Capitolo 1.

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Come. Cavolo. Era. Possibile.

Quattro parole semplici e concise che racchiudevano tutta la rabbia che sentivo dentro.

Perché io non potevo essere davvero così sfortunata.
Non in questo modo. Non tanto evidentemente.

Perché una dannata biblioteca pubblica, e sottolineo pubblica, non poteva davvero ospitare un evento privato, proprio il giorno in cui scadeva il tempo.

Il mio tempo, le ultime ore, per restituire gli undici libri che avevo preso in prestito, e che erano rimasti sulla mia scrivania per parecchi mesi. Soprattutto a causa del caos pre-laurea.

Praticamente rimasi paralizzata come un'idiota davanti all'entrata principale dell'edificio da poco ristrutturato e rimesso a nuovo, mentre reggevo una vera e propria torre di libri. Se non li avessi avuti lì tra i piedi, giuro che mi sarei presa a schiaffi da sola.

E una multa era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno una neolaureata fresca di licenziamento.

Non sapevo quale evento si stesse svolgendo lì dentro, ma sicuramente doveva essere qualcosa di importante, visto dove arrivava la fila di macchine. C'era dell'incredibile!

Mentre feci dietro front per tornare verso la mia auto, iniziai a sentirmi terribilmente in colpa, visto la fine che avevo fatto fare ai miei ultimi risparmi (spesi per la mia macchina, che necessitava spesso e volentieri di qualche revisione qua e là, e per uno shopping terapeutico a causa dello stress da studio frenetico).

Improvvisamente, come se già non mi sentissi davvero un po' strana e fuori luogo con tutti quei libri tra le braccia, sentii delle urla assordanti provenire da lontano. Un po' come quando Lady Gaga o Johnny Depp sfilavano sul red carpet.

Non ebbi nemmeno il tempo di voltarmi per vedere cosa stesse succedendo, perché venni travolta da qualcuno che cadde sopra di me, facendomi sbattere violentemente contro l'asfalto ruvido e bollente.

Vidi a mala pena i libri volare in aria, e qualcuno di questi cadere dritti sulla faccia del ragazzo che mi era praticamente caduto addosso. Lui si rialzò velocemente, si guardò alle spalle con un certo panico, poi mi afferrò per il polso, e mi trascinò con sé verso il capanno degli attrezzi dell'abitazione di fronte a noi. Tutto, senza che avessi il tempo per metabolizzare e capire cosa stesse succedendo.

Le urla si fecero più vicine, e io ero completamente presa dal panico. Ero contro una parete in cartongesso, al buio, e con il corpo di uno sconosciuto premuto su di me.

Non appena ripresi possesso delle mie facoltà mentali, feci per parlare, ma lui mi mise prontamente la mano sulla bocca, e mi guardò dritto negli occhi supplicandomi di stare zitta. Anche al buio, intravidi il bagliore dei suoi occhi chiari e luminosi.

Era come se con uno sguardo, mi avesse fatto capire di essere in pericolo.

Ma la mia migliore amica diceva sempre che ero una persona esageratamente buona, e che vedevo il buono nelle persone anche quando di buono avevano forse solo la marca delle scarpe.

Quindi, tecnicamente, quello sguardo che io interpretai di terrore, avrebbe potuto anche essere uno sguardo omicida, da pazzoide, o da delinquente. La scelta era ampia, a differenza della mia pazienza.

In quel momento, una folata di aria calda fece socchiudere la porta del capanno, e un fascio di luce filtrò in quel buco dove l'aria stava iniziando a farsi pesante. E c'era una puzza tremenda di vernice fresca.

Guardai lo sconosciuto, e fu come se mi avessero gettato addosso una secchiata di acqua ghiacciata.

Mi trovai davanti il più bel paio di occhi verde/azzurro che avessi mai visto. Non erano molto grandi, ma erano profondi, come l'oceano all'alba.

Guardami (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now