Capitolo 1

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Non credevo che questo giorno sarebbe arrivato davvero. È la classica situazione in cui non riesci a realizzare ciò che ti sta succedendo, i cambiamenti imminenti, finché non ti ci ritrovi catapultata dentro e la mente è un vortice di pensieri e il corpo uno sfarfallio di sensazioni. È quando scendo dal treno e metto piede dentro la stazione che realizzo davvero che ciò che ho aspettato per quella che sembrava un'eternità, è finalmente qui. Non sono ancora uscita dalla stazione, ma già so che tutto sta per cambiare. 

"Ti piacerà, vedrai" mi avevano detto tutti, "Bologna è una città bellissima e accogliente".
Prima del grande giorno, ero stata a Bologna già un paio di volte: la prima perché ero di ritorno dall'aeroporto e ho deciso di fare un salto in città, la seconda è stata una diretta conseguenza della prima, perché è stato amore a prima vista.
Cerco di catturare ogni dettaglio mentre cammino per le strade, verso quella che sarà la mia nuova casa. Bologna è una città molto diversa e allo stesso tempo molto simile alla mia: le vie del centro, il pavimento ciottolato, l'arte, la cultura, la gente ad ogni angolo; ma nella mia città non ci sono quei portici stupendi che ti accompagnano ovunque quasi fossero braccia pronte a proteggerti, e le case non sono così rassicuranti come quelle dai colori caldi che ci sono qui. È una città che dà allegria e calma e ti fa sentire come a casa, una sensazione che non ho mai provato così intensamente prima d'ora.
"Renderà più calda anche una persona fredda come te" mi rimbomba in testa la voce di mia madre, che l'ha toccata piano come sempre, e nella mia mente srotola, come fossero su una pergamena antica, tutti i motivi per cui la scelta che ho fatto è – anzi deve essere – quella giusta: devi studiare se vuoi trovare lavoro, ormai anche una laurea triennale non ha più valore, la magistrale è la scelta giusta, solo altri due anni e poi avrai finito e bla bla bla. La verità è che la magistrale è solo una scusa per giustificare la mia fuga: la vita di prima iniziava a starmi stretta.

Fortunatamente la residenza universitaria non è molto lontana dalla stazione e in una quindicina di minuti sono riuscita a raggiungerla a piedi. L'edificio è nuovo ed è bellissimo, di un rosso intenso, un po' in tinta col resto della città. Sogno già ad occhi aperti la mia vita universitaria e il mio futuro qua.
All'entrata la responsabile degli alloggi mi saluta e mi chiede come sto, ci eravamo già conosciute in precedenza durante le convocazioni quindi riesco a parlare e a rompere un po' il ghiaccio, giusto il tempo di una conversazione al volo prima che lei mi lasci davanti alla porta della mia stanza con le chiavi in mano e un piccolo opuscolo con le "istruzioni per la convivenza". Appena se ne va mi fiondo in camera e mi chiudo la porta alle spalle. Tiro un sospiro di sollievo: la stanza è ok. Anzi, è molto meglio di quanto mi aspettassi, nonostante l'aspetto un po' troppo spoglio e minimale che ha in questo momento, sono sicura che riuscirò a renderla più accogliente. Lascio le valigie accanto al letto e decido di andare ad esplorare la struttura con il manuale a portata di mano.
Passo davanti agli spazi comuni, le sale studio con le macchinette del caffè e una specie di biblioteca, poi i bagni, la cucina, la sala da pranzo e mentre osservo ogni area ne leggo il suo regolamento: turni per le pulizie, orari di silenzio, vietato il pernottamento ad esterni, rispetto degli ambienti comuni. Non mi aspettavo niente di diverso, e l'idea di vivere da sola, così lontana da casa, è elettrizzante.

«Ciao! Ragazza nuova?» mi richiama una voce. È una ragazza dai capelli scuri, ricci ed incredibilmente lunghi, seduta sul divanetto vicino ad una macchinetta del caffè, mentre ne sta sorseggiando uno. Non capisco se la sua sia un'affermazione o una domanda, ma decido comunque di rispondere.
«Sì» mi ha presa alla sprovvista e sono un po' in imbarazzo, «si nota tanto eh?».
Lei mi sorride. «Soltanto un po', ma ci sono passati tutti».
Mi fa cenno di sedersi accanto a lei e mi chiede se voglio un caffè, quando rifiuto e le rivelo che non mi piace, lei strabuzza gli occhi castani come se stesse parlando con un essere mistico, e poi mi dice: «Aspetta e vedrai».
Ci mettiamo a chiacchierare e scopro che si chiama Lucrezia, viene da un paesino vicino Bologna e non qui alla residenza. La notizia mi rattrista un po', pensavo di aver trovato una persona con cui trascorrere le giornate qua dentro. In realtà vive con sua zia, che abita da sempre a Bologna e non molto lontano da qui – questo mi rallegra. Viene fuori che frequenta il corso di comunicazione – molto simile a quello che seguivo io nella mia città – ma che non sa se continuerà in futuro perché è già fuori corso. Io, d'altra parte, sono qui per studiare cinema; più che la parte visiva a me interessa la parte scritta, la sceneggiatura, ma non ero riuscita a trovare niente di completo ed abbordabile nella mia città e quindi ho provato ad ottenere una borsa di studio qui.
«Beh, ti è andata di lusso» constata Lucrezia «ma basta parlare di università, andiamo in centro che ti porto a mangiare nel locale più frequentato di tutta Bologna». Non era nei miei programmi uscire già la prima sera, ma Lucrezia parla di hamburger straripanti di formaggio fuso e patatine e io non riesco a rifiutare.

Portami sui colli bolognesiOù les histoires vivent. Découvrez maintenant