzoletto e, tornando sui miei passi, lascio sul suo tavolo un tovagliolo di carta su cui ho scritto una delle mie frasi preferite:

Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido

Ogni amante è un guerriero, e Cupido ha il suo accampamento.

Torno al mio tavolo e rimetto il libro nella borsa. Devo solo prendere la granita per El, e poi avrò tutto la giornata libera per rilassarmi in riva al mare.

«Ehi, scusami» sento le dita di qualcuno toccarmi leggermente la spalla. Mi giro e a stento riesco a trattenere un sussulto sorpreso. Non è possibile...

Il misterioso musicista mi lancia un'occhiata incuriosita e mi mostra il tovagliolo di carta aperto, su cui in bella vista c'è proprio la frase di Ovidio. «Per caso è tuo?»

F͏i͏f͏t͏e͏e͏n ͏d͏a͏y͏sWhere stories live. Discover now