Capitolo 16.

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«Oddio sei ancora più bello dal vivo, Feather!!!» gridò una ragazzina ricciolina, di lato a lui, scompigliandogli i capelli. Un gesto che, potei notare dalla faccia sconvolta di Samuel, doveva infastidirlo parecchio.

Insomma, lui poteva anche essere il loro cantante preferito, ma con quale autorizzazione invadevano così tanto la sua privacy, la sua persona?

«Ti prego fammi un autografo qui!» gridò un'altra, indicando la sua maglietta sgualcita di una vecchia band anni '80.

«Feather, ti do il mio numero!»

In men che non si dica una folla si accalcò su di noi, o meglio, su di lui, lasciandomi in disparte. Lo vidi circondato di donne di qualsiasi età, che gli gridavano la qualunque, iniziando da un autografo, e finendo con un invito a cena o in un hotel nelle vicinanze. Quasi rabbrividii, capendo in che diavolo di situazione mi trovassi.

In quel momento, per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, avevo percepito la distanza tra il suo mondo e il mio. Lui era esposto perennemente a delle tentazioni, a pericoli, a nuove avventure, ad esperienze eccitanti. Mentre io che cosa avrei potuto offrirgli, se non una banale normalità?

Mi risvegliai dai miei pensieri, pronta a correre per chiamare Evelyn, ma per fortuna la vidi venire verso di me.

«Ma cosa diamine succede? Ho sentito che Feather è qui!» gridò, eccitata come una ragazzina.

La guardai di traverso. «Evelyn, si dà il caso che in questo momento Feather» calcai bene il suo nome d'arte, «sia in una situazione piuttosto scomoda, non credi? Ha bisogno di aiuto. Dobbiamo togliergli tutte quelle ragazzine di dosso.»

«Sì, accidenti ragazza, hai ragione. Scusa. Mi sono fatta prendere dall'eccitazione. Sai, è la prima volta che lo vedo di persona.» mi diede una spallata, con la voce ancora sovraeccitata.

Le mostrai un sorriso di circostanza, poi le chiesi una cosa che fece cambiare il suo sguardo. Mi guardava come se fossi una svitata.
Due minuti dopo, stavo salendo su uno sgabello, con un megafono in mano e un'adrenalina in corpo che non avevo mai avuto.

«Ragazze!» urlai a pieni polmoni.

Dovevano essere almeno trenta persone, intorno a Samuel. Forse anche di più.

Sta di fatto che solo due si voltarono verso di me, e mi accorsi che non erano fan. Erano paparazzi, con tanto di fotocamera in bella vista e uno sguardo agghiacciante. Erano assetati di notizie.

Accidenti. Come cavolo era possibile che fossero già stati informati dell'arrivo di Feather?

Sentii una mano toccarmi la schiena, e quando mi abbassai, Evelyn arricciò il naso. «Maledetti paparazzi. Ce n'è sempre uno o due appostati qua fuori, in attesa che qualcuno prenoti una serata. Sai, qui facciamo spesso eventi dal vivo, e molti cantanti organizzano delle piccole serate di beneficienza quando si trovano qui a San Francisco. Sono come avvoltoi, ragazza. Mi terrorizza il modo in cui lavorano.»

Cercai di prestare poca attenzione alle parole della commessa, l'unica persona amica in quel posto, nonostante fosse una mezza adolescente in preda agli ormoni, quando si parlava di Samuel. Non dovevo farmi prendere dal panico, lui aveva bisogno di me.

«Evelyn.»

«Sì?»

«Prendi il microfono.»

Mezz'ora dopo, Samuel era seduto dietro una vecchia scrivania in legno a firmare autografi e a fare foto con le sue fan.

Il numero di ragazzine e di donne era quadruplicato. La voce si era sparsa prima ancora che potessimo evitare quella catastrofe, e così, la calca di gente era in fila ad attendere il proprio turno.

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