Capitolo 47

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«E tu chi cazzo sei?» tuona una voce sconosciuta alle mie spalle, e, subito, dei rumori provenienti dalla stanza, che immagino essere l'ufficio del Barba, mi fanno capire che anche lui e Ryan l'hanno sentita.

Rimango impietrita davanti all'uomo snello e incurvato, con gli occhi rossi e la cera pallida. Faccio un paio di passi indietro, maledicendomi quando finisco con la schiena proprio di fronte alla stanza.

Poi, tutto succede molto velocemente: il colpo di una pistola attira l'attenzione dell'uomo che mi ha scoperta sulle scale, e anche la mia. Faccio l'errore di voltarmi verso la stanza, alla ricerca di Ryan. L'uomo allampanato ne approfitta per raggiungermi, strattonarmi e tirarmi uno schiaffo. Poi, mi scaraventa a terra. Sbatto la testa sul pavimento lurido, emetto uno strano suono per il dolore dell'impatto, e di traverso vedo Ryan uscire dalla stanza. Con i pugni pronti a colpire, il tizio allampanato si fionda addosso al ragazzo del 32.

Non ho tempo per pensare a cosa possa aver combinato Ryan là dentro, con la pistola che tiene salda in mano. Mettendomi seduta, la testa frastornata, afferro il cellulare, che a momenti mi cade dalla presa tremante. Mentre vedo Ryan fare a botte con il tizio lungo e macabro, digito il numero della polizia sulla tastiera.

«Cannaregio, non so dove di preciso» dico con la voce strozzata alla tizia dall'altro lato del telefono, che in modo freddo e distaccato mi ha chiesto per prima cosa dove mi trovo.

Sento altre voci provenire dalla base delle scale, e l'unica soluzione che ho è rialzarmi e correre verso Ryan, che sta dando un altro pugno all'uomo allampanato, ora accovacciato a terra dolorante. Lascio perdere la telefonata proprio quando la donna mi sta chiedendo qual è la situazione di pericolo per cui ho chiamato.

Come cazzo te la spiego, ora, la situazione di pericolo? penso, mentre Ryan mi afferra il polso, prima che possa mettere piede nella stanza del Barba.

Non sono riuscita a vedere che cosa possa aver colpito Ryan, con quel colpo di pistola. Non sono riuscita a vedere chipossa aver colpito. A dire il vero, non sono nemmeno sicura che a sparare sia stato lui, ma ho bisogno di sapere se può davvero averlo fatto, se può davvero aver sparato al Barba. Ho bisogno di sapere se mi posso fidare di lui, se il ragazzo del 32 è capace di fare del male, o se può averlo fatto solo per difesa. Voglio sapere se ha ferito Il Barba, e voglio saperlo subito.

Cerco di liberarmi dalla sua presa, invano, ma si ritrova costretto a lasciarmi andare quando un altro degli scagnozzi del Barba, un ragazzo che a vederlo sembra poco più grande di Ryan, si scaraventa su di lui, spintonandolo. La loro lotta prende sempre più consistenza, e io ne approfitto per entrare nella stanza da cui arrivava la discussione tra Ryan e Il Barba.

Inspiro, tremante, e mi concedo qualche istante per riprendermi dalla caduta, sperando che le lacrime pronte a uscire dietro ai miei occhi non mi tradiscano. Ancora una volta, i mostri del mio passato tornano a farmi visita, richiamati all'appello dalla violenza che ho appena subìto.

Mi guardo intorno, il respiro ancora affannoso. L'ufficio del Barba è fatto di pochi metri quadri, con al centro la scrivania instabile su cui era seduto prima e una vecchia libreria a contornare una parete. Una poltrona logora come le tende alla finestra spalancata, come la maggior parte delle cose in questa cazzo di città. Però, nessuno dentro.

Chiudo rapidamente la porta alle mie spalle, attutendo le grida e i colpi che provengono dal disimpegno. Mi avvicino a passi lenti alla scrivania, con solo l'adrenalina a spingermi ad andare oltre. Non so se sentirmi più leggera, o se preoccuparmi ancora di più, quando mi rendo conto che davvero Il Barba non c'è. Mi affaccio alla finestra aperta, osservo lo stabile grigio di fronte e la sua vicinanza. Anche lì, una finestra aperta, proprio davanti a quella della stanza in cui mi ritrovo.

SOTTO LE PERSONEOù les histoires vivent. Découvrez maintenant