XVII: Senza programmi

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Realizzare di star per uscire col ragazzo dei miei sogni mi entusiasmava così tanto che, anche se l'appuntamento era alle otto in punto nella piazza dove l'ho visto suonare, alle sette e dieci ero già pronta.

El, invece... be', El era appena uscita dalla doccia.

Ho legato i capelli in una treccia bassa che mi scivola dietro la schiena, senza dare troppo peso a dei ciuffetti ribelli all'altezza delle orecchie. Mi osservo nello specchio con addosso un vestito rosso a motivo floreale, un regalo di mia madre prima di partire per la Sicilia. Mentre aspetto che El finisca di prepararsi, non smetto di fare avanti e indietro per il corridoio, ogni volta con una camminata. Tornata in cucina per la quarta volta, mi sento una completa idiota, così decido che opterò per l'improvvisazione.

Dopotutto, nella vita se non si improvvisa un po', le cose più belle come accadono?

«Comunque sappi che mi stai facendo violare tutti i miei principi di vita» dichiara El comparendo senza preavviso in cucina. Indossa una camicetta bianca e uno short a vita alta, con due file di bottoni dorati. Continua a sistemarsi i capelli con la mano senza sosta, indecisa tra la riga in mezzo e laterale.

«In che senso?»

Inizia a contare sulle dita. «Divano, anguria e ozio totale: la mia personalissima trinità. E tu mi distrai dalla via della rettitudine.»

«Ma tra i tuoi principi di vita c'è anche stare con la tua migliore amica, giusto?» Metto le mani sui fianchi e la guardo alzando un sopracciglio.

Dalla sua espressione, capisco di aver fatto centro. Prende la borsa dal divano e mi mette una mano sulla spalla. «Ritieniti fortunata» mi guarda per un lungo istante, con occhi socchiusi. «Ti stai facendo tutta rossa.»

Faccio spallucce. «Sarà il caldo.»

«Dì la verità: sei cotta.»

«A puntino, aggiungerei...» guardo dietro El il cielo fuori dalla finestra. Non è ancora scuro, ma è screziato di rosa e di blu scuro, che non è affatto paragonabile all'azzurro degli occhi di Oliver, ma che involontariamente mi fa pensare a lui.

Dopo un lungo minuto di silenzio, gli occhi chiari di El mi scrutano ancora. A risvegliarmi dall'iperuranio ci pensa il suo abbraccio delicato, quasi inaspettato. El non è il tipo di ragazza che ti abbraccia o ti scompiglia i capelli come gesto d'affetto, eppure quando lo fa sembra quasi una cosa naturale, che le appartiene. «Non potevi mentirmi, ogni psicologo ha il suo caso umano. E adesso andiamo a conoscere il misterioso musicista, prima che questo posto prenda lentamente fuoco.»

ღღღ

Avete presente quella sensazione di vuoto nello stomaco quando sta per accadere qualcosa di bello, ne siete consapevoli, e non riuscite a non sorridere?

Ecco, io sono così emozionata che a stento riesco a reprimere l'istinto di saltellare al posto di camminare. La piazza non è molto affollata, solitamente inizia a riempirsi verso le dieci. Lo cerco tra le persone, ogni voce può nascondere la sua, passati cinque minuti ho il timore di aver immaginato tutto, e di aver davvero bisogno di uno psicologo.

«Rilassati, Ari» El cerca di rassicurarmi senza staccarsi da me. Sembriamo Dante e Virgilio che passeggiano per la selva oscura: io in procinto di svenire e lei pronta a rianimarmi.

Verso le otto e dieci, sento una voce chiamare il mio nome. Non è una voce come tutte le altre, la riconoscerei tra mille, anche nel caos di una grande città, anche col rumore della pioggia incessante che mi riempie le orecchie. Mi giro su me stessa e finalmente lui è lì.

Ho incrociato Oliver poche volte, ma in ognuna di queste sorrideva. Anche adesso sta sorridendo, la camicia azzurra si intona coi suoi occhi e da sotto spicca una t-shirt bianca col logo di una band che non conosco. Ma non è di questo che mi importa: per me conta che lui adesso è qui, e non sento più le gambe che mi tremano.

«Sembri rincretinita» mi sussurra El risvegliandomi dal mio sogno «Riprenditi, adesso o mai più.»

Non ho il tempo neppure di pensare a qualcosa da ribattere che Oliver compare davanti a me, mentre con la coda dell'occhio vedo la mia amica allontanarsi da me di qualche centimetro. «Ciao, Ari.»

Ari! Mi ha chiamata Ari! Ricambio il sorriso. «Ciao, Oliver» il mio sguardo si sposta malvolentieri oltre gli occhi del ragazzo più bello della Sicilia e mi accorgo di altre due persone fermo a fissarlo. Una di loro è Michele, con gli occhi annoiati e le mani nascoste nella tasca centrale della felpa grigia, i capelli scuri sono spettinati verso l'alto. Mi squadra attentamente, poi inclina la testa a destra. «Avevi una faccia conosciuta.»

Sorrido appena, mentre Oliver parla al posto mio. «Ragazzi, lei è Ariadna. E questa è la sua amica... ehm...»

El sospira.«Eleonora, molto lieta.»

Oliver la osserva. «Mi sembra di aver capito che ti fai chiamare El.»

«El è per gli amici. Quindi piacere, Eleonora.» Prima che possa proseguire, le assesto una gomitata nello stomaco, e lei a stento riesce a trattenere un verso di dolore.

Oliver sembra interdetto per una frazione di secondo, poi dichiara facendosi da parte, così io mi ritrovo davanti a Michele e altre due ragazze. «Ragazze, vi presento Liliana e Teresa.»

Liliana è alta, con un fisico perfetto, messo in mostra dal crop top nero che lascia scoperte le braccia e il ventre abbronzati e uno short strappato sul davanti. I capelli ricci e scuri sono legati in una coda alta, gli occhi verdi sono segnati solo da una linea di eyeliner e mi scrutano freddi, mentre lei continua a giocare ininterrottamente con il suo piercing al labbro.

Ma se l'approccio con lei non è andato bene, con Teresa va anche peggio. Appena la vedo ho un nodo alla gola.

È la stessa ragazza che ha abbracciato Oliver davanti a me. Eppure non mi guarda con astio, anzi, sembra decisamente più gentile di Liliana. A differenza sua, infatti, appena mi vede sul suo viso (stranamente chiaro) si dipinge un sorriso a trentadue denti. «Lieta di conoscervi!»

Come faccio a provare rancore verso di te se tu sei gentile, maledizione?

«Mi sto annoiando a stare qui» dichiara Liliana appoggiandosi a Michele con un braccio. Lui glielo lascia fare senza muoversi di un millimetro.«Quando andiamo a prendere Fede?»

«Adesso andiamo, Lilia, tanto dal locale non si muove» risponde Oliver girandosi a guardarla, per poi posare di nuovo i suoi occhi su di me. «Un nostro amico lavora in un locale qui vicino, vi va di passare la serata lì?»

Sento le mie guance avvampare.«Certo, volentieri. A te va bene?»

El fa spallucce. «Se si mangia, per me va bene.»

«Mi piace la filosofia di questa ragazza» commenta Michele con un sorriso sghembo.

Liliana storce il labbro e gli mette un braccio attorno alle sue spalle. «Muoviamoci, ho voglia di birra, e poi Fede me ne deve una.»

Lei, Michele e Teresa camminano davanti a noi mentre Oliver resta accanto a me. Siamo così vicini che a volte il suo braccio sfiora il mio, e mi sembra di avere un turbine nello stomaco. La serata è appena cominciata, e mi sa che nulla di quello che sta per accadere potrà mai essere programmato.

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