Capitolo 15

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La suoneria del cellulare mi fa sobbalzare sul letto scomodo. Schiudo gli occhi, infastidita, mi rigiro un paio di volte sperando che il mio cuore riprenda a battere in maniera normale, e, all'insistenza della chiamata in arrivo, allungo il braccio verso il comodino. Affondo la testa nel cuscino, che ormai ha preso il mio odore, e alzo il cellulare che continua a squillare.

Mamma. Leggo nella mia testa il nome che compare offuscato sul display. Lascio cadere il telefono sul mobile mezzo marcio, e mi rannicchio mugugnando. Dopo pochi secondi, la suoneria riprende a tormentarmi le orecchie.

Che cazzo. Metto il telefono in silenzioso e passo un'altra decina di minuti a letto, incastrata tra le lenzuola. Col sonno rovinato, mi alzo, nervosa. Butto l'occhio all'orologio ticchettante sopra al frigorifero: manca un quarto alle otto. Impreco silenziosamente.

Mi lavo il viso, i denti, rimango in pigiama, e, dopo aver ripreso il cellulare dal comodino, mi siedo sotto la finestra. Apro la chat con mia madre, fatta di una serie di "ok" che si susseguono alle sue richieste. Digito velocemente il primo messaggio.

"Non posso rispondere."

Invio e, stropicciando il naso, ne scrivo un altro.

"Ti chiamo appena posso."

La vedo subito online, ma esco da WhatsApp non appena sta scrivendo...

Apro la finestra e butto fuori il naso. Lasciarsi stuzzicare l'olfatto dall'aria salmastra del mattino veneziano è già diventata un'abitudine. Una folata di vento freddo mi provoca dei brividi leggeri.

Ancora poco ed è autunno, penso, soddisfatta.

L'avanzare del freddo, in qualche modo, mi riscalda il cuore. Forse perché i pezzi di me cadono lentamente come le foglie secche degli alberi. Forse perché il freddo mi risveglia prima dai miei attacchi di panico. Forse perché sono annebbiata come il mio respiro, quando mi esce secco dalle labbra, in pieno dicembre. Forse perché, così, non ho pretese di rinascere, come succede in primavera.

Sono figlia dell'inverno. In tutti i sensi, vista la mia data di nascita.

Controllo la situazione a casa Orlando, adocchiando l'ultimo piano del  32.

Che cognome strano, sorrido, immaginandomi Ryan che si presenta, nome e cognome. Il sapore del nostro bacio mi affiora nella mente. La sua mano sul mio corpo, le sue labbra sulle mie. La sintonia dei nostri movimenti, i nostri giochi di sguardi. La soddisfazione di lui nell'avermi fatta sua preda. La stupidità mia, perché sentirlo sorridere tra le mie labbra, fiero, mi è dannatamente piaciuto, invece di farmelo odiare.

Non mi piace. Non mi piace, quel ragazzo non mi piace. Anzi, lo detesto proprio. È solo uno stronzo.

Pensieri su pensieri si azzuffano nella mia testa, nel vano tentativo di oscurare ciò che provo davvero. Accetto il mio meccanismo di difesa, lo lascio fare, e mi preparo la colazione.

Un'ora dopo, sento le voci di Thomas e Alice rimbombare nel vano scala. Sorrido, finendo di lavare l'ultimo piatto che mi è rimasto nel lavello, e aspetto che bussino prima di andare ad aprire.

Spalanco la porta e Pede entra con classe, come al suo solito, dicendo: «Vedi, questa è figa pure in pigiama».

Thomas, preso dall'imbarazzo, distoglie lo sguardo da me e si accomoda su una delle sedie nella piccola zona cucina.

«Come state, ragazzi?» chiedo.

«Freschi» ridacchia Thomas, riprendendo un po' della sua leggerezza. «Le temperature si sono abbassate un casino in una sola notte.»

«E il tuo amico come sta?» mi provoca Alice, riferendosi a Ryan, mentre si affaccia alla finestra.

«Non ho nessun amico e non mi interessa nemmeno averne, di amici. Oltre a voi due, s'intende» le rispondo, cercando di chiudere lì il discorso.

«Abbiamo una proposta» Pede batte le mani, tutta contenta.

Mi limito ad alzare le sopracciglia, sperando in un intervento di Thomas, sicuramente più ragionevole di Alice. Se ha una proposta lei, la cosa mi preoccupa non poco.

«Tu hai una proposta, noi non abbiamo proprio niente» precisa infatti Thomas, palesemente scocciato.

«Ma dai, è amico tuo alla fine! C'è questo ragazzo, Alessandro, compagno d'uni di Thomas. Darà una festa questo weekend, per l'inizio delle lezioni.»

«Ma le lezioni iniziano la prossima settimana» commento, buttandomi in bocca un chicco d'uva dietro l'altro.

«Ehm» mormora Thomas. «Le lezioni iniziano questo lunedì» cerca di trattenere una risata. Alice, invece, inizia a ridere spudoratamente.

«Dolcezza, hai sbagliato i conti?» mi chiede Pede, una volta smesso di ridere.

Spalanco gli occhi.

No, no, no... non è possibile. Non posso aver sbagliato.

«Cazzo» dico, lasciandomi andare su una sedia. Allungo le braccia sul tavolo, ci appoggio una guancia e mormoro: «Dovevo avere una settimana per prendermi libri, quaderni, cose... come ho potuto sbagliare?»

Tra le risate loro e la disperazione mia, Alice riprende il suo discorso: «Comunque, la festa sarà a Mestre, lui ha una casa bella grande, i suoi non ci sono. Ho letto il messaggio che ha inviato a Thomas, diceva che può portare chi vuole».

Guardo storto Thomas, chiedendomi perché mai abbia fatto leggere quel messaggio ad Alice, sapendo che è un tipo da tenere alla larga dalle feste. O meglio, da tutto ciò che di solito le feste comportano.

I suoi strani gesti di risposta mi fanno capire che non era cosa voluta.

Alice deve avergli fottuto il cellulare, suppongo, un po' divertita.

«Domani sera, io, te... Thomas per forza» gli fa una linguaccia, e lui ricambia allo stesso modo, «andiamo, e ah-ah-ah, no, non ci provare a dirmi che non vieni!»

«Alice, sono già abbastanza nella merda per aver sbagliato le date. Ho ancora tutto da sistemare. Non trascinarmi a 'ste cazzate» supplico.

«Piuttosto che farla andare da sola, io vado» mi avvisa Thomas.

«Guarda che ti sento, deficiente» lo rimprovera lei.

Sbuffo una risatina, più angosciata che altro.

«Ti prego» Pede mi guarda con i suoi occhioni ambrati, e Thomas fa lo stesso con i suoi più scuri.

«Oh, Gesù, che mi tocca fare» dico, mentre raggiungo il bagno. Mi chiudo dentro, faccio andare l'acqua. Mi bagno i polsi e il viso, sperando di calmare un po' l'agitazione.

È solo una festa. Non volevi riprendere in mano la tua vita?

Mi guardo allo specchio. Due borse profonde contornano i miei occhi bluastri. Il naso dritto se ne sta appollaiato sul mio volto ovale. Le labbra stranamente scure, un poco carnose, hanno bisogno di una buona passata di burro cacao per riprendersi. Mi sento un disastro.

Non basta non curarsi per non essere aggredita. Tanto vale farsi la propria vita, ché lo schifo c'è sempre, ovunque e comunque.

Faccio un bel respiro, per fermare le immagini del mio passato che si stanno facendo strada davanti a me. Potrei rivedere tutto allo specchio, neanche fosse un televisore, neanche fosse un brutto film.

«Cazzo, cazzo, cazzo» sussurro, fissandomi e stringendo il bordo del lavandino.

Mi convinco che è ora di rimettersi in gioco, racimolo un po' di forza, provo a scaricare la tensione, espirando forte, ed esco.

I ragazzi mi guardano a bocca mezza aperta. Thomas si alza dalla sedia su cui si era stravaccato, sistemandosi gli occhiali. Si avvicina, ma io arretro istintivamente. Sembra non accorgersene, perché mi chiede con tono tranquillo: «Cosa ne dici, Elena, andiamo insieme?»

Vedo Alice che si porta una mano alla fronte, in modo teatrale.

Che accoppiata.

«Va bene, andiamo. Ma niente fumo e niente cazzate» concludo, rivolgendomi a Pede.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now