XXIII - 14 Febbraio

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My Valentine

Aerosmith - I Don't Wanna Miss A Thing

LEVI

“Divertitevi, Levi-bro! Salutaci Eren!”

Mi urla dietro Isabel, agitando una mano nella mia direzione, mentre con l’altra tiene ben salda al petto qualche cartella clinica dei ragazzi.

“E poi vogliamo i dettagli, non ti scordare! Non avrai via di scampo!”

Esordisce la quattr’occhi, e alzo gli occhi al cielo in esasperazione al suo commento, non lasciandomi sfuggire il modo in cui Erwin tiene una mano delicatamente poggiata sulla parte bassa della sua schiena. Non credo che la loro relazione sia più un segreto, devono aver deciso di ufficializzare le cose per permettersi un gesto del genere davanti ad altre persone.

“Non me lo sciupare!”

Continua Nanaba, mentre traffica da una stanza all’altra con le braccia cariche di test diagnostici e scatole di farmaci. Non ribatto a nessuna di quelle provocazioni lanciate con sguardi maliziosi e insistenti ed Erwin mi rivolge un’occhiata compassionevole all’ennesimo commento su quella che sarà la mia serata.

Ho invitato Eren a cena. Diciamo pure che potrei aver prenotato un tavolo per due al miglior ristorante di pesce di Shiganshina e che potrei passare a prenderlo fra un’ora sotto casa sua.

Rivolgo un saluto generale a tutti, ignorandone gli sguardi irritanti e ancora colmi di domande. Le lancette sul mio orologio da polso scorrono veloci e inesorabili; avrò a malapena il tempo di passare a casa per una doccia e per darmi una sistemata, per poi fare rotta verso il fioraio e per ricongiungermi con il mio moccioso dagli occhi verdi.


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“Ma come siamo eleganti!”

È il commento di Carla non appena apre il massiccio portone in legno della villetta di casa Yeager. I suoi capelli sono raccolti poco sopra la nuca in una crocchia disordinata da cui sfuggono alcune ciocche ribelli e i suoi occhi d’ambra, luminosi come sempre, la fanno sembrare radiosa. Ma due profonde occhiaie segnano la sua pelle ambrata e capisco immediatamente la preoccupazione, assorbendola nell’anima come fosse la mia: Eren stanotte ha avuto una crisi.

Mi ha chiamato al telefono, dicendomi di vedere solo il rosso del suo sangue e che tutto sembrava svanire attorno a lui, perdere di significato; mi ripeteva che era solo, urlava parole orribili contro sé stesso, mi implorava di non abbandonare il mostro che era. Al pensiero di essere stato così lontano da lui in un momento marchiato da una disperazione simile, mi sono sentito morire dentro di una morte lenta e dolorosa, talmente agonizzante da sentirmi annientato.

“Grazie Carla.”

Ribatto al suo commento, e lei mi fa strada guidandomi fino al grosso divano bianco davanti al caminetto. Prendo posto, togliendomi il pesante cappotto in lana nero dal taglio sartoriale e stando ben attento a non sgualcire la giacca dello stesso colore, poi adagio piano i fiori sul piccolo tavolino in legno scuro, stando ben attento a non farne sciupare i petali delicatissimi. La signora Yeager imita i miei gesti, scrutando con espressione divertita e compiaciuta il piccolo bouquet. Non è una vera e propria composizione floreale: sono solo due fiori, ma i più belli che sia riuscito a trovare e che nascondono un grande significato, più profondo di qualunque mazzo strabordante di rose scarlatte. E dallo sguardo di Carla, i lineamenti del viso aggraziato e minuto distesi, posso dedurre con certezza che conosca le mute parole impresse in quei petali.

BORDERLINE - Ereri/Riren -Where stories live. Discover now