Capitolo 10

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«Possibile che non ti puoi tenere lontana dai guai nemmeno per un giorno?» Thomas inizia a rimproverare Alice, ma io sono distante, la mia testa è altrove. Mi sono scottata per niente, per le stupide parole di un grandissimo stronzo. Eppure brucia.

«Che è successo?» sento Thomas rivolgersi a me, e io rimango a guardarlo imbambolata.

«Elena, cazzo, che è successo?» richiede, iniziando a perdere la pazienza. «Hai comprato ancora erba?» È tornato a guardare Alice.

Infilo le mani in tasca, abbasso la testa, e inizio a camminare, non so nemmeno io con che meta.

«Ehi, ehi, aspetta!» mi rincorre Alice.

«Per la millesima volta, ti avevo chiesto di parlarmi prima di fare cazzate, devi finirla di far di testa tua!»

Alle parole di Thomas mi blocco, mi rigiro verso i due ragazzi e sbotto: «Lo so che ti senti responsabile, Thomas, ma vuoi sapere la cruda, cara verità? Non lo sei. Non sei responsabile di Alice, non sei il suo fottuto angelo custode, e lei è matura abbastanza per prendere le decisioni da sé». Alice cerca di nascondere un sorriso, che vedo sparire subito quando la guardo dritto negli occhi: «E tu, proprio perché sei grande e vaccinata, usa un po' quella testa. Vedi che sono persone pericolose? Giraci alla larga! Che cazzo ti ha dato Marco, prima?»

«N-niente...» risponde lei, quasi impaurita dal mio sfogo.

«Sono l'amica più brava e buona del mondo, ma non sono una cogliona. Ora, vuoi continuare a negare l'evidenza – perché sì, Alice, ti ho vista infilarti in tasca quella cazzo di scatoletta –, o vuoi dirmi cosa ti ha dato Marco?»

Alice estrae la piccola confezione di metallo dalla tasca dei jeans, e me la porge. La apro e alzo le sopracciglia, sconcertata, quando vedo una serie di pasticche ben ordinate al suo interno.

«Droga, Alice? Droga?» le chiedo, provocandola.

«Shh, parla piano, cazzo!» mi intima lei.

«Che pasticche sono?» chiedo ancora.

Alice non risponde.

«Di cosa sono, Alice?» insisto, con tono tagliente.

«Ecstasy» sussurra allora, fissandosi i piedi.

Richiudo la scatoletta e torno indietro per rientrare nel nostro palazzo, faccio le scale a due a due dal nervoso e mi ritrovo a far scattare la serratura della mansarda, seguita da Thomas e Alice, entrambi preoccupati per la mia reazione.

Raggiungo il bagno, riapro la scatola, e sono pronta a buttarne giù il contenuto nel wc.

«Ti prego, ti prego, non farlo, ci ho perso un sacco di soldi, ti prego, c'è un'altra soluzione!» mi supplica Pede, con le lacrime agli occhi.

Richiudo la scatola, incrocio le braccia, e attendo spiegazioni.

Thomas prende un fazzoletto di carta e lo passa ad Alice, apre il frigo e ci prepara tre bicchieri d'acqua. Ci sediamo tutti e tre, aspettando che l'agitazione del momento venga smaltita.

«Cosa pensavi di fare? Prenderne un paio e spacciare il resto?» chiedo, la voce di colpo stanca e strascicata, visto che nessuno dei due si degna di parlare per primo.

«Non volevo prenderne» mi risponde Alice. La guardo scettica. «È che sono soldi facili» ammette poi; ma a me sembra molto più una scusa che altro, soprattutto dopo le parole che si è lasciata sfuggire la sera prima, fatta e sfatta com'era.

«C'è sempre un'altra soluzione» dico, e credo lei capisca che non mi riferisco solo ai soldi.

D'ora in poi la terrò d'occhio.

Non voglio che Alice prenda 'sta roba. Per quanto la conosca da poco, mi sono già affezionata a lei.

Lasciamo trascorrere i minuti senza nemmeno guardarci in faccia. Condividiamo un silenzio che parla da solo.

«Cosa ne facciamo?» Thomas rompe quel silenzio assordante, accennando con la testa alle pasticche.

«Non sono sicura di riuscire ad affrontare Marco un'altra volta» mormora Alice, e, per la prima volta, la vedo davvero fragile. «Non è mai facile dirgli di no, è per questo che ci ricasco sempre, alla fine. Se non lo faccio, non la finirà mai di rompermi le scatole» ammette, gli occhi bassi sulle dita che rigira, facendole ogni tanto scrocchiare.

«Ci penso io.» Mi butto questo fardello sulle spalle, ben consapevole dei rischi.

Alice non riuscirà ad affrontare quegli stronzi da sola, e Mas ha troppa paura di essere coinvolto. Non dico non abbia le palle, credo solo che qualcosa lo spinga a non invadere troppo il campo. Qualcosa deve essere successo pure a lui, a causa di quella gentaglia, penso, cercando di trovare in fretta una soluzione.

«Che hai intenzione di fare?» mi chiede Mas, gli occhi castani spalancati.

«Parlerò con Ryan, mi deve delle scuse.»

Io le cose me le lego al dito.

«Ti accompagno» si offre Thomas, lasciando trapelare dell'agitazione nella voce, e io non ribatto.

Mezz'ora dopo, lasciamo Alice rannicchiata sulla sedia di legno che non ho più spostato da sotto la finestra. Thomas ed io raggiungiamo il famoso civico 32, e suoniamo al campanello di Ryan.

Nessuna risposta.

«Sei sicuro che sia già tornato?» chiedo a Mas.

«Sì, l'ho visto entrare mentre parlavo con Pede, alla finestra.»

Suono al campanello di Nonna Lavi. Mi basta entrare nell'ingresso e salire su, al massimo gli lascio la scatola davanti alla porta.

Non me ne frega un cazzo. Tanto qui non ci abita nessuno, se non la nonnina.

Ed eccola ad aprirci, i capelli grigi arricciolati, corti sopra una testa tondeggiante ricoperta di rughe. Due occhialini stretti, il collo quasi inesistente, e la stessa tosse, che le avevo già sentito raschiarle i polmoni in precedenza, ad accompagnare ogni suo movimento, oltre che ogni sua parola.

«Ragazzi, cosa succede? Nessuno suona mai al campanello di questa vecchia» ci chiede, sospettosa. Non facciamo in tempo a rispondere che lei continua: «Ah, tu sei quella nuova, ricordami il tuo nome, cara, qui l'età avanza in fretta».

«Elena, signora, Elena Astini» rispondo, impaziente.

«Bene, bene... Thomas, caro, guarda...»

«Nonna Lavi, non posso fermarmi al momento» dice lui, come se avesse già capito la ragnatela in cui è finito.

«Guarda qui, questa stupida lavastoviglie non funziona più» lo ignora lei, indirizzandolo all'interno del suo appartamento. Trattengo un sorriso e cerco di sparire sulle scale, prima che la nonnina incastri pure me.

Con il fiatone, arrivo all'ultimo piano del palazzo, davanti a una semplice porta scura. Cerco di far calmare il ritmo del mio cuore, che non la smette di rimbombarmi nel petto. Prendo in mano la scatoletta e busso alla porta.

L'espressione di Ryan sembra quasi stupita, quando mi apre. In un'istante, però, quel sorriso provocante e lo sguardo minaccioso riprendono possesso del suo volto.

«Cosa ci fai qui, ragazzina?» mi chiede in tono serio.

Alzo la scatoletta, così che possa vederla, e ribatto: «Hai dimenticato qualcosa».

«Non ho dimenticato un cazzo, sono affari della tua amichetta» si rabbuia. «Vattene, ho di meglio da fare» conclude, chiudendomi la porta in faccia. Lo blocco all'ultimo, infilando il piede all'interno, come aveva fatto lui nel mio appartamento.

«Sei sicura di voler entrare, piccola?» si diverte a prendermi in giro.

Spingo la porta con tutta la forza che ho in corpo, e lui la richiude dietro di noi con un colpo secco.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now