Capitolo 43

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RYAN

«Non avevi fretta? Perché non rispondi?» mi incalza Thomas, vedendo che non escono parole dalle mie labbra. Tiro su col naso, mi scompiglio i capelli e mi do una mossa a rispondere.

«Voglio la tua pistola» dico, in modo diretto e freddo. La sua espressione sorpresa e fintamente ingenua mi fa abbozzare un sorriso provocatorio. Dopo essersi ripreso si incupisce e guarda alle sue spalle, forse assicurandosi che Elena se ne sia andata davvero e non abbia sentito.

C'è sempre qualcosa sotto le persone, mi ripeto nella testa, mentre arretro. Thomas mi segue, mettendosi le mani in tasca.

«Dove stiamo andando?»

«Facciamo solo un giro per parlare. Magari mi mostri dove posso trovare Il Barba.»

«Che vuoi fare?» La sua voce si incrina, preoccupata, alla fine della domanda. Fisso il vuoto di fronte a me, la verità è che non so nemmeno io di preciso cosa farò, una volta che sarò dal Barba, con la pistola in mano e la rabbia nelle vene.

«A che ti serve la pistola?» insiste il ragazzo che cammina a passi svelti di fianco a me.

«Voglio solo essere preparato in caso dovessi difendermi.»

Alle mie parole, Thomas si zittisce. Approfitto del silenzio per lasciar scorrere i miei pensieri; nonostante tutto, Elena è sempre in cima alla lista.

«Dove la tieni?» chiedo, dopo un paio di minuti.

«Non ti serve saperlo. Te la posso dare domani sera, tempo di recuperarla senza che nessuno mi veda.»

«Va bene, domani sera da me. Io devo risolvere una cosa con mio padre, perciò non so a che ora riesco a esserci, ma chiedi la chiave a Lavinia per entrare, lei te la darà.»

«Perché non l'hai chiesta a Marco, la pistola?»

«Perché ho bisogno di parlare col Barba senza che lui lo sappia.»

«Che ha combinato?»

«Non lo so ancora, ma sospetto qualcosa di troppo grosso per lui.»

«Ti serve una mano?»

«Nah» scrollo le spalle prima di proseguire, «mi sento già abbastanza responsabile per non essere riuscito a salvare il tuo migliore amico. Non so cosa ci trovasse Alex in te, ma non posso metterti in mezzo ancora. Sei sempre stato di grande aiuto, ora però tocca a me. Ho già messo in mezzo abbastanza persone.»

«Non è colpa tua, Ryan. Alex ha fatto le sue scelte, mi dispiace solo che non sia venuto da me, o da te, se aveva davvero dei problemi come pensi.»

Lascio che siano i rumori della notte a rispondere per me. Il ragazzo ha toccato un tasto dolente, e non posso perdermi dentro ai miei sensi di colpa, non in questo momento.

Mi tiro su il cappuccio della felpa, sperando di nascondermi almeno un po' dalla sensazione di non essere stato un bravo fratello. Evito le idee che si aggirano sempre nella mia testa, quelle che mi dicono che se avessi prestato più attenzione ad Alex, le cose sarebbero andate diversamente; quelle che mi dicono che se avessi avuto un rapporto migliore con mia madre, ci sarei stato anche io con loro su quell'auto, e avrei potuto salvarli in qualche modo. Quelle idee che affossano la colpa su di me, sulle mie mancanze in famiglia, sulla mia difficoltà nell'avere un qualsiasi tipo di relazione con le persone, persino con chi mi ha dato la vita.

Sono sempre stato troppo impegnato a pensare a me stesso, senza mai riuscire a vedere cosa stavano vivendo gli altri. Non sono stato in grado di vedere la cazzo di strada che aveva preso Alex, non sono stato in grado di essere un buon esempio, perché in quella strada ci ero finito anche io. Non sono stato in grado di vedere la sofferenza di mia madre, che non aveva nessuno su cui contare, né suo marito, né i suoi figli. Non sono stato in grado di salvarli, e questo basta per mettermi con le spalle al muro.

Mi fermo per accendere una sigaretta, sto fumando troppo in questi giorni, ma ormai non me ne frega proprio un cazzo. Noto Thomas guardarmi contrito, pare voglia chiedermi qualcosa, ma esita.

Gli lancio una delle mie occhiate sperando non apra bocca, ma lui si fa forza, e mi chiede: «Stai pensando a lei?»

Quasi mi brucio con l'accendino, che mi scivola dalle mani.

Ci penso sempre, a lei.

«Anche fosse? Te l'ho già detto, facci quel cazzo che vuoi, non mi interessa.»

«Lo sappiamo entrambi che non è così.»

«Dovresti solo esserne felice, visto che le sbavi dietro da quando è arrivata.»

«Perché, tu no?»

Mi limito a squadrarlo male, spero tanto se ne stia un po' zitto. Non sono io che devo sostituire mio fratello nella loro amicizia, che si trovi qualcun altro con cui parlare e sfogarsi.

«È persa per te, Ryan. È distrutta, per te.»

«Perché credi ti abbia chiesto di starle vicino?»

Thomas sospira e si tira su gli occhiali da vista.

«Anche se accettasse quello che provo per lei... lo so che non ricambierà mai pienamente.» Le sue parole mi lasciano un certo amaro in bocca. Che cosa dovrei rispondere, a una affermazione del genere?

«Cerca solo di non farla soffrire» riesco a dire. Stento a riconoscere la mia voce, da quanto è flebile.

Quella ragazzina è la mia rovina, penso, sentendomi invadere da una valanga di sentimenti, per lo più incomprensibili.

Thomas sbuffa una mezza risata, e la sua ironia mi urta i nervi. Dopo aver scrollato un poco la testa, mi dice: «Nessuno può farla soffrire quanto te».

Non riesco a reprimere l'impulso di prenderlo a pugni, mi avvicino a lui e lo tiro per il colletto. La stoffa della sua maglia è calda tra le mie dita, i suoi occhi si spaventano, alza le mani in segno di resa, e vedo il suo pomo d'Adamo andare su e giù più volte.

Realizzo l'assurdità della situazione, e lo lascio andare. Ha ragione, ha solo che ragione. Ho fatto tutto io, anche quando pensavo di fare la cosa giusta, in verità ho sbagliato tutto. Dovevo solo lasciarmela scivolare accanto, dire a Marco di lasciare in pace la sua cazzo di amichetta, e fare finta di niente. Saremmo stati meglio entrambi. Invece nemmeno questo sono riuscito a fare.

«Domani sera da me. Lasciami l'indirizzo del Barba e vedi di non fare cazzate» sancisco, girando i tacchi. Non do nemmeno il tempo a Thomas di guardarmi in faccia, incurvo le spalle e prendo il primo vicolo che trovo.

Passo la notte a vagare per Venezia, nel freddo autunnale, tra il nero dei canali, e l'oro dei lampioni. Tra i rimorsi per aver ferito Elena, la mancanza della mia famiglia, il casino che ho dentro.

Cazzo, penso, prendendomi la testa tra le mani.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now