Times

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Guardò fuori dalla finestra, ormai faceva solo quello, quando si alzava per bere o mangiare, il necessario per non collassare ogni due ore, si fermava davanti alla vetrata.

Di solito non pensava a niente, rimaneva solo li. Fermo a guardare le stagioni passare, senza preoccuparsi del fatto che si stesse perdendo tutta la sua vita.

Era rimasto indietro, ed era indifferente a questo fatto, davvero non gli importava di niente.

Come poteva? Come poteva andare avanti? Il senso di colpa lo avrebbe divorato lentamente, ogni volta che avrebbe fatto qualcosa per essere felice. Semplicemente non riusciva, si sarebbe sentito come se la stesse tradendo. Non poteva fare altro se non soffrire per entrambi.

Per lui era la cosa più giusta, rinunciare, provare dolore. E lui se lo ricordava ogni ora, ogni giorno e ogni volta che cercava un motivo per scendere dal letto quando si svegliava. Lei non c'era più, e lui non riusciva ad eccettare la cosa.

Come un corpo può rigettare un organo, lui poteva rigettare la mancanza di lei.

Andava avanti pensando fosse uno scherzo, ogni tanto si ritrovava a ridere ad alta voce fino alle lacrime agli occhi, una volta sua madre era uscita di corsa dalla cucina. Teneva uno straccio in mano mentre osservava il figlio con una mano davanti alla bocca e le lacrime del pianto traformarsi in lacrime di dolore.

Calum non scordò mai l'espressione di sua madre quel giorno, un misto tra tristezza e compassione. E l'ultima, lui neanche voleva sentirla nominare. Sua madre non lo guardò più da quel giorno, evitava il suo sguardo, forse avendo paura che Calum avrebbe scaricato un po' di tristezza su di lei.
Lui non lo avrebbe mai fatto, la tristezza lo faceva andare avanti.

In realtà, alcune volte neanche essa bastava.
Erano state esattamente tre le situazioni che Calum non era riuscito a reggere.

La prima, la più dolorosa. Era il secondo anniversario della morte di Ryan, si era chiuso in bagno inziando a piangere. I suoi genitori bussarono alla porta per un po', ma quando non videro nessun risultato smisero semplicemente.
Questo faceva solo arrabbiare Calum, lo faceva incazzare come la gente si arrendesse, come in quel momento più nessuno avrebbe combattuto per lui.

Si portò le gambe al petto, la vista appannata mentre la bocca era immersa in una smorfia di dolore. E quest'ultimo si espanse velocemente in tutto il corpo, come una macchia fuori controllo. In pochi minuti il dolore gli tolse il respiro, invase i polmoni e lo stomaco per primo, per poi avanzare in tutto il corpo debole.

Si accasciò in avanti, premette il viso contro al pavimento non cercando nemmeno di fermarsi, pianse fino allo sfinimento, gemendo ogni tanto il nome di Ryan, e avrebbe continuato.

Quando dai suoi occhi non uscì più nulla lentamente si mise in piedi. Arrancò fino al lavandino, si chiese il senso di quello.

Si chiese perchè dovesse stare li in quel bagno, da solo, a soffrire. Perchè doveva far soffrire gli altri con la sua presenza? Con la mente ripercorse tutti i posti in cui andò con lei.

Sapeva che in quel momento lei era in qualche posto da sola. E questo lo fece stare ancora più male.

Poi pensò che avrebbe voluto semplicemente o dimenticare. Avrebbe voluto scordarsi dei suoi occhi schiusi quando rideva, della sua vita sottile. Da quando si attaccava a queste piccole cose?

Era caduto in basso, ne era consapevole, strinse le dita ai lati del lavandino, abbassò la testa vedendo le lacrime cadere sul piano di ceramica per poi scendere lungo lo scarico.
Alcune volte si odiava, come se si desse la colpa, anche se in realtà non avrebbe potuto fare niente per salvarla.

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