London Eye

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Guardai il cameriere prendere le ordinazioni in silenzio, io e Luke ci eravamo già accordati su cosa prendere e lui parlava con tutti e due.
Ero confusa, aveva un tono strano, parlava al cameriere con sufficienza.

Ritornò su di me con lo sguardo dopo che il ragazzo se ne andò con un sorriso forzato.

-Beh.- incominciai, pensando alla sua domanda.
A quanto potessi dargli una risposta vasta, a quanto avrei potuto andare nei dettagli. Ma poi pensava a quanto poco gli avrei realmente detto, gli anni per me passavano in fretta. E non avevo mai niente da ricordare.
Passavano, passavo, e io crescevo con loro.
Mi ritrovai ad avere 21 anni senza accorgermene. Era come se con lo spirito e con la mente fossi rimasta ancora in America. A girare per le strade della fredda Baltimora con addosso un maglione e i miei ingenui 14 anni.
Ne sono successe di cose, sono cambiata e, per quanto ne fossi dispiaciuta, anche Luke era cambiato.
Tutto era cambiato, avevo lasciato delle persone, altre mi avevano abbandonato, ho visto città, ho conosciuto persone e trovato amici. Avevo perso me stessa e in quel periodo era come se mi trovassi in un limbo.
Ferma a metà tra la morte e la vita.
A 17 anni, avevo pensato anche a quello.
A cosa fosse successo se me ne fossi andata. Chi avrebbe pianto per me? Pensavo che avrei voluto che la gente si ricordasse dei miei pensieri, non della mia persona in se, ma dai miei modi. Dai miei maglioni colorati.
Forse avrei lasciato un segno a delle persone, forse no. Forse mi avrebbero dimenticato qualche anno dopo, abbassando solo gli occhi se mai avessero sentito il mio nome in giro.
Magari non mi avrebbero neanche pensato, e quel fatto di non lasciare traccia nella vita delle persone mi faceva più male che pensare al suicidio.
Avevo trovato un modo per soffrire senza prendere delle scorciatoie, pensare a tutto quello che avevo perso, a tutte le persone a cui avevo voltato le spalle senza combattere.
Durante l'ultimo anno di liceo, invece, non parlavo. Pensavo che il mondo potesse girare anche senza la mia voce.
La cosa strana era che, nonostante mia madre sapesse del mio dolore a stare in Inghilterra, non mi avesse mai proposto di tornare in America.
Se fossi tornata, cosa sarebbe successo?
Avrei sopportato il modo in cui Calum mi avrebbe evitata? Perché so che lo avrebbe fatto.
Mi avrebbe ignorata come io avrei fatto con lui se mi fossi trovata nella sua situazione. Poi avrei saputo consolare Luke? E nel frattempo sarei riuscita a consolare me stessa?

Forse era per quello che non mi ero ribellata, se fossi rimasta avrei avuto tutti sulle spalle.
E una ragazza di 14 anni non dovrebbe sopportare queste cose, mia madre lo sapeva e mio padre pure.

Eppure, dopo 6 anni, Luke era li, davanti a me.

-Quindi?- mi incitò. Sorrise.

Scossi la testa, ricambiando.

-Ho finito le superiori qui, ho vissuto con mio padre e la sua compagna fino all'anno scorso.- iniziai -Mi comprai la casa dove vivo ora quando incominciai a lavorare da Jackson.-

Lui alzò le sopracciglia.

-Jackson? Il ragazzo che lavora con te?- chiese.

Annuii.

-Te?- chiesi, volevo sapere anche io qualcosa.

-Non mi va di parlarne.- sussurrò.

Il cameriere arrivò con due piatti, ne posò uno davanti a me e sorrise.
Se ne andò poco dopo.

-Perché?-

I suoi occhi azzurri trafissero i miei, come se lo avessi ferito nell'orgoglio senza accorgermene. E forse era quella che avevo fatto.

-Non vado fiero di quel periodo della mia vita.- biascicò -Non che sia orgoglioso del fatto di averti portato a morire.-

Rimasi interdetta per le sue parole crude, lo fissai mentre prese una forchetta e la strinse forte tra le dita.

Disconnect 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora