Capitolo 23

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RYAN

È bella, cazzo se è bella, penso, mentre la guardo togliersi il vestito. Cerca di coprirsi il più possibile, ma non sa che così facendo rende tutto più speciale.

Le ragazze, di solito, mi si spogliano davanti agli occhi. Si posizionano di fronte a me, si sfiorano le braccia, si slacciano i vestiti, fanno il possibile perché io mi goda lo spettacolo; ma Elena, lei è così diversa.

Chissà come è andata, la sua storia. Essere violentata a quattordici anni, per forza poi non si è più fatta avvicinare.Non riesco a togliermi di dosso l'espressione che aveva mentre me lo raccontava.

Che cazzo di inferno, che schifo l'uomo che l'ha fatto. Un pezzo di merda, senza orgoglio, senza ritegno.

Mi riscuoto dai pensieri, Marco mi sta aspettando. Vorrei che quel coglione si svegliasse una buona volta, l'avevo appena conquistata. Mi ha interrotto proprio quando era lei, a voler andare oltre.

Quanto le stava piacendo, cazzo, penso, prima di aprire bocca.

«Vai a dormire, devo fare una cosa» le dico, sbloccando di nuovo il cellulare.

Il messaggio è ancora una volta di Marco.

"Muoviti, è un bel casino."

«Dove vai?» mi chiede lei. Ha gli occhi spalancati, sono dello stesso blu del mare, quando non si vede il fondo. Ogni volta che finiscono sul mio corpo, le si dilatano le pupille.

È confusa, combatte così tanto contro la voglia che ha di avermi. La sua testardaggine mi fa impazzire. È l'unica che ha saputo tenermi testa, nessuno si sarebbe mai permesso di offrirmi una cicca dal mio stesso pacchetto. Incredibile quanto mi fa scattare il suo modo di fare, come quando ha tirato dalla mia sigaretta dopo avermela tolta senza fretta dalle mani; e come mi ha fatto perdere la testa, stasera alla festa, mentre ondeggiava il bacino con la sua amichetta.

«Ci metto dieci minuti, fa' come ti dico» le indico il letto, sperando mi ascolti. Fa sempre di testa sua, fa la stronza, anche se non lo è davvero; ma la cosa di sicuro incentiva, si scontra con me, fa la difficile, e ogni volta che lo fa, accende ogni mia singola parte.

Se la sua espressione cerca di non lasciar trasparire il suo dispiacere nel vedermi andare via, il suo respiro e il suo cuore, che vedo rimbalzare dalla vena sul collo, dicono tutto il necessario.

Esco dalla camera, nervoso. Sono comunque preoccupato per Marco. Alla fine gli avevo detto io di indagare su quel tizio. È così preso da queste ricerche, che continua ad attaccare briga con chiunque. Non che la cosa mi dispiaccia, siamo io e lui contro tutti quando litighiamo con qualcuno, e sa bene quanto mi piaccia fare a botte, ma stasera proprio non ci voleva.

Arrivo alla macchina, la metto in moto, l'adrenalina che inizia a salire. Faccio retromarcia, per poi partire sotto il rombo del motore, slittando sull'asfalto bagnato.

Ritorno a casa di Alessandro, quel coglione neanche si immagina quanto spaccino i suoi amici del cazzo. Al mio arrivo, trovo una piccola folla ammassata nel giardino mezzo buio, non riconosco chi sta tirando pugni a chi.

«Fanculo, stronzo, questi non erano gli accordi» esclama un ragazzo dalla voce strana, chiusa.

Mentre mi avvicino, Marco si rialza da terra. Deve averle prese per bene.

Questo tizio è fatto, penso, vedendo il ragazzino perdere l'equilibrio.

«E questo si fa considerare il capo?» chiedo a Marco, prendendo per il culo il tizio, che pare gestisca un piccolo giro di MDMA nei dintorni. Mi domando come si faccia a mettersi in prima fila per spacciare, se poi ci si droga più di quelli che la droga te la comprano. A una festa, poi.

«Sì, ma picchia bene comunque. Forse la nostra roba è troppo buona» dice Marco, asciugandosi il viso dal sangue e dalla pioggia con l'orlo della maglia.

«La tua roba, non tirarmi in mezzo.»

«Solo perché ci hai piantati in asso, stronzo.»

«Lo sai che ci siamo dentro solo per mio fratello» proseguo, mentre il ragazzo barcolla verso di noi. Al solo pensiero di Alex mi carico di rabbia.

Il tizio strafatto mi fissa, sputa e mi sfida: «Sei tu Ryan, vero?»

«Non credo proprio tu voglia saperlo» mi limito a dire. Squadro la gente che ci circonda, e urlo: «Fuori dalle palle, ché qui abbiamo da fare. Tornatevene a casa».

Nel giro di un minuto, siamo solo noi tre e Alessandro, che cerca inutilmente di farci entrare in casa per evitare guai con i vicini.

«Siete solo dei codardi» torna all'attacco il tizio.

«Che hai combinato?» mormoro a Marco, scuotendomi i capelli sempre più bagnati per via del temporale.

Doveva solo capire che contatti aveva, se poteva c'entrare qualcosa con l'incidente, penso, imprecando in silenzio.

Mai una volta che mi ascolti, cazzo.

«Gli ho dato solo metà roba. Quando ho visto che ha iniziato a prenderla, ho pensato bene di non dargli il resto, non credevo sarebbe rimasto fissato con la metà mancante. Speravo non capisse più un cazzo» mi spiega Marco, parlando a una velocità assurda. «Ma almeno l'ho tenuto buono per la parte migliore» prosegue, tirandomi una pacca sulla spalla.

«E va bene, facciamola finita» gli dico, sperando di liberarmi di quel peso in fretta.

Prendo il tizio dal colletto, schivando un suo pugno. Gliene tiro uno dritto sul naso, lasciandolo cadere a terra. Non contento, mi si avvinghia alla gamba, cercando di farmi cadere. Mi godo il confronto, ma non riesco a evitare un suo colpo, sullo zigomo destro.

Arretro, incazzato. Faccio segno a Marco di tenerlo, come sempre in queste situazioni, così da levarmelo dai coglioni una volta per tutte.

«Di già?» chiede il mio amico. Gli sorrido, se non avessi quella ragazzina sul mio letto me la sarei presa comoda.

«Te l'avevo detto che ho da fare» affermo, finendo il tizio con una ginocchiata nello stomaco. Il ragazzino si accascia, dolorante. Marco si strofina le mani, mi tira un'altra pacca sulla schiena, e saluta Alessandro.

«Alla prossima» dice, facendogli l'occhiolino. Alessandro si limita a scuotere la testa, si accende un'altra sigaretta e aiuta il tizio a riprendersi.

Ritorno all'auto insieme a Marco, che non esita a entrare dal lato del passeggero.

«È la ragazzina, vero?» mi chiede, compiaciuto.

«Dimmi che cazzo hai scoperto.»

«Che palle, tanto lo so che te la fai.»

«Non me la faccio, avanti parla.» Non so nemmeno io perché stia mentendo al ragazzo che considero il mio unico vero amico. La verità è che sto morendo dalla voglia di tornare a casa proprio per lei.

«Pare ci sia un uomo che gestisca tutta la zona. E con tutta la zona, intendo anche i nostri carichi. Bisogna solo continuare a risalire la scala, prima o poi arriveremo alla fonte.»

«Dimmi qualcosa che non sappia già.»

«C'è un tizio con cui potremmo parlare, pare sia un gradino più su sia di me sia del ragazzino di prima.»

«Hai un nome?»

«Non quello vero, ma a quanto ho capito lo chiamano 'Il Barba'.»

Rimango in silenzio. Ogni volta ho questa sensazione che qualcosa non torni. Mi immergo nei pensieri mentre accelero, facendo i cento sul vialone che porta dall'altro lato della città. Lascio Marco sotto il suo appartamento, e sfreccio verso casa, sperando che Elena sia ancora sveglia.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now