Capitolo 37

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«Lasciami stare» mugugno, coprendomi la testa con il cuscino.

«No, col cazzo» sbraita Alice, mentre cerca di tirarmi via il cuscino dalle mani.

«Avanti, sono due giorni che non ti alzi dal letto! Abbiamo lezione tra un'ora» continua, con un volume decisamente troppo alto per i miei gusti.

«Non ci vengo a lezione. E ridammi le mie chiavi di casa.»

Mi giro dall'altro lato e mi raggomitolo meglio sotto le coperte.

«Che cazzo ti è successo, Elena? Dai, su, non farti pregare» sbuffa lei, borbottando qualche maledizione a bassa voce di tanto in tanto. Inizia a tirarmi via le coperte, poi mi prende dalle braccia, e io non ho nemmeno la forza di contrastarla, triste come sono.

«Sono solo stanca, lasciami in pace.»

«Senti, lo so che Ryan è un coglione, ma non puoi buttare le tue giornate così. Devi. Andare. Avanti» esclama, scandendo per bene le ultime parole, tra la fatica di tirarmi giù dal letto e quella di capire cosa dirmi per farmi stare meglio.

«Mh.»

«E soprattutto, devi andare al lavoro.»

«Non vado nemmeno al lavoro.»

«Non è che hai molta scelta, dolcezza.»

«Perché no?»

«Perché sei povera, come me, e non puoi permetterti di perdere il lavoro per un deficiente che non sa riconoscere di essere innamorato perso di te!»

Alle sue parole, mollo la poca resistenza che stavo facendo per rimanere sdraiata a letto.

Alice si ferma di colpo, ma vedendo la mia espressione distrutta, prosegue subito: «Ti dobbiamo trovare un ragazzo figo, ma serio. Niente più bad boys nella vita di Elena Astini! Dovrà essere gentile, romantico, rispettoso. Dolce, simpatico. Figo l'ho già detto?»

«Può essere figo quanto vuoi, ma se non ha le palle, a lei non piace. Bisogna saperla prendere, quella ragazzina» interviene una voce bassa e magnetica. Alice si raddrizza e, con un movimento che non riesco a cogliere, mi butta definitivamente per terra.

Oh, cazzo, penso, quando realizzo la figura di merda appena fatta.

Esisterà mai una vita senza figure di merda, per me? Mi chiedo, mentre metto a fuoco il viso di Ryan che sorride malizioso nella mia direzione.

«Non è che se trovi la porta aperta sei libero di entrare, sai? Che cazzo vuoi?» chiedo, mentre mi rimetto in piedi. Mi schiarisco la voce, cerco di riordinarmi i capelli, e muoio d'imbarazzo quando mi rendo conto di essere in mutande. Alice rimane zitta e ferma, a passare i suoi occhioni da cerbiatto da me a Ryan, con la bocca mezza aperta.

Dopo averle lanciato un'occhiataccia, mi concentro su Ryan, che se la sta prendendo comoda nel rispondermi. Lo vedo perso a squadrarmi le gambe nude, il bacino e la pancia appena scoperta dalla canottiera attillata e stropicciata.

Fa schioccare la lingua, alza leggermente le sopracciglia, e dice: «Dobbiamo andare al lavoro».

«A lavoro con te non ci vengo. E poi il mio turno è tra tre ore» rispondo, incrociando le braccia.

«Abbiamo bisogno di una mano, adesso. Alice, sei la benvenuta. Qualcuno ha avuto la brillante idea di festeggiare da noi un compleanno, Mate da solo non ce la fa.»

«Non hanno prenotato?» chiede Pede.

«Tu non ci lavori nemmeno lì, se aiuti Mate una sera non significa che sei assunto» lo rimprovero io. Mi sembrano tutte cazzate.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora