Capitolo 17.

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Il terzo giorno a San Francisco fu un sogno che si realizzava.

Con macchina fotografica alla mano, e Jolanda di lato, mi avventurai per le strade della città che mi aveva sempre affascinata.

Quella mattina prendemmo il Cable car, il tram tradizionale della città, e percorremmo California Street, una delle arterie principali della città. Jolanda mi impedì tassativamente di stare seduta, e mi fece appendere fuori dal tram, proprio come facevano nei film. Ridemmo e scherzammo come se ci conoscessimo da una vita. Proprio come era successo con suo figlio, pensai. Con la stessa familiarità.

Prendemmo la linea Powell-Hide, partendo dal capolinea di Market Street, e scendemmo alla fermata Columbus Ave & Lombard St, e raggiungemmo la nostra destinazione in meno di cinque minuti.

Arrivammo a Lombard Street stanche, ma felici. Quando raggiungemmo il tratto di Russian Hill, Jolanda mi strappò la macchina fotografica dalle mani, e mi scattò una serie di foto, con il bellissimo paesaggio come sfondo. Macchine e moto che facevano zig e zag giù per la strada, e un mucchio di aiuole fiorite e colorate. Quel tratto mi fece venire in mente una delle scene finali di "Prima o poi mi sposo" con Jennifer Lopez, che aveva un appartamento proprio in quel tratto di strada.

Pranzammo allo Split, nel 2300 Polk Street di Russian Hill. Jolanda mi disse che non potevo venire a San Francisco senza aver provato uno dei loro piatti particolari. Diceva che erano i migliori della zona.

Presi un piatto strano, ma delizioso: lo Split cobb, fatto con pollo arrosto, pancetta affumicata, avocado, pomodorini, gorgonzola, uova, erba cipollina e salsa ranch.

Niente di dietetico, ma era ottimo. E per la prima volta dopo tanto, mi tornò l'appetito.

Dopo esserci riposate, riprendemmo il nostro giro per le strade di San Francisco.

Jolanda mi portò a visitare il Golden Gate Park.

Il tempo sembrava stare dalla nostra parte, e nonostante fosse una bella giornata, l'aria era fresca e ci permise da camminare parecchio. All'interno del parco affittammo due biciclette, ed esplorammo il Japanese Tea Garden, un giardino giapponese con bonsai, ruscelli e statue tipiche della cultura giapponese. Dopo di che, andammo anche a vedere l'acquario della California Academy of Sciences.

Più visitavo quella città, e più me ne innamoravo.

Era una città con un'immensa attività culturale che non avrei mai voluto smettere di esplorare. Mi sentivo nel mio mondo.

E in quel momento, seduta ad ammirare il verde intorno a me, dimenticai ogni problema.

Mia madre, la mia amnesia, l'incertezza per il mio futuro, il domani delle mie sorelle. E Samuel, che quella mattina aveva lasciato un biglietto sulla scrivania in camera di Amélie, dicendomi che quel giorno sarebbe stato impegnato in una riunione con il suo manager e la sua addetta stampa, e che avrei trascorso la giornata con sua madre.

Non che mi dispiacesse trascorrere una giornata con Jolanda, ma detestavo i muri che Samuel stava mettendo tra di noi.

«Non ho più l'età di una volta.» sospirò Jolanda, sedendosi di lato a me sotto l'immensa quercia nel parco. «Sai, una volta, quando ero ragazza, venivo sempre qui a studiare. Sì, lo so, era un posto un po' insolito per studiare legge, soprattutto perché qui è sempre stato zeppo di turisti. Eppure, soprattutto nel tratto del giardino giapponese, riuscivo a concentrarmi su ciò che dovevo fare. Questo era praticamente il posto in cui mi rifugiavo per scappare dal mondo. Sembra un posto fuori da San Francisco. Un po' come essere in mezzo alla foresta Pluviale. Alberi, natura, aria che odora di margherite, tulipani e fiori selvatici.» osservai la sua espressione assente, un po' turbata.

Guardami (IN REVISIONE)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora