Regali d'addio

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Richie inciampò per le scale.
Aveva la pessima abitudine di vestirsi mentre andava in cucina, in ritardo come al solito, e incespicò senza ritegno nella gamba penzolante dei jeans.
Riuscì ad aggrapparsi al corrimano con il braccio che non aveva ancora infilato nel maglione, e trattenne un'imprecazione, perché i gemelli stavano prendendo il vizio di ripetere tutto ciò che diceva indiscriminatamente. Stava creando dei mostri.
Raggiunta la cucina si fiondò verso il frigo, prendendo la bottiglia del latte e guardando di sfuggita i due bambini seduti al tavolo intenti a disegnare.
-Ehi,- Li apostrofò, pescando una tazza dalle mensole.-smettetela di perdere tempo e andate a prepararvi.-
I gemelli continuarono imperterriti a colorare.
-Ancora un minuto.- Ribatté Cathy, gli occhi appiccicati al foglio, mentre quasi disintegrava un pastello per la violenza con cui lo stava premendo sulla carta.
Richie non rispose - quella mattina non aveva né tempo, né voglia di discutere: era troppo impegnato ad inventare una scusa per non presentarsi all'incontro settimanale a casa di Beverly.
Dall'inizio di febbraio i Perdenti avevano iniziato ad organizzare un gruppo di studio per gli esami di ammissione al college, ma Richie non ci sarebbe andato. Dopo il diploma, sarebbe rimasto inchiodato a Derry, continuando a lavorare al bar e a badare al vecchio e grasso cane della vicina finché non fosse morto di diabete.
Ah, eccola la scusa che cercava. Era venerdì, e di venerdì faceva il dogsitter.
Tirò un sospiro di sollievo: non aveva neppure dovuto sforzarsi più di tanto. Le volte precedenti, si era inventato malanni, prima suoi, poi dei gemelli, poi di Timothy. Un virus intestinale che aveva fatto il giro della famiglia, al punto che Eddie aveva anche deciso di non baciarlo per un po', per paura di essere infettato.
Eddie.
Nemmeno a lui aveva detto la verità. Chissà quando avrebbe avuto il coraggio di rivelargli che le loro strade si sarebbero presto separate. Portava quel peso dal giorno in cui avevano organizzato il suo diciottesimo e aveva visto Stan prepararsi per i test attitudinali. Fino a quel momento, non ci aveva neppure pensato.
Mise la tazza ormai vuota nel lavandino, la riempì d'acqua e afferrò la giacca che aveva lasciato su una sedia.
-Sbrigatevi.- Asserì di nuovo rivolto ai gemelli, più deciso di prima, e non udì le loro risposte infastidite, perché sulla porta della cucina era comparsa Maggie, e per un po' tutto il resto agli occhi del giovane scomparve.
La donna gli sorrise gentilmente.-Ci penso io.- Gli disse, facendo un cenno verso i bambini.
Richie le stampò un bacio sulla guancia e sparì nel salotto.
Pochi minuti dopo il resto della famiglia sentì il rumore della porta d'ingresso che veniva chiusa frettolosamente.
Maggie si avvicinò al tavolo, tenendo Timothy in braccio. Il bambino si aggrappò alla stoffa della vestaglia mentre si chinava verso gli altri due figli e guardava con attenzione cosa stessero facendo.
Cathy aveva disegnato uno strano scarabocchio, tutto spigoli e marcate linee marroni, ma gli occhi esperti della madre riconobbero una gigantesca torta al cioccolato.
-Che cosa state facendo?- Chiese, e spostò lo sguardo sul disegno di Matthew, altrettanto confusionario.
-Regali.- Rispose il bambino, aggiungendo degli spessi occhiali sul viso di un omino secco e riccioluto.-Per il compleanno di Richie.-
Maggie si raddrizzò, quasi trasalendo, mettendo finalmente a fuoco il disegno del figlio: loro cinque che si tenevano per mano, in mezzo a quello che sembrava un prato. In alto a destra c'era un piccolo sole sorridente.
-É... è domani, vero?- Domandò, sbattendo le ciglia sugli occhi spalancati.
I bambini annuirono, e Maggie fu lieta che fossero così concentrati sulle loro opere d'arte, perché non avrebbero visto il dolore che le stava attraversando il volto sciupato.
Come aveva potuto dimenticarsene? 
Richie, suo figlio, il primo prodotto del suo amore, la prima creatura cui avesse donato la vita, stava crescendo, stava diventando grande, e lei non se n'era neppure resa conto.
Aveva festeggiato i suoi compleanni da quando Wentworth se n'era andato? Non riusciva a ricordarlo. Aveva davvero lasciato che i sedici e i diciassette anni di suo figlio le corressero davanti agli occhi inosservati, come se le settimane, i mesi non fossero passati? Era davvero rimasta immobile al giorno in cui suo marito se n'era andato, incapace di distinguere la mattina dalla sera, il mezzogiorno dalla mezzanotte?
E Richie non aveva detto nulla. Non si era mai lamentato di quelle dimenticanze, anche se era sicura di averlo ferito. Come aveva potuto dimenticarsi di celebrare il giorno in cui l'aveva messo al mondo? Richie era uno dei regali più preziosi che la vita le avesse fatto - la consolazione quotidiana che l'aiutava ad affrontare qualsiasi altro dolore, insieme agli altri tre bambini che aveva avuto.
Aveva dimenticato anche i loro, di compleanni? E che altro si era persa?
Recite, partite, successi, fallimenti, cadute dalla bicicletta, colloqui, voti buoni, voti cattivi, passioni, iniziative, desideri, sogni?
Due anni della loro vita cui lei non era stata partecipe, che erano spariti nell'oblio, che non avrebbe recuperato mai più - era stato Richie a dire ai fratelli di non rimanerci male? Che la mamma era malata, che gli voleva bene anche se non lo dimostrava? Era stato lui a medicare le loro sbucciature, ad insegnargli a difendersi dai bulli, a portarli al mare, a preparargli la merenda da portare a scuola?
Come aveva potuto sparire così dalla loro esistenza, rintanarsi in un angolo ad osservare con occhi vuoti e stanchi tutto ciò che le accadeva senza reagire, come un vegetale?
Pat aveva ragione. Era circondata dall'amore, e neppure se ne rendeva conto. Aveva quattro figli formidabili, che si facevano forza a vicenda - che si tenevano per mano nelle avversità, come nel disegno di Matthew - e lei non se n'era accorta fino a quel momento.
Ma non voleva più vivere così, bloccata in uno dei giorni più tremendi della sua vita, mentre l'immagine dell'uomo che amava che si chiudeva la porta alle spalle continuava a ripetersi nella sua mente.
Aveva deciso lui di andarsene, di abbandonarli - piangerlo ancora non sarebbe servito, e neppure lo meritava. La sua famiglia se l'era cavata perfettamente anche senza la sua presenza, non avevano bisogno di lui. Non avevano bisogno del suo cattivo umore, del suo alcol, delle sue lacrime di coccodrillo.
Maggie sedette al tavolo tra i due figli, con Timothy stretto al petto, e posò una mano sui capelli vaporosi di Cathy, raccolti in spesse treccine.-Organizziamo una festa.- Propose, e persino il più piccolo tra i bambini emise un gridolino di gioia, sollevando i pugnetti chiusi.

Eddie storse visibilmente il naso quando Richie gli disse che anche quella volta non si sarebbe presentato all'incontro.
Boccaccia abbandonò la testa incappucciata sul gradino degli spalti alle loro spalle, le braccia incrociate al petto.-Sai che ho da fare oggi.- Gli rispose, puntando gli occhi sul cielo azzurrissimo di fine febbraio.
-Sinceramente, Rich, credo che siano tutte scuse.-
-E avrei rinunciato ai tuoi baci per più di una settimana pur di portare avanti una bugia? Mi sopravvaluti, Eds.-
Questi si mise cavalcioni su un gradino, la gamba sinistra penzolante nel vuoto, e chinò il capo su di lui, per guardarlo intensamente negli occhi.-Giura.-
-Giuro che ho passato tutto lo scorso weekend a letto.- Ribattè l'altro, cercando di rimanere immobile, di non guardare altrove, di non mordersi le labbra o agguantare la stoffa delle maniche o far tremare la voce.
Eddie non parve convinto - sembrò anzi che ne se ne volesse convincere a tutti i costi, forse per non litigare. Per cui, seppur con un'espressione infastidita, si ritrasse e incrociò le gambe sulla gradinata.-Domani è il tuo compleanno.- Gli ricordò all'improvviso, e Richie pensò che magari era per quello che non voleva discutere. Per non rovinargli la festa. 
Ma:-Non voglio festeggiare.-, rispose.
Il ragazzino gli afferrò un braccio, scuotendolo.-Come no? Sono diciott'anni, Rich!-
-Proprio per questo.- Richie si sollevò con uno sbuffo facendo ricadere il cappuccio, i gomiti sulle ginocchia e le dita tra i ricci neri.- Non è un compleanno come gli altri, che posso festeggiare senza fregarmene che mia madre se ne sia dimenticata e che mio padre se ne sia andato.-
Eddie si morse una guancia.
Non era proprio il caso di insistere. Anzi, forse aveva anche fatto male a ricordarglielo.
Richie gli scoccò un'occhiata in tralice, sotto i ciuffi che gli ricadevano sulla fronte.-Ehi, Spaghetti.- Mormorò con un sorriso, allungando una mano per accarezzargli la guancia che stava tormentando.-É tutto a posto.-
Il ragazzino abbassò le palpebre, lasciando che quel tocco ammorbidisse la tristezza graffiante che gli aveva invaso il petto.-Solo perché ci siamo abituati a certe situazioni, non significa che sia a posto. Che sia giusto o normale.-
-Lo so.- Richie gli passò il pollice sullo zigomo alto, poi sul profilo della fronte.-Ma nessuno ha una vita perfetta, Eddie. L'unica cosa che conta è avere accanto delle persone che ci aiutino a superare tutto, e io ho te.-
Eddie riaprì gli occhi, guardando nei suoi, neri e carichi di aspettativa, e ripensò alla lettera che aveva scritto il giorno prima alla zia Pat. La prima delle tante che avrebbe stilato per liberarsi di quel dolore incontrastabile.
"Ho te."
No, non poteva permettere che quella sofferenza raggiungesse anche Richie. Mai.
Posò una mano su quella che il ragazzo gli aveva messo sulla guancia, stringendola forte tra le dita.-Per sempre, Rich.-
E l'altro non lo diede a vedere, ma quelle parole - quel "per sempre" così convinto e pieno d'amore - lo penetrarono come una freccia intrisa di veleno amaro. Il giorno in cui avrebbe detto la verità a Eddie, lo sapeva, gli avrebbe spezzato il cuore.
Si chinò su di lui, dandogli un bacio sulla tempia, nascondendogli la sua espressione addolorata.
Non aveva ancora la forza di farlo.

White Lies - ReddieWhere stories live. Discover now