Capitolo 2.

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Un appuntamento.

Camden mi aveva chiesto un appuntamento.

Esisteva un manuale di parole non dette, per descrivere come mi sentivo? Dopo quella settimana di silenzio, avevo perso le speranze.

E al pensiero che lui avesse realmente paura di poter ricevere un no come risposta, mi fece sorridere.

Assurdo, dal momento che non ero riuscita a smettere di pensarlo dal giorno del nostro incontro. Sì, era uno sconosciuto. E sì, ci eravamo incontrati in un modo un po' strano ed insolito. Ma gli appuntamenti non servivano proprio per conoscersi?

«Che ne pensi di questo?» domandai sconsolata, guardandomi allo specchio.

Lily scosse la testa, e fece il pollice in giù.

Era il quarto vestito che scartavamo, e stavo davvero iniziando a pensare che quella sera avrei dato buca a Camden per mancanza di idee e vestiti.

«D'accordo, questo era il numero quattro. Che si fa? Non ho il guardaroba di Victoria Beckham. Non troverò mai niente di adatto.» piagnucolai, passandomi nervosamente una mano tra i capelli.

«Aspetta. Fammici pensare un attimo.» farfugliò. «Le grandi idee necessitano di tempo.»

Mi buttai sul letto accanto a lei, e iniziai a fissare il soffitto, pregando di trovare una soluzione.

Non sapevo perché ero così eccitata ed impaziente di uscire con Camden, ma avevo provato una strana, piacevole sensazione con lui.

«Ho trovato!» si alzò di scatto. «Ricordi il vestito che comprammo insieme, quello che hai messo per la cena di beneficenza a cui ha partecipare tuo padre la scorsa estate? Quello ti stava da Dio! E ti faceva delle tette spettacolari.»

Mi alzai improvvisamente. «Sei. Una. Fottuta. Genia! Ti Adoro!» mi buttai su di lei e l'abbracciai.

Lily era un asso. E il mio appuntamento salvo.

«Sei bellissima, tesoro.» disse mia madre, non appena mi vide scendere le scale.

Sapevo che diceva così perché ero la sua fotocopia in tutto e per tutto. Stesso taglio degli occhi, capelli biondo ramato, occhi verdi tendenti al castano, e il naso all'insù leggermente schiacciato.

In compenso, però, era grazie a mio padre che era nato il mio amore per la musica e il mio carattere passionale e determinato. Se il mio essere esteriore era la fotocopia di mia madre, nel profondo, ero decisamente Noel Butler.

Mio padre lavorava come arrangiatore per un noto produttore discografico, quando ero più piccola. E oltre a conoscere ovviamente il linguaggio musicale, era un asso con le parole. Forse era stato questo a far innamorare così la mamma. Dopo anni di carriera come arrangiatore, decise di voler qualcosa di più tranquillo e meno impegnativo, visto l'arrivo delle piccole di casa. E così si ritrovò ad avere a che fare con la musica, anche se in un contesto differente. Iniziò il suo lavoro come editore musicale, e da lì la sua carriera fu una lunga serie di successi.

«Mi sento un po' troppo...elegante.» bofonchiai, lisciandomi il vestitino.

Mia madre mi liquidò con un gesto della mano. «Stai benissimo, Phoebe, davvero. Lascia perdere le tue inutili paranoie.» mi accarezzò una guancia, sorridendo. «Mi ricordi tanto me da giovane. Avevo un vestito proprio simile a questo.» tirò un sospiro, poi mi disse di aspettarla lì, mentre cercava la foto con quel vestito.

Mi guardai allo specchio, e osservai il mio vestito verde Tiffany che arriva poco sopra il ginocchio. La leggera scollatura dietro la schiena non lo rendeva volgare, e il fiocchetto all'altezza tra la spalla ed il seno gli dava un'aria sobria ed elegante. Decisi di non usare scarpe alte, perché avevo bisogno di sentirmi a mio agio, e così optai per dei sandali dorati eleganti con delle pietre gioiello con il tacco basso.

Guardami (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now