In una fredda e nebbiosa sera di gennaio, che erano al massimo le otto e trenta, una bimba di nome Dalyla Blacksilver mise piede per la prima volta nell'illuminato atrio dell'istituto di New York.

Si sentiva incredibilmente piccola, dinanzi a quell'enorme struttura. Oltretutto, contrariamente a come avrebbe dovuto, la presenza di sua madre non la rassicurava affatto, al contrario.

Solo all'ingresso, appena entrati attraverso la porta in ebano, sulla quale erano incisi dei simboli arcaici, si respirava già un'aria frenetica quanto professionale.

Non era propriamente l'ideale di una bambina ancora immersa nell'età infantile, ma dopotutto era incuriosita.

Ostacolata da una profonda timidezza, si era tuttavia plasmata alla madre, come se avesse paura che potesse scappare, che la lasciasse in quel posto sconosciuto, che la abbandonasse alla tutela di perfetti stranieri...

Neanche il tempo di formulare questi pensieri, che  accorsero, destreggiandosi tra i mille oggetti presenti, un' allegra e bellissima bimba -che scoprì di nome Isabelle- e un bimbo adorabilmente imbronciato, di nome Alec.

La madre di quest' ultimi dipinse un sorriso amorevole per Dalyla, che in risposta strinse più forte la gamba di Corinne, il suo unico genitore.

Quando però, la bimba appena arrivata incrociò lo sguardo del moro corrucciato, più per istinto che per educazione sorrise tra le sue marcate fossette.

La madre, dopo poco si allontanò, dandole un piccolo calcetto forte quanto bastava per farle perdere l'equilibrio e cadere, guarda caso, sul bimbo visto in precedenza.

Lui si alzò e l'aiutò a farlo sorridendole "Io sono Alec Lightwood, e lei è Izzy Lightwood" Disse porgendole una mano che  afferrò prontamente.

"Dalyla Blacksilver"  li informò, poi rivolse uno sguardo ad Isabelle che la prese simultaneamente per un braccio "Sarà bello avere una sorella!" le sussurrò.

Nell'innocenza tipica delle bambine, si scambiarono il primo di innumerevoli abbracci.

Per un istante,
Corinne era stata accantonata, colmata temporaneamente, e da gesti d'affetto puro, sconosciuto.
Che peccato, per un solo istante.

Trascorsero giorni, difatti.
Avrei voluto tanto dire di aver scordato, archiviato mia madre. Solo a sentirla, la frase è comica.
Fu difficile. Fu semplicemente troppo.

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"Tesoro vieni qui!"  Esclamò Robert Lightwood a Izzy, che si allontanò lasciando Alec e Dalyla soli, nella sala adibita all'allenamento. Era quella ultimamente, la loro casa. Vi trascorrevano un tempo infinito, tirando pugni, agitando spade, scagliando frecce, schivando colpi. Se lì giungevano carichi, ne uscivano a pezzi.

"Lec! Secondo te quale sarà la mia arma prediletta?" chiese dalyla ad Alec.
"La balestra, è ovvio Lyla!" constatò lui.
"e tu userai l'arco?" Chiese la bimba
"mh.. sì. Sono armi simili come noi, no?" Chiese Alec.

La bimba sorrise concorde e lo strinse.

Lo facevano sempre.
Il moro sapeva che quello fosse il modo della bionda per fargli capire quanto tenesse a lui: l'ultima persona, escludendo Isabelle, che aveva mai abbracciato così, era stata sua madre, sei anni prima. Era una sorta di discorso implicito, non espresso, che recitava qualcosa tipo: "ehi, sei così importante per me mi stai aiutando a convivere con la perdita di mia madre, grazie!"

Dal canto suo, Alec, dimostrava alla bionda il suo affetto, permettendo unicamente a lei di stargli a quella distanza minima. Erano tante le cose che dovevano restare tra loro due, a dir la verità.
Ad esempio: spesso si rifugiavano nel giardino fuoristante alla prigione dell'istituto, sfruttandone il silenzio e la quiete per rilassarsi sulle note di vecchie canzoni, memoriali di gesti eroici compiuti dai loro predecessori.

You Can Cry [Alec Lightwood/shadowhunters] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora