XVII - 31 Dicembre, Giorno 29

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Secrets

Pink Floyd – Wish You Were Here

EREN

Non c'è niente di bello o che mi faccia provare sollievo nello scorrere del tempo. Qualunque persona su questa Terra spera sempre che, con il nuovo anno, possa realizzare nuovi obiettivi ed essere il bersaglio prediletto delle attenzioni della dea bendata, ma dal mio punto di vista questa è sempre stata la concezione sciocca di chi è troppo accecato dall'ottimismo. In fondo non cambia mai nulla, se non la data sul calendario; semplici numeri, nulla di più. Non mi sono mai fatto false illusioni e speranze, o ancora posto mete che, semplicemente, non sono in grado di raggiungere. No, quest'anno probabilmente non starò meglio, non sarà il mio anno, probabilmente non riprenderò in mano le redini della mia vita. Armin dice che sono pessimista, ma personalmente preferisco la definizione di realista convinto.

Sto male, uno schifo totale, mi sento debole, fragile come un fuscello in balia del vento delle mie emozioni.

Non prendo farmaci da cinque giorni.

Non è difficile non farsi scoprire: butto giù l'acqua mista all'ansiolitico, ma non ingoio mai quelle pillole colorate, nascondendole sotto la lingua o appiattendole contro il palato. Non so perché lo stia facendo, forse perché lo sussurrano i miei demoni, o forse per semplice noia.

Nulla di questa serata sembra risplendere della fiducia e della speranza che tutti ripongono nel nuovo anno. Tutti i colori che mi circondano sembrano sbiaditi, così come le risate e le battute scambiate sulla quella tavolata imbandita a festa mi giungono ovattate e distanti. Ma sono ben consapevole che non è il mondo ad essersi affievolito attorno a me: sono io ad essere spento.

Prendo pigramente e controvoglia una forchettata di lenticchie e cotechino e me la porto alla bocca, trangugiandola velocemente, quasi senza masticare. Non ho voglia neanche di sentire i sapori, se mangio è semplicemente per puro spirito di sopravvivenza; anche respirare sembra uno sforzo immane, che volentieri rifiuterei di compiere. Sasha non sembra del mio stesso parere, visto che rivolge occhiate languide a ognuna delle tante pietanze sparse sul tavolo. Rico, seduta al suo fianco, ha il compito delicato di razionare le sue porzioni, visto il suo particolare e malsano rapporto col cibo.

Eppure c'è qualcosa che non sbiadisce e che non perde colore in mezzo a quello scempio che creano le mie emozioni: non importa quanto il resto della stanza il mondo intero sembrino evanescenti e fatui, il suo sguardo su di me è quanto di più concreto e carico di emozioni vere e taglienti possa esistere. Mi scuote l'animo di brividi freddi e caldi al tempo stesso che mi fanno accapponare la pelle, e non stacca quelle iridi in tempesta da me, guardandomi come se volesse imprimere con un marchio a fuoco ogni dettaglio del mio corpo nella sua mente.

Ogni tanto ho risposto alle sue occhiate e lasciato che le mie labbra si piegassero timidamente nella sua direzione, ma ho smesso di farlo non appena ha ricambiato il mio gesto con uno dei suoi rarissimi mezzi sorrisi, facendomi arrossire visibilmente. Ora mi limito a fissare il piatto e a piluccare i legumi di tanto in tanto, rigirandomi la forchetta fra le dita con un profondo solco fra le sopracciglia e il labbro inferiore fra i denti. Neanche il mio finto disinteresse mi aiuta a togliermi di dosso la sensazione di quello sguardo sul mio.

È bruciante e dilaniante come fuoco su ghiaccio, mi colpisce con la stessa forza di un fulmine scagliato a terra alla massima potenza, pervadendomi da testa a piedi con la sua elettricità. Non presto attenzione ai discorsi degli altri ragazzi, alle loro risa intrise di spirito festivo, e sfuggo alle occhiate colme di preoccupazione che Mikasa mi riserva di tanto in tanto. Liquido le domande di Erwin e di Rico con cenni secchi delle mani e del capo, mormorando nervosamente qualche monosillabo se proprio non posso farne a meno.

BORDERLINE - Ereri/Riren -Where stories live. Discover now