Capitolo 22.

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«... Come inizio, a spiegarti quello che sento?
Un mare di emozioni, alcune che stanno a galla, altre che a volte, la loro stessa intensità, mi fa precipitare a fondo, fino a quando non ritrovo me stesso, fino a quando trovo te

Inspirai, ma non mi fermai nemmeno per un momento. Neppure per riprendere fiato. Nemmeno se cantare, in quel momento, era l'ultima cosa al mondo che mi andava di fare.

«...e l'hanno mai detto che in così poco, non si può?
Ti hanno mai spiegato che è illegale conquistare qualcuno con un semplice sguardo, e il riassunto della propria vita?
Dicevi di non essere interessante, e questo no, non lo sei. Perché mi fai arrivare ad un punto dove l'interesse è il minor sentimento che si possa provare.
E io lascio a te, tutte le altre parole. Perché senza di te, un senso non possono averlo.»

«...E vorrei solo abbracciarti quando vedo il tuo sguardo perso, chissà dove. Vorrei stringerti più forte quando capisco che in quel momento, sei altrove. Chissà, dove sei. Non sei persa in un mio abbraccio, come vorrei. Ma chissà, forse, se non ci sei, mi stai aspettando in quel posto che abbiamo creato noi, chissà dove, chissà quando. Ma io e te, insieme.»

Un sorriso triste e malinconico fu l'unica cosa che riuscii ad esprimere.

Il resto, lo dissero le mie lacrime che cadevano incessantemente sulla sua mano immobile e bianca.

«Chissà, io e te, insieme.» mormorai.

Crollai in un pianto disperato, desiderando con tutto il cuore di star vivendo un incubo.

Mi davo pizzicotti, eppure non mi svegliavo.

L'elettrocardiogramma continuava a mostrarmi i battiti del suo cuore. Lenti e regolari.

Ma c'erano. E quello mi bastava.

L'aria era impregnata dall'odore di disinfettante, e ogni cosa puzzava di morte.

Lì dentro, ero morta un po' anch'io.

E sebbene lui non lo fosse, un'angoscia nuova, prepotente, insistente, non mi mollava un attimo.

Non poter sentire la sua voce era lo strazio più terribile che potessi provare. Non guardare dentro i suoi occhi azzurri e profondi, non leggervi dentro tutto ciò di cui avevo un disperato bisogno, non sentire più il tocco della sua mano, e le parole che lui sapeva usare dannatamente bene, soprattutto quando si trattava di farmi reagire, mi stava lentamente distruggendo.

Ed ero lì dentro da poco più di due ore.

Erano stati inutili gli sforzi da parte delle infermiere, del caporeparto, e persino del direttore.

Io non mi ero smossa da lì nemmeno per un secondo, e non lo avrei fatto fino a quando Camden Walker non avesse riaperto gli occhi e non mi avrebbe rimproverata, dicendomi che dovunque andassi, avrei dovuto portarmi dietro il mio benedetto spray al peperoncino.


Guardami (IN REVISIONE)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora