La fine nell'infinito

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Il sole era già calato inesorabile oltre l'orizzonte, le luci dei palazzi cominciavano ad accendersi come un oceano di lucciole nella frenetica metropoli. Le strade cominciavano già a riempirsi di macchine, il traffico imbruniva la sera di smog e nebbie puzzolenti tutt'intorno al centro storico; alcuni tornavano a casa, altri si avviavano a lavoro, famiglie si riunivano e famiglie di salutavano. Le voci si innalzavano per le strade, idiomi diversi si davano battaglia per i vicoli, intorno ai monumenti, suonerie di cellulari e di lontani clacson si accalcavano turbolenti, come per prolungare l'idea della luce, per combattere la paura della notte e del buio, dell'ignoto e del domani.

Molti negozianti sprangavano le vetrine, contando gli incassi e già pensando al futuro. I ristoratori si preparavano ad accogliere il flusso di turisti pronti a riversarsi intorno ai tavoli per gustare la cucina locale sovrastando l'odore della pizza con quello dell'arrosto o con la promessa di una pasta divina e qualche riconoscimento gastronomico. I cittadini più provati rivolgevano le lamentele verso le etnie che invadevano le strade rendendo la loro vita più difficile, mentre nel profondo si rallegravano della ricchezza che il turismo portava alla città.

Tutti avevano sempre qualcosa da fare, un posto dove andare, giornate da organizzare e persone con cui parlare.

Mai come in quel momento l'umanità era stata così simile ad un grosso formicaio: sempre in movimento, un grosso cervello collettivo e così facili da schiacciare.

Pochi avrebbero avuto la fortuna, quella notte, di assistere ad un evento inaspettato senza avere la possibilità di comprenderlo.

Una figura scura e felina si aggirava rombando per le stradine laterali e poco trafficate della città, spingendo la moto a velocità tali che i riflessi di un essere umano non sarebbero stati in grado di controllare in quegli spazi angusti.

La figura felina si spinse fino al confine con il Vaticano restando, inspiegabilmente, nell'ombra. Sapeva come muoversi, conosceva passaggi semi ignoti, e si muoveva con una tale sicurezza che avrebbe fatto impallidire molti professionisti del motociclismo vista la velocità e la precisione delle sue curve a gomito e acrobazie silenziose. Poi finalmente rallentò.

Non era ancora ferma quando un gruppo di quattro persone, guardie Svizzere a giudicare dalle stravaganti uniformi, accorse a circondare la moto. La figura non sembrò essere molto preoccupata della situazione, il fatto di essere stata accerchiata da un plotone di agenti non sembrava darle il benché minimo fastidio, figurarsi preoccupazione. Portò le mani fine e affusolate al casco e lo tolse dalla nuca rivelando una massa di lunghi capelli scuri su un viso pallido e scarno, di chi non è al massimo della forma. Anche i suoi occhi scuri erano cerchiati da lievi ma, nonostante ciò, violacee occhiaie, segnale della carenza di sonno che spossava il suo corpo negli ultimi giorni.

All'istante una delle guardie la riconobbe e sembrò calmarsi, sospirando di sollievo, le altre lo seguirono a ruota. Dall'esterno poteva sembrare ridicolo o addirittura sospetto che delle Guardie Svizzere, invece di arrestare quella ragazza arrivata nella città del Vaticano in moto, di notte, con chissà quali intenzioni, le tenessero il casco e le indicassero la via più breve per accedere all'interno della residenza del Papa.

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Il primo ad accoglierla fu il motivo della sua corsa contro il tempo.

Ancora prima di entrare nella residenza un paio di Guardie la raggiunsero portando con loro un uomo con la pelle abbronzata e i lunghi capelli legati in un codino. Avevano catturato un ladro nella biblioteca del Vaticano; fortunatamente non era riuscito a procurare danni irreparabili prima che venisse arrestato.

«La sorveglianza ultimamente lascia a desiderare» commentò lei, osservando i tomi polverosi e vecchi per cui aveva fatto irruzione nella biblioteca.

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