07 - The West Coast

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La sera prima della partenza mi ritrovai a fare la valigia insieme a Cassie. Ero nervosa, ma non volevo mostrarlo.
“Ehi, andrà tutto bene.” Disse la mia gemella. Mi conosceva e mi aveva vista così solo un paio di volte in tutta la vita. Come avevo anche solo pensato di nasconderle un’emozione del genere? Era la mia gemella, era ovvio che se ne sarebbe accorta.
“Lo spero.” Mormorai, chiedendomi se avessi dovuto prendere anche un costume da bagno. Decisi di portarlo, perché tanto non avrebbe occupato più di tanto spazio in valigia e avrebbe sempre potuto servirmi. Non avevo idea di quello che mi avrebbe aspettato dall’altra parte dell’America.
“Puoi chiamarmi quando vuoi, okay?” Replicò lei, appoggiando una mano sulla mia spalla.
“Tranne dalle nove all’una perché sei al corso e dalle due alle sei perché sei al negozio di abiti da sposa, giusto?” Domandai con un sorriso. Volevo scherzare per alleggerire l’atmosfera. Sembrava che stessi andando al patibolo, invece stavo per imbarcarmi su un aereo che mi avrebbe portata in California. Gratis, per giunta, perché si trattava di lavoro.
“Beh, sì.” Rispose la mia gemella, ridendo.
“Sono felicissima che tu sia riuscita ad ottenere quel lavoro.” Dissi dopo qualche minuto. “Come ti stai trovando?”
“E’ stata la settimana più bella e più intensa di tutta la mia vita. E’ duro lavoro, perché il corso prosciuga quasi tutte le mie energie e le spose… oh, le spose sono le persone più egocentriche, capricciose e fastidiose del mondo. Però ne vale la pena, perché amo quello che sto facendo.” Rispose Cassie, sedendosi sul mio letto e osservando la mia valigia. “Prendi quello rosso, ti sta meglio.” Aggiunse, indicando il costume che avevo lasciato nell’armadio.
“Grazie.” Mormorai, seguendo il suo consiglio. “E i colleghi? Hanno iniziato a prenderti un po’ più sul serio?”
“Non tutti.” Rispose lei, sospirando. “Le donne più adulte, quelle che hanno più esperienza, non credono che io possa farcela. Mettono in dubbio tutte le mie decisioni e Mandy, quella che sto affiancando per imparare il lavoro, si rifiuta di farmi dare consigli alle clienti. Non vuole nemmeno che io parli con loro!” Aggiunse.
“Mi dispiace.”
“Però ho conosciuto Rusty, uno dei colleghi più giovani, e abbiamo legato immediatamente. E’ impossibile rimanere seri quando c’è lui nella stanza. Lo adoro!” Esclamò la ragazza.
“Vedrai che riuscirai a conquistare anche le altre colleghe più vecchie.” Dissi.
“Kim! Non si dice vecchie, dai! Hanno più esperienza di vita.” Commentò la mia gemella con una risata.
“Va bene, come vuoi. Tanto non importa quanti anni hanno, riuscirai a dimostrare che hai talento a tutti. E’ impossibile non adorarti, Cassie.” Replicai, sventolando una mano e sorridendo. Poi osservai la mia valigia e, in pochi secondi, mi trovai sdraiata sul letto con la mia gemella abbracciata.
“Lo stesso vale per te, Kim.”
“Molla la presa! Non respiro più!” Esclamai ridendo. “Cassandra!” Tuonai dopo qualche secondo. La mia gemella mi lasciò immediatamente, poi ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere di nuovo.
“Non vale, non puoi usare il mio orrendo nome contro di me.”
“Non è così orribile, ha carattere.” Commentai, sistemandomi la maglietta.
“Sì, se sei una strega. O una salamandra.” Borbottò lei.
Scossi la testa e tornai a dedicarmi alla mia valigia. Cassie era l’unica costante nella mia vita. Lo era sempre stata e non aveva nemmeno idea di quanto io le volessi bene e le fossi grata per essermi stata vicina nei momenti più difficili.
 
Dovevo essere sincera. Avrei potuto abituarmi senza problemi alla vita di Sophia. Avevamo volato in classe Business da New York a Los Angeles. All’aeroporto LAX un autista ci aveva aspettate con un cartello, aveva preso i nostri bagagli e li aveva portati su un’auto privata che ci aveva accompagnate al Roosevelt Hotel a Hollywood.
Khloe, hai un paio d’ore libere, poi andremo a cena con i ragazzi e domani mattina dovremo alzarci presto per preparare tutto. Cominceremo a lavorare appena si sveglieranno e li seguiremo per tutta la giornata, dalle interviste del mattino fino al concerto della sera.” Disse Sophia quando arrivammo al piano delle nostre camere all’hotel.
Sospirai. Avrebbe mai imparato il mio nome? Kim non era una cosa così difficile da ricordare. Erano solo tre lettere! E poi, secondo me, lo faceva apposta per farmi innervosire. Ero la sua assistente da quasi un mese, come poteva non sapere ancora come mi chiamavo?
“D’accordo.” Dissi. Cominciai ad allontanarmi per raggiungere la mia stanza, quando ci ripensai. Mi fermai, mi voltai verso la fotografa e decisi di parlarle. “Sophia? Il mio nome è Kim.”
Mi accorsi di star tremando solo quando la donna si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla. Cosa mi era venuto in mente? Non potevo starmene zitta? E se mi avesse licenziata?
“Lo so, Kim. Volevo solo vedere quanto tempo ci avresti messo a prendere coraggio e a dirmelo. Voglio che i miei assistenti personali non abbiano paura di parlare con me e anche di dirmi se sto sbagliando qualcosa – con i dovuti modi, ovviamente. Stavo cominciando a pensare che non avessi la stoffa per stare al mio fianco.” Replicò lei. “Il mio vecchio assistente non mi ha mai corretta. Infatti poi si è licenziato, il codardo.”
“Oh.” Dissi semplicemente.
“Bene, adesso vai a rilassarti, ci vediamo stasera per la cena.” La fotografa mi rivolse un occhiolino prima di sparire dietro la porta della sua camera. Ancora con le mani tremanti e il cuore che batteva a mille raggiunsi la mia stanza e appoggiai la valigia sul pavimento. Ottimo, Sophia mi aveva sottoposta a un test e l’avevo superato. E avevo due ore libere prima di rivedere Harry. Ero davvero pronta a passare una giornata intera con lui? Probabilmente no, ma dovevo fingere di esserlo o sarei stata licenziata sul serio. Mi era già andata bene una volta, non potevo rischiare troppo.
 
Dopo una doccia rilassante – nel bagno più grande che avessi mai visto – decisi di armarmi della mia amata macchina fotografica e andare in esplorazione. Avevo letto che dal tetto dell’hotel c’era una vista magnifica e volevo verificare se fosse vero. Così, dopo qualche tentativo, avevo trovato la strada giusta, avevo aperto la porta ed ero rimasta senza fiato. Di fronte a me troneggiavano le gigantesche lettere luminose che componevano il nome dell’hotel e tra una e l’altra potevo vedere la collina con la scritta ‘Hollywood’. Cercai l’inquadratura migliore, scattai qualche foto e poi decisi di avventurarmi anche oltre. Scesi al piano terra e andai a visitare Hollywood Boulevard. Era tutto esattamente come avevo sempre visto in televisione, eppure, per qualche motivo, la realtà era diversa dalle mie aspettative. Il marciapiede con le stelle e i nomi delle star era molto più largo di come me lo ero immaginato ed era tutto così… grande. Gli spazi, a Los Angeles, erano enormi. A volte New York poteva sembrare un po’ soffocante per colpa dei grattacieli altissimi, invece l’atmosfera di Los Angeles era così libera e rilassata.
Camminai sulle stelle delle celebrità, vidi almeno un paio di Marilyn Monroe fare foto con i turisti e di fronte al Dolby Theatre vidi Chewbecca spaventare alcune persone. Mi addentrai nel centro commerciale all’aperto, l’Hollywood Highland Center e scovai un posto meraviglioso per fotografare la scritta sulla collina.
Entrai in qualche negozio per dare un’occhiata – al primo piano c’era il famoso Hot Topic, che in Inghilterra non esisteva e, di fianco, avevano un negozio completamente dedicato al Natale! – e poi decisi di tornare al Roosevelt Hotel. Si stava facendo tardi e volevo avere tempo per vestirmi e truccarmi decentemente. Anche se volevo cercare di nasconderlo, ero emozionata e non vedevo l’ora di rivedere Fossette.
 
“Così questa è la tua prima volta a Los Angeles, vero?” Mi domandò Liam durante la cena.
“Sì, è incredibile.” Risposi. Non eravamo andati molto lontani, infatti il manager della band – che era al tavolo con noi – aveva suggerito il ristorante dell’hotel. Avevo cercato di sedermi il più lontano possibile da Harry e mi ero concentrata soprattutto su Liam e Louis, che erano i due ragazzi più vicini a me.
“Sei già riuscita a vedere qualcosa?” Chiese Louis.
“Solo Hollywood Boulevard.” Risposi. “Ho avuto poco tempo e qui tutto sembra lontanissimo! Per arrivare da un isolato all’altro sono almeno cinque minuti di camminata.”
“Già, hai proprio ragione! Los Angeles è enorme.” Commentò Liam. “E’ difficile vederla a piedi, dovresti affittare un’auto.”
“Se dovessi mai tornare per una vacanza, magari con la mia gemella, lo farò sicuramente.” Risposi.
“Hai una gemella?” Mi chiese Louis. “Io ho due sorelle gemelle più piccole e mi inquietano da morire.” Scherzò il ragazzo.
“Perché sembra che si leggano nel pensiero e dicono le stesse cose?” Domandai.
“Sì, anche voi siete così?”
“A volte.” Risposi. “Non ci leggiamo nel pensiero, chiaramente, ma abbiamo passato così tanto tempo insieme, crescendo, che abbiamo imparato a conoscere ogni minima espressione. Sappiamo sempre cosa sta pensando o cosa sta per dire l’altra.” Spiegai.
“Forte.” Intervenne Niall, che aveva cominciato ad ascoltare la nostra conversazione con interesse.
“Lei è rimasta a Londra?” Mi chiese Zayn. Anche lui si era voltato verso di noi.
“No, è venuta con me a New York. Frequenta un corso per diventare Wedding Planner e viviamo insieme.” Replicai.
“Beh dai, allora la tua avventura americana è un po’ più facile se siete insieme. Io a volte penso di resistere solo perché sono con questi quattro. Se fossi da solo non so come farei. Mi mancano spesso la mia famiglia e la mia ragazza.” Disse Zayn.
“Aw, Zayny, non fare il sentimentale!” Esclamò Louis, facendo ridere tutti. “Comunque adesso Sophia è occupata con il nostro manager e possiamo sparlare di lei senza problemi. Come ti trovi a lavorare per lei?” Aggiunse poi, avvicinandosi a me e abbassando la voce.
“Non posso spettegolare sul mio capo!” Sibilai, fingendomi scandalizzata. “Però no, seriamente. Per il momento non ho nulla di cui lamentarmi. Sto vivendo il mio sogno.”
“D’accordo, ne riparleremo quando ci rivedremo tra un anno o giù di lì.” Rispose Louis. “Il vecchio assistente personale aveva sempre i gossip migliori.”
“Beh, ma è anche quello che l’ha fatto licenziare.” Intervenne Liam.
“Cos’è successo?” Domandai, interessata all’argomento. Sophia mi aveva detto che era scappato a gambe levate, qual era la verità?
“Beh, pare che il ragazzo avesse la lingua un po’ troppo lunga e ha messo Sophia nei casini con un contatto importante. Non ho idea di chi sia, perché lei non ce l’ha mai detto.” Cominciò a spiegare Niall. “Comunque pare che una sera, a cena con questo contatto importante, l’assistente si è lasciato scappare delle cose su di lei che non avrebbe mai dovuto dire. Il giorno dopo, quando Luke, l’ex assistente, ha scoperto chi era il tizio con cui ha parlato e ha capito il casino che ha fatto, si è licenziato prima che Sophia potesse scoprire quello che era successo.” Continuò il ragazzo.
“Lei era furiosa.” Disse Louis. “Ce ne ha parlato quando ci siamo visti a New York e non l’ho mai vista così arrabbiata. E la cosa che l’ha fatta incazzare di più è che lui non ha avuto il coraggio di parlarle e di ammettere quello che aveva fatto. E’ sparito prima che lei potesse fare qualsiasi cosa. Anzi, a dire la verità lei ha scoperto quello che era successo solo dopo che lui se ne è andato.”
“Cavolo, non sapevo nulla di tutto ciò.” Dissi. Quindi era quello il motivo per cui Sophia mi aveva detto che voleva che i suoi assistenti avessero il coraggio di parlare con lei quel pomeriggio.
“Già.” Concordò Louis. “Ma noi non ti abbiamo detto nulla, okay?” Mi chiese, facendomi l’occhiolino.
Finsi di chiudere la bocca con una cerniera e poi lanciai un’occhiata a Harry, che stava parlando con la fotografa e il suo manager. Provai una stretta allo stomaco e rivolsi subito lo sguardo verso gli altri quattro ragazzi. Non avevo idea di come avrei affrontato il giorno successivo se le maledette farfalle nel mio stomaco cominciavano a volare come delle pazze solo a guardarlo dall’altra parte del tavolo.
 
Una volta terminata la cena tornammo tutti nelle nostre stanze. I ragazzi avrebbero dovuto svegliarsi presto per un’intervista radiofonica, quindi anche io e Sophia avremmo dovuto puntare la sveglia più o meno all’alba.
Provai a prendere sonno per parecchio tempo, ma, per quanto mi sforzassi, non riuscii. Mi alzai e decisi di andare a fare una passeggiata per i corridoi dell’albergo. Di certo rimanere sdraiata a fissare il soffitto non mi avrebbe fatto bene. Avrei continuato ad essere tormentata dal sorriso di Fossette a cena. Dalla sua espressione tranquilla mentre parlava con Sophia e il suo manager. Dal pensiero che si era infiltrato nella mia mente e sembrava non avere la minima intenzione di andarsene: vorrei essere io a farlo sorridere così. Vorrei che guardasse me così.
Tornai sul tetto del Roosevelt, con la mia amata macchina fotografica in mano. Volevo osservare il traffico di Los Angeles dall’alto. Volevo vedere le lettere illuminate di rosso.
Mi appoggiai alla balaustra di vetro e guardai le auto sotto di me. Erano tantissime ed era uno spettacolo suggestivo. La strada era divisa in due lunghe file di vetture. Vedevo i fari bianchi di quelle che venivano verso l’hotel e quelli rossi delle auto che, invece, andavano dalla parte opposta. Era uno spettacolo affascinante.
Montai la macchina fotografica sul cavalletto e cominciai a giocare con le impostazioni. Volevo provare a fare una foto a lunga esposizione del traffico notturno. Una di quelle in cui si vedeva la città immobile e poi, in mezzo alla strada, una lunga scia di luce.
“Kim?”
Mi voltai di scatto e trovai Harry dietro di me con i capelli spettinati e l’espressione stanca.
“Ehi.” Lo salutai. Poi mi voltai di nuovo verso la macchina fotografica e lasciai che il ragazzo prendesse posto di fianco a me.
“Non riuscivi a dormire?” Mi chiese.
“No. Tu?”
“Nemmeno io.” Rispose. Gli lanciai un’occhiata di nascosto e vidi il suo sguardo perdersi in lontananza. “Ho pensato che un po’ d’aria fresca potesse aiutare.”
“Già, anch’io.” Replicai. “Sei nervoso per domani?”
Harry puntò il suo sguardo sul mio, facendomi provare un brivido.
“No, in realtà pensavo a te.”
“A me?” Ero agitata, non riuscivo a stare ferma, così cominciai a giocare con la tracolla della mia reflex. Finsi di concentrarmi sulle impostazioni per non guardarlo negli occhi. Sapevo che le mie emozioni mi avrebbero tradita se lo avessi fatto.
“Sì.” Disse lui. “A cena ti ho vista mentre parlavi con i miei amici. Avrei voluto partecipare anch’io alla conversazione, ma… continuava a tornarmi in mente la tua espressione quando ti ho chiesto di scambiarci i numeri di telefono, la settimana scorsa.”
Chiusi gli occhi per qualche secondo, maledicendomi mentalmente.
Quando ti ho detto che non avevo ancora un numero americano e tu hai capito chiaramente che stavo mentendo. Pensai.
“Mi dispiace.” Dissi, sempre senza guardarlo. Premetti il tasto argentato sulla mia macchina e mi allontanai dal cavalletto. Tanto la foto ci avrebbe messo parecchi secondi per scattarsi ed io non avrei dovuto fare assolutamente nulla.
“E’ solo che trovo strano il fatto che tu sia così amichevole con gli altri e così fredda con me. Cosa c’è che non va? Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato a New York?”
“No.” Risposi immediatamente. “No, non sei tu. E’ che Sophia ha queste regole sui clienti e non voglio fare nulla per cui possa essere licenziata.” Aggiunsi abbassando la voce.
Harry si passò una mano tra i capelli e si allontanò dalla balaustra. Si sedette su una delle sdraio sulla terrazza e mi fece cenno di avvicinarmi. Presi posto di fianco a lui e rimasi in silenzio. Non avevo ancora avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
“Chiacchierare con me ti metterà nei guai?” Mi domandò lui dopo qualche minuto, rivolgendomi un sorriso. Alzai gli occhi e incontrai il suo sguardo. Provai un brivido e le farfalle nel mio stomaco cominciarono a volare furiosamente.
Oh sì, finirai per mettermi in seri guai, Fossette. Pensai.

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Where stories live. Discover now