Colpa

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Eddie era rimasto seduto così tanto tempo sulla poltrona a guardare sua madre dormire che quasi non si sentiva più le gambe.
Quella donna non aveva mai dormito così tanto in vita sua, avrebbe potuto giurarlo: non c'era stata mattina in cui non l'aveva trovata in piedi dalle sei a disinfettare l'intera casa.
Eppure, era mezzogiorno di giovedì - era passata una settimana da quando le aveva mentito, il concerto sembrava quasi un miraggio - e lei era ancora nel pieno del sonno.
Il ragazzino l'aveva lasciata riposare indisturbata come aveva fatto anche nei giorni precedenti, potendo solo immaginare quanto l'intera situazione l'avesse sfinita. Doveva sentirsi terribilmente debole. E poi, non aveva alcuna voglia di parlarle, quindi più tempo passava con occhi e bocca chiusi e meglio era.
Purtroppo, però, tutto quel silenzio gli permetteva di pensare, e Eddie questo non lo voleva.
Ogni volta che la sua mente si spostava dalla condizione di sua madre, gli tornavano in mente le labbra di Richie, così vicine alle sue la sera prima.
Una bocca così carnosa e seducente non sarebbe dovuta appartenere ad un ragazzo. Era così sbagliato il fatto che avrebbe voluto baciarla, morderla addirittura? Le labbra di Beverly, per quanto le avesse fissate dal suo angolo sul cassone del pick-up, non gli avevano fatto quell'effetto. Perché mentire? Nessuna bocca femminile gli aveva mai fatto quell'effetto.
Intrecciò le mani lasciandole penzolare annodate tra le ginocchia aperte, e lo stomaco gli si strinse in preda ad una realizzazione che lo fece sudare freddo: lui e Richie avevano dormito mano nella mano, palmo contro palmo, le dita spasmodicamente avvinghiate, come se da quel contatto fosse dipesa la loro vita intera e il loro stesso sangue avesse potuto così circolare da un corpo all'altro, da un cuore all'altro.
Fino a quel momento gli era parso di averlo solo sognato - e già la cosa l'aveva turbato - invece adesso aveva la certezza di essersi svegliato nel cuore della notte e di aver visto le loro mani unite, ma era stato talmente preda della stanchezza da risprofondare nel sonno senza potersi allontanare.
Ma non ti saresti allontanato neppure in piena coscienza di te, sussurrò una voce nella sua testa, e Eddie fu costretto a darle ragione, e ad ammettere a sé stesso che forse stava impazzendo, che quei giorni di terrore lo avevano avvicinato a Richie più di quanto fosse consentito. Se fino ad una settimana prima era stato in grado di controllare il suo corpo, i suoi desideri, adesso non ci riusciva più. Aveva represso i suoi sentimenti per anni - forse dal giorno in cui si era rotto il braccio e Richie si era lasciato sgridare da sua madre, muto come un pesce, pur di non lasciar ricadere su di lui tutta la colpa. Da quel momento non l'aveva più guardato allo stesso modo, e si era sentito sporco ogni giorno, ma in quell'ultima settimana aveva toccato il fondo. Doveva riprendere il controllo di sé, allontanarlo se fosse stato necessario. L'omosessualità era l'ultima delle cose che poteva permettersi.
Al solo pensiero si raddrizzò sulla sedia in agitazione, come se uno spillo l'avesse punto. Era questo ciò che era diventato?
Gay?
Guardò in direzione di sua madre, la sua grossa mole che si sollevava e riabbassava al ritmo di profondi respiri, e fu quasi colto dalla nausea.
Dio, pensò, se lei lo sapesse...
La porta si spalancò all'improvviso, facendo sobbalzare Eddie e svegliare la signora Kaspbrak.
Entrarono alcuni infermieri seguiti a ruota dalla zia Pat, che gli sorrise luminosa prima di accigliarsi.
-Stai bene, tesoro?- Gli chiese la donna, mentre in sottofondo le voci degli infermieri informavano sua madre che dovevano prepararla per dei controlli.- Sei pallido.- Pat gli posò una mano sulla fronte per controllare se avesse la febbre, e Eddie annegò in quel tocco, lasciandosi riportare alla realtà. Socchiuse gli occhi mentre le dita di sua zia gli scorrevano piano tra i capelli già perfettamente pettinati.
-Non mi sembra che tu abbia la febbre.- La donna si chinò su di lui con un sorriso rassicurante.- Hai fame forse? Vuoi che ti prenda qualcuna delle merendine ipercaloriche che vendono le macchinette di questo postaccio?-
Eddie scosse piano il capo.- No, grazie. Sto bene cosí.-
Patricia non parve essere del tutto convinta. Lanciò un'occhiata furtiva a Sonia, poi posò nuovamente gli occhi sul nipote, con uno sguardo particolare, che Eddie aveva imparato ad identificare nel corso di quella lunga settimana. Voleva che le dicesse cos'era successo tra lui e sua madre.
Gliel'aveva chiesto piú volte, con parole brusche o meno brusche, con sguardi languidi o insostenibili bronci, ma Eddie si era rifiutato. Non si era sentito pronto a riaffrontare quei momenti, a rivivere il terrore e, soprattutto, a liberare il senso di colpa che strisciava silenzioso nel suo petto, come un serpente attorcigliato al cuore, i cui morsi gli avvelenavano il sangue e il fegato.
Eppure quel giovedí mattina era diverso. Aveva in sé un tale tormento - un tale peso - che doveva lasciar andare qualcosa prima di esplodere.
Per questo annuí piano in risposta all'occhiata supplice di sua zia, aspettando in silenzio che sua madre fosse portata via.
Quando la porta si fu richiusa, Pat sedette di fronte a lui sul letto ormai vuoto. Non gli fece domande, attese che Eddie raccogliesse da solo forze e pensieri per sfogarsi e raccontarle quello che era successo da quando se n'era andata.
Il nipote rifuggí i suoi occhi, anche se sapeva che non vi avrebbe mai trovato accusa.
-É tutto talmente incasinato che io...- Iniziò, anche se forse non erano quelle le parole adatte per cominciare un discorso.
-Lo so, Edward.- Rispose subito Pat, una sfumatura di dolcezza nella sua voce risoluta.- Non sei costretto a parlare adesso.-
-No.- Eddie scosse il capo con fervore, alzando gli occhi castani su di lei, privi della luminosità che Pat ricordava e custodiva.- No, se non lo faccio ora non credo ci riuscirò piú.-
La zia raddrizzò le spalle. Eddie si afflosciò nella poltrona.
- Le cose sono peggiorate da quando te ne sei andata.- Proseguí.- Ha preso il controllo sulla mia intera esistenza.-
La donna sollevò le sopracciglia.- Non avrei mai creduto che le cose potessero andare peggio di quando é morto tuo padre.-
Un angolo della bocca di Eddie si sollevò in un mezzo sorriso amaro.- Nemmeno io. Ma alla fine ho capito che era stata la tua presenza a tenerla a freno. Quando sei partita, lei...-
I bei tratti della zia si deformarono, gli occhi azzurri si riempirono di tristezza.-Non ti chiederò mai perdono abbastanza per questo, Edward.-
-Non é importante.- Ribatté il ragazzino serrando i pugni.- Le cose sono andate come dovevano andare. Tu stavi impazzendo in quella casa. Non ti biasimo per aver deciso di allontanarti.- Patricia non ribatté, ma Eddie sapeva che quelle poche parole non sarebbero bastate a tranquillizzarla, cosí come nessuna consolazione avrebbe potuto cancellare il suo, di senso di colpa.- Ha iniziato a tenermi chiuso in casa.- Aggiunse.- Mi lasciava uscire solo per andare a scuola, e ha sempre preteso nulla di meno che l'eccellenza. Se non era lei ad impedirmi di mettere piedi fuori di casa, era lo studio a trattenermi.-
Patricia sfiorò distrattamente l'anello di perline che Eddie aveva fatto per lei quando aveva cinque anni, e le si strinse il cuore. Dov'era finito quel bambino spensierato? Respirava ancora sotto le macerie del giovane timoroso che era diventato?
- Sai che il mio asma ha contribuito a rendermi un completo inetto agli occhi di tutta Derry, e conosci gli amici che mi ha guadagnato.- Continuò, alludendo ai Perdenti. Patricia annuí. Quei ragazzi le erano sempre piaciuti, ma ricordava chiaramente l'astio con cui Sonia ne parlava, e la crudeltà che rivolgeva ad uno di loro in particolare...
-E conosci Richie.- Disse Eddie, quasi leggendole nel pensiero.- Mia madre lo odia da quando si é preso la colpa del mio braccio rotto.-
Patricia sussultò.- Ti sei rotto un braccio?-
Eddie sollevò istintivamente l'arto sinistro, mostrandole con un movimento brusco come le ossa schioccassero per ritornare al loro posto. Pat gli rivolse una smorfia insieme preoccupata e ripugnata.
-Siamo entrati di nascosto in una casa abbandonata.- Spiegò il giovane.- Bill voleva scrivere una storia di fantasmi, cosí l'abbiamo accontentato.-
Patricia sorrise al ricordo del piccolo William che le si attaccava alle gonne pregandola di rimanere un attimo ancora ad ascoltare i suoi racconti.
-I pavimenti erano marci, le assi hanno ceduto, sono caduto al piano di sotto e mi sono rotto il braccio. Poteva andarmi peggio.- Riprese Eddie.- Ma, zia, mi sono sentito cosí bene, nonostante il dolore e le urla di mia madre. Mi ero finalmente ribellato, capisci? L'avevo delusa e la cosa mi rendeva felice. So che suona orribile, ma...-
-No.- Lo fermò Pat.- Quel che ti ha fatto tua madre é orribile. La vita che ti ha tolto é orribile. Non tu, Edward. Mai.-
Qualcosa negli occhi di Eddie doveva essersi spezzato, perché sua zia si alzò improvvisamente dal letto, correndo ad abbracciarlo. Il ragazzo iniziò a piangere sulla sua spalla, singhiozzando in maniera tanto atroce che Patricia ne provò dolore. Gli accarezzò la schiena sussultante.
-Allora perché mi sento in colpa?- Disse il ragazzo tra le lacrime, la voce strozzata.- Sono stato io a ridurla cosí. Poteva morire...-
-Si é ridotta da sola in questo stato. Con le sue preoccupazioni inutili, con le sue ansie, con il suo terrore di perderti e la smania di controllarti ad ogni ora del giorno e della notte.- Erano parole dure, Patricia lo sapeva, ma erano anche terribilmente vere, e Eddie aveva bisogno di sentirsele dire, doveva sapere che non c'era nulla di sbagliato in quel che aveva fatto, nella sua volontà di respirare e sottrarsi alla presa di sua madre.
Lo allontanò da sé per poterlo guardare negli occhi disperati, gli asciugò con le dita callose e decise le lacrime che gli scorrevano sugli zigomi alti, cosí diversi dalle sue paffute guance da bambino.- Sei troppo grande per dipendere ancora in questo modo da lei, Edward.- Asserí, afferrandogli saldamente le spalle per evitare che il ragazzo si accasciasse di nuovo.- Hai diciassette anni, ma quanti ne hai vissuti in realtà? Quante cose ti sei perso? Non pensi sia arrivato il momento di rincorrere il futuro?-
Era in corso una guerra nel cuore di Eddie, Patricia glielo leggeva in faccia.
In lui si combattevano il senso di colpa, la paura di fare del male a sua madre e la voglia di riafferrare gli anni che aveva perduto, e non avrebbe saputo dire chi stesse vincendo.
-Se io...- Iniziò il ragazzino, bloccandosi quando un singulto prese il sopravvento sulle parole.- Se io faccio tutto quel che dice, lei vivrà.- Ribatté.
Gli occhi di Patricia si ridussero a due fessure.- E tu vivrai, Edward?-
Lui non rispose, continuò solo a respirare in affanno, come se avesse corso, e le lacrime erano scese a bagnargli il davanti della maglietta.
Le mani che la zia teneva attorno alle sue spalle si strinsero ancor di piú. - Adesso ci sono io.- Gli disse, cercando i suoi occhi, trovandoli, e incatenandoli ai propri.- Non me ne andrò di nuovo, te lo prometto. E farò tutto ciò che posso per aiutarti.-
Il corpo di Eddie tremò sotto la sua presa. Il ragazzino annuí, ma si sentiva ancora spezzato dal di dentro.
Affondò il capo nei capelli della zia e rimase lí, a farsi cullare mentre il pianto lo scuoteva dalla testa ai piedi.
Patricia sapeva che c'era dell'altro, che Eddie le teneva nascosti mille altri dubbi e rimproveri, ma non chiese nulla.
Si limitò a stringersi al petto il figlio che non aveva mai avuto.

White Lies - ReddieWhere stories live. Discover now