XIV: Il nome dell'amore

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«S-spiacente, non so di chi sia!» faccio un passo avanti per cercare di seminarlo, ma lui è più veloce di me e si mette davanti, impedendomi di raggiungere l'ingresso del bar. «Ne sei proprio sicura?»

Deglutisco. «Magari lo ha lasciato la ragazza che è uscita pochi minuti fa», abbozzo un sorriso, ma sono talmente tesa che anche una pietra capirebbe che sto mentendo. «Chissà, se sei fortunato riesci a raggiungerla, deve essere andata verso la spiag...»

«Io prima non credo di aver visto nessuna ragazza eccetto te» ribatte inclinando leggermente la testa di lato. Non avrei mai pensato di poterlo dire, ma è anche più carino visto così da vicino, e in questa prospettiva. Torno coi piedi per terra e cerco di pensare a una scusa più convincente, ma pensare così velocemente non mi aiuta per nulla.

Cerco di aggiungere qualcosa di credibile, ma mi ritrovo a rimuginare sulle sue ultime parole. «Aspetta, come fai a sapere che io...»

Il misterioso musicista sorride divertito, e io dimentico cosa dovevo dirgli. Resto a guardarlo mentre si gira di poco verso la vetrata che dà sulla strada e poi indica il suo tavolo. «Forse il tuo tavolo è ben nascosto dal resto dalla sala, ma dal mio lato si vede molto bene.»

Immagino le mie guance che si colorano di rosso e sorrido, guardandolo negli occhi. Sembrano due pozze d'acqua cristalline, ma sono belli come il primo giorno d'estate. Ridacchio, spostando lo sguardo sul bigliettino che regge tra il pollice e l'indice, sempre più indecisa su cosa fare.

«Quindi non sai chi mi abbia lasciato questo, ehm...» riapre il tovagliolo e assottiglia gli occhi. Non è la prima volta che vedo qualcuno fare così davanti a una frase in latino «messaggio criptato?» Alza un sopracciglio.

Rido, arrotolando nervosamente una ciocca attorno al dito. «Forse sì.»

«Allora» continua il misterioso musicista infilando le mani nelle tasche dei jeans «che ne dici se, in cambio delle tue informazioni, ti offro qualcosa da bere?»

Sono così felice che potrei mettermi a urlare e saltellare come una molla per tutto il bar. Ma riesco a contenermi e mi ricordo di respirare, restando nella posizione di prima. «Con molto piacere. Non ho fretta, in fondo.»

Gli occhi del musicista brillano come zaffiri, il suo sorriso potrebbe sostituire la luce del sole. «Perfetto, seguimi», mi fa cenno con la mano di venire verso di lui mentre si incammina verso il bancone. Aspetto qualche istante prima di muovermi, come se l'onda di emozioni che mi ha travolta non mi avesse dato ancora la possibilità di realizzare totalmente ciò che è successo. Sto volando troppo in alto con la fantasia, eppure non posso fare a meno di immaginare un nostro ipotetico incontro anche domani, e il giorno dopo ancora.

«Ah, che sbadato» la sua voce mi riporta coi piedi per terra delicatamente, non come accade con El, o con mio fratello «non ci siamo presentati. Qual è il tuo nome?»

«Ariadna» rispondo facendo un passo verso di lui. La sua maglia profuma di salsedine. «E tu?»

Sorride. «Mi chiamo Oliver» e detto ciò, si avvia verso il bancone con passo deciso.

Oliver, ripeto in mente standogli dietro, e sperando di non cadere proprio adesso. Se l'amore avesse un altro nome, vorrei tanto che avesse il suo.

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