Capitolo 17

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Quando si fanno le sette di sera, inizio anche io a prepararmi, facendo spola tra la camera di Pede e il bagno. Mi sciacquo il viso e rimango dell'idea di mettere solo un po' di mascara come trucco, contrariamente ad Alice, che ha provato mille ombretti dai colori sgargianti.

Al massimo metto un po' di matita.

Non faccio in tempo ad appoggiare il pettinino del mascara sulle ciglia, che Alice urla: «Che fai?! Devi mettere l'eye-liner prima!»

«Non voglio l'eye-liner, Pede. Già ho un vestito del genere, non voglio sembrare un clown» ribatto, indicando l'abito appeso alla maniglia della porta.

Offesa, Alice mi fa sedere sul coperchio del wc con la forza.

Mi disegna una sottile linea nera, facendoci una codina alla fine. Mi passa il mascara, e mi consiglia vivamente un burro cacao, mettendosi le mani nei capelli a causa delle mie labbra secche.

Mi obbliga a cambiarmi, mi presta dei collant color a rete e mi va a prendere in mansarda l'unico paio di stivaletti con il tacco basso che ho e che si possono ben abbinare al vestito nuovo.

Una volta pronta, esco dal bagno sotto gli occhi di tutti i ragazzi che vivono nel vecchio appartamento.

Carlotta, seduta a tavola, mi fa un cenno del capo in segno di approvazione, con un sorriso gentile sulle labbra. Thomas, rientrato da poco, sbuffa una risata e si avvicina a me. Mentre Alice saltella, entusiasta, Mas mi porge la mano. Esitante, accetto il suo gesto.

Quando la mia mano poggia sulla sua, la stringe dolcemente, e mi fa girare su me stessa, in una piccola piroetta.

Con gli occhi scintillanti, mi dice: «Complimenti alla mamma».

Rido alla sua battuta e mi lascio stranamente coccolare dagli sguardi compiaciuti dei miei amici. Per la prima volta, dopo troppo tempo, non mi sento a disagio nell'essere osservata.

«Tu vieni in tuta?» chiedo a Thomas, che mi tiene ancora la mano.

«Se voi siete vestite così, difficilmente» mi fa l'occhiolino, si inchina per baciarmi la mano, col suo solito fare simpatico, e sparisce in camera. Se ne esce dieci minuti dopo in jeans, camicia scura, e profumo a non finire.

Noi ragazze sghignazziamo, prendendolo teneramente in giro, anche se non c'è nulla per cui ridere. Gli occhiali neri gli danno un'aria da intellettuale, il naso, per quanto aquilino, equilibra la morbidezza del suo volto, e la postura scomposta trasmette un'insolita espansività, che non può non essere notata.

Si sistema i capelli con fare malizioso, facendoci ridere ancora di più.

Salutiamo Carlotta, a cui abbiamo chiesto di venire, ma che ha rifiutato per andare avanti con la scrittura della tesi.

Io e Alice ci mettiamo un paio di banconote dentro le custodie dei nostri cellulari, e lasciamo a Thomas i documenti d'identità, visto che lui si porta dietro il portafogli, ben – poco – custodito nella tasca posteriore dei jeans.

Infiliamo le nostre giacche, e ci avviamo verso la stazione.

Dopo il viaggio in tram, con gli occhi di tutti fastidiosamente puntati su di noi, arriviamo in una zona residenziale illuminata da lampioni e luci da giardino. Thomas ci fa strada verso una villetta a due piani, circondata da un cortile tenuto con mani guantate, e diverse macchine parcheggiate tra il garage aperto e il vialetto.

Ci accoglie un tipo allampanato, dai capelli lunghi fino alle spalle, di un castano spento. È il padrone di casa, Alessandro. Ci porta in salotto, arredato in modo rustico, e Thomas si inserisce presto nel discorso di alcuni ragazzi che sembrano essere altri suoi compagni di corso.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora