Capitolo 40

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Torno a casa con Alice, ancora scossa, ancora piena di pensieri confusi, contorti, ancora ferita, ancora stranita. Torno a casa, e non posso non ricercare Ryan, fissando la porta del suo edificio, poi la finestra chiusa che si vede dal mio appartamento. Rimango sola nella piccola mansarda, e mi lascio cadere sul letto sfatto. Mi prendo la testa tra le mani, mi massaggio la base dei capelli, che ho sciolto subito dopo il lavoro, e mi mordo le labbra.

Non appena lo vedo, glielo dico, mi decido, ripensando al piccolo sprazzo di conversazione che ho sentito.

Marco e la tizia rossa... che rapporto c'è tra loro? Perché dovrebbero far girare in tondo Ryan? Che sia per la ricerca che sta facendo? Dovrebbe lasciar perdere questa storia... si sta mettendo in guai troppo grossi. Cosa si aspetta di fare, una volta trovato chi ha causato l'incidente, se davvero è stato causato da qualcuno come dice?

Chiudo gli occhi, piena di pensieri e preoccupazioni. Mi lascio tirare dal mio monologo, mi lascio catturare dal dormiveglia, mi lascio andare a tutte le emozioni della giornata, finché qualcosa dentro di me si spegne, estremamente bisognoso di riposo.

«Non si è più fatto sentire? Questo è un pazzo!» Alice risponde sconvolta a Daniele, che le sta raccontando di una sua avventura amorosa, evidentemente non andata a buon fine. Quando la voce forzata di Pede si spegne, ritorno a immergermi dentro di me, lasciandoli poi riprendere a chiacchierare. Fisso lo sguardo per terra, osservo gli scalini del ponte di pietra che scorrono lenti sotto di me. Stringo il cellulare, lo tengo ben saldo tra le dita, con la solita paura che mi possa cadere nel canale che sto oltrepassando.

«Elena» sento dire, senza capire che mi stanno chiamando. «Elena, tesoro» una mano mi si appoggia sul braccio, e sussulto. Incontro lo sguardo preoccupato di Alice e mormoro uno "Scusa" sottovoce.

«Allora? A te ha più scritto?» mi chiede poi.

«Chi?» domando, cercando di rimandare ancora di qualche istante il fatidico argomento.

«Ryan» mi risponde Daniele in tono dolce, accorciando le distanze tra di noi.

«Non ha nemmeno il mio numero» borbotto, mettendomi le mani in tasca. Nel giro di due settimane è diventato pieno autunno, e oltre alle goccioline di pioggia che ci stanno accompagnando a lezione, il freddo di ottobre mi fa rimpiangere la sciarpa che ho lasciato in mansarda.

«Prima o poi lo becchiamo a casa, dovrà pur uscire da quell'edificio, no?» riprende Alice.

«Te l'ho già detto, sarà da suo padre» rispondo. Inizio ad irritarmi.

«A Mestre?» chiede Daniele. Mi limito a un cenno del capo per confermare, e mi stringo nella giacca blu scuro che indosso.

«Tornerà, e se ne sentirà davvero tante e...»

«Non ne voglio più parlare» smorzo Alice, e accelero un po' il passo.

«Andrà tutto bene, vedrai» mi consola Daniele, guardandomi con quel modo decisamente poco gay, decisamente molto etero. Lo squadro, mi lascio abbracciare da lui, tremando un poco.

«Sempre gay?» chiedo, facendo scoppiare a ridere Alice.

Lui sogghigna prima di sancire con un sorriso: «Sempre gay».

Ci infiliamo in aula dietro a un gruppetto di studentesse piuttosto rumorose e fastidiose. Alice le guarda da capo a piedi, me la immagino a pensare chissà cosa sulla mora dalle spalle larghe che sta facendo strada alle altre. Ormai la conosco abbastanza bene.

Prendiamo posto nell'ultima fila, e, dopo aver tirato fuori quaderno e astuccio dal mio zaino mezzo rotto, mi metto ad armeggiare al cellulare. Entro nella chat con Thomas, rileggo gli ultimi messaggi, una sfilza di "Ora non posso", "Ci vediamo dopo", "Semmai mandami un audio". Un continuo rimandare la mia richiesta di parlarci.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora