Capitolo 45

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Mi sveglio indolenzita nel letto di Ryan. Il suo profumo impregna le coperte e mi godo il calore del risveglio ancora per qualche istante. Ripenso a ciò che abbiamo fatto solo qualche ora prima, e mi nascondo il viso tra le mani.

Il mio cuore scalpita di gioia, ma si placa all'istante, quando realizzo che lui non è a letto con me. Con le immagini di noi davanti agli occhi e la sensazione dei suoi baci ancora sul mio corpo, mi ritrovo a chiedermi se non abbia fatto una grandissima cazzata, a lasciarmi andare. Mi alzo, i miei vestiti sono radunati ai piedi del letto. Una volta rivestita, con una strana sensazione ad appesantirmi l'anima, esco dalla camera.

Trovo Ryan alla finestra. A torso nudo, sta fumando una delle sue solite sigarette. Ha l'aria imbronciata e spazientita.

«Ti sei svegliata» esclama, con lo sguardo fisso sul mondo fuori. Riconosco dell'amarezza nella sua voce e la cosa mi fa perdere un battito. Anche due.

«Qualcosa non va?» Una certa inquietudine mi si insinua nel petto, mentre glielo chiedo.

Cos'è successo? Che cosa ho sbagliato? Ho dormito solo un paio d'ore... penso, raggiungendolo.

Ryan estrae un pacchetto di Winston Blue dalla tasca della tuta. Tiene i pantaloni bassi sul ventre, la sua V addominale bella in mostra. Lascio da parte i pensieri che mi si formano nella mente su di lui, sul suo corpo, sul bisogno di averlo ancora, e accetto il suo gesto, quando mi porge il pacchetto.

«Torna a casa, Elena» dice, il tono freddo e distaccato, e lo sguardo sempre perso altrove.

Deglutisco.

Avrei dovuto aspettarmelo.

Con gli occhi che iniziano subito a inumidirsi, estraggo una sigaretta dal pacchetto. Prendo l'accendino abbandonato sul davanzale, vicino a un posacenere vecchio stile, e me la accendo.

Ryan ancora non mi ha rivolto uno sguardo, e forse è meglio così. Sarebbe troppo umiliante.

Cosa pensavi di risolvere, Elena? Davvero ti aspettavi un cambiamento, dopo aver fatto l'amore?

Dopo il mio primo tiro, Ryan raccoglie una maglietta a maniche corte da una sedia della cucina. Una volta indossata, si dirige all'ingresso e si infila la felpa col cappuccio che era appesa all'appendiabiti. Si schiaccia un cappellino da baseball sulla testa, apre la porta.

«Non aspettarmi» conclude solo, prima di andarsene.

Rimango a fissare la porta spalancata. Controvoglia, permetto a una lacrima di uscire.

«Non ho intenzione di muovermi da qua» dico atona a Pede, che mi fissa dalla soglia della mansarda.

«Non puoi reagire così ogni volta» esclama lei, allargando le braccia in segno di disperazione.

«Non ho dormito ieri notte, non si tratta di reagire in nessun modo» sentenzio, e ritorno sotto le coperte.

«Guarda che Thomas mi ha detto che vi siete visti, ieri. Era preoccupato per te, mi ha mandata a tenerti d'occhio.»

«Io non ho visto nessuno ieri» affermo, in piena fase di rifiuto.

«Vuoi dirmi che Ryan non era qua sotto a chiedere aiuto a Thomas? A chi dovrei credere, secondo te? A te, che ti comporti da bambina, o a Thomas, che non ha motivo per mentirmi sul fatto che Ryan si è rifatto vivo e che tu eri visibilmente scossa?»

«Bla, bla, bla. Lo sai che non ti devi fidare di Thomas, comunque» mi stufo, girandomi nel letto scricchiolante.

Dio solo sa come faccio ad avere ancora una schiena dopo un mese in questa topaia, penso, sentendo cedere la rete del materasso sotto il mio peso piuma.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now