Capitolo 50

3.7K 179 8
                                    

«Stai scherzando» borbotto, con voce un po' tremante. «Dimmi che stai scherzando» aggiungo.

«È solo una pasta» risponde con ritrovata tranquillità Ryan, aprendo una credenza per tirare fuori altri due piatti fondi.

«Io... io...» mi porto le mani ai capelli, non ho parole. Non solo non voglio vedere i miei genitori, vorrei anche chiarire le cose con Ryan, prima di avere una allegra cena di famiglia insieme.

Di che cosa dovremmo parlare? Di come sia indietro con l'università perché non ho fatto altro che pensare a un ragazzo? Di come abbia appena passato la notte in una centrale di polizia? Di come Ryan sia stato in possesso di una pistola?

Oh, sì, dovrei proprio chiedere conferma se la pistola è sua o di Thomas, mi sembra proprio il momento giusto.

Che cosa si aspettano, piombando qui senza dire niente a nessuno?

Mi fiondo in bagno per darmi una sistemata, si vede lontano un miglio che sono qui da tutto il giorno. Fisso il mio riflesso allo specchio, i capelli disordinati, i vestiti sciupati. Passo le dita sulla pelle secca del viso, mi accarezzo le occhiaie. Mi guardo dritta negli occhi, e sotto la preoccupazione del momento, non posso non notare un luccichio strano. Uno sprazzo di gioia in mezzo al disastro che sono.

È proprio questo l'effetto che mi fa Ryan. Tira fuori ogni parte decadente di me, ogni mio pezzo in rovina, mi fa incazzare, mi fa reagire, e dopo, in un attimo, scopro che ogni cosa è dove deve essere, che i pezzi di me sono al loro posto, e che vanno bene così, perché non c'è niente di sbagliato. Non c'è niente di sbagliato in me, e me lo dice il suo sguardo, che nasconde una dolcezza che non credevo possibile. Me lo dice il suo tocco, ricolmo di passione, sì, ma anche di rispetto, di stima, di amore. Me lo dicono tante cose, velate dalle esperienze di entrambi, che ci hanno segnati, ma che ci hanno permesso di essere qui ora, insieme, con la voglia di essere solo e soltanto qui.

Mi sciacquo velocemente il viso, e mi affaccio in cucina.

Ryan ha finito di apparecchiare la tavola, ha fatto in tempo a vestirsi con una maglietta e si sta versando da bere.

«Grazie, Ryan» lo sorprendo, agganciandomi al suo sguardo. I suoi occhi chiari indagano la mia espressione, il suo naso si arriccia un poco. Mi porto al suo fianco, e in un attimo il suo braccio avvolge il mio corpo; mi stringe a lui e mi abbraccia facendomi nascondere il viso sul suo petto.

Scatto al suono del campanello, ma la sua forza mi tiene ancorata a lui. Mi alza il mento, nel solito gesto di cui non mi stuferei mai, e mi lascia un bacio sulla fronte. L'espressione è seria, ma rilassata; il corpo è fiero e sicuro come sempre, mentre si avvicina al citofono.

Ryan apre leggermente la porta, e ritorna a guardarmi. I passi sulle scale interrompono il nostro gioco di sguardi, e il ragazzo del 32 si allontana dalla porta per tornare al mio fianco. Si appoggia ancora una volta al piano cucina, incrocia le braccia e, Dio, se è bello.

Mi schiarisco la voce quando Thomas si fa strada nell'appartamento, con i miei genitori al seguito.

«Thomas, ciao» lo saluto, sperando di non sembrare troppo in ansia. «Mamma, papà» abbozzo, quando i miei puntano gli occhi su di me, visibilmente confusi dal fatto di trovarmi nella casa di un ragazzo.

«Bambina! Ci hai fatto preoccupare!» mi dice subito mia madre. I capelli castani le sono cresciuti rispetto a quando l'ho salutata ormai due mesi fa. Gli occhietti tondi le si inumidiscono, ma si limita ad accarezzarmi il braccio come saluto. Mio padre, invece, si fa avanti dandomi due buffetti sulle guance, e io fingo un sorriso.

«Ciao» dice poi mio padre a Ryan, porgendogli la mano. «Sono Antonio, il papà di Elena.»

«Piacere, Ryan» risponde il ragazzo.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now