19 - The Family

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“Brian!” Esclamai, presa alla sprovvista. “Wow, sei cambiato!” Aggiunsi. L’ultima volta che l’avevo visto era un po’ sgraziato. Era troppo alto e troppo magro e stava attraversando una fase punk, per cui aveva i capelli costantemente tirati su in una pseudo-cresta. Davanti a me, invece, c’era un ragazzo molto proporzionato, con il fisico muscoloso e i capelli corti e pettinati. Portava gli occhiali da vista ora, ed era completamente diverso.
“Tu invece sei sempre uguale. Sempre la solita K-Bomb! Che ci fai a New York?” Mi chiese. Mi abbracciò e mi piazzò due baci invadenti sulle guance.
“Sto… sto lavorando. Sono l’assistente personale di Sophia Warden. E tu che fai qui?” Risposi.
“La fotografa?”
“Sì, proprio lei.”
Sul volto di Brian apparve un’espressione strana, stupita.
“Wow, non l’avrei mai detto. Io sto studiando, invece! Sono stato accettato alla NYU e faccio odontoiatria.”
“Odontoiatria?” Chiesi. “Wow.”
“Già, dici proprio bene. Wow è la parola giusta! Ti giuro che non avrei mai detto che avresti fatto qualcosa di così figo. Pensavo che saresti diventata un’assistente sociale o qualcosa del genere.”
Lo guardai di traverso. Dovevo prendere quella frase come un insulto personale? Non che ci fosse nulla di male a fare l’assistente sociale, ma era la parte prima che mi lasciava un po’ perplessa.
“E invece eccomi qui.” Dissi. “Beh, è stato un piacere vederti, buona fortuna con gli studi e con la tua nuova vita qui a New York.” Aggiunsi velocemente. Improvvisamente mi erano tornate in mente tutte le notti passate a piangere per colpa sua, tutto quello che era successo. Io non volevo parlare con lui, non volevo dimostrarmi amichevole nei suoi confronti. Mi aveva illusa e poi mi aveva ferita. Poteva andare a farsi fottere.
“Ehi, aspetta!” Esclamò Brian, prendendomi per un polso e trattenendomi. “Non mi aspettavo di vederti e mi ha fatto immensamente piacere.” Continuò. “Che ne dici di uscire a cena una sera di queste, così recuperiamo il tempo perduto?”
Socchiusi un po’ gli occhi e mi liberai dalla sua presa con uno strattone. Prima che potessi trattenermi, sputai una domanda con rabbia.
“Ma come, non stai più con Aria?”
Stupida, stupida Kim. Cosa te ne frega dopo tutti questi anni? E poi tu stai con Fossette.
Lui mi guardò, sorpreso.
“No, con Aria è finita dopo un anno. Mi ha tradito con Sean, ti ricordi? Il nostro compagno di classe.”
Stupida, stupida Kim.
“Scusa, io non… non so cosa mi sia preso.”
“Non c’è problema.” Rispose lui. Poi si avvicinò e sul suo viso si stampò un sorriso malizioso. “Sai, mi sei sempre piaciuta e per tutti questi anni mi sono chiesto perché non ho scelto te. Ma il destino ha voluto che ci incontrassimo di nuovo a New York, proprio in questa caffetteria, e… Che ne dici? Se non ti va di cenare possiamo passare subito al dessert.”
Un’ondata di disgusto pervase il mio corpo. Provai dei brividi lungo le braccia. Volevo prenderlo a pugni. Come si permetteva di dirmi una cosa del genere?
“Ho un ragazzo.” Dissi a denti stretti. “E, anche volendo, non uscirei con te nemmeno se fossi l’ultimo uomo sulla faccia della terra.”
Poi gli cacciai in mano il muffin che mi aveva comprato e tornai al tavolo dalle mie amiche. Tanto avevo perso l’appetito. Brian mi era sembrato così viscido da farmi sentire il bisogno di farmi una doccia.
“Non avevi fame?” Mi chiese Cassie quando tornai al tavolo.
“Sì, ma il caso ha voluto che io incontrassi Brian e adesso ho la nausea.” Risposi. Scoccai un’occhiataccia nella direzione del ragazzo, che era già sparito, e poi scossi la testa. “Stavamo dicendo… quindi uscirai con il tuo collega, Elle?” Domandai. Volevo cambiare argomento. Mi sentivo a disagio e non volevo più pensare a Brian e alla sua proposta.
 
“Ma ieri non eri agitata! Vedrai che andrà tutto bene.” Mi sussurrò Harry. Eravamo in ascensore e stavamo per arrivare al sesto piano dell’appartamento a Irving Place. Al suo interno avrei conosciuto Anne, la madre di Harry, Gemma, sua sorella, e Robin, il patrigno.
“Ieri non mi avevi detto che sono la prima ragazza che presenti ai tuoi genitori!” Sibilai, lisciando con una mano la stoffa della gonna che stavo indossando.
“Kim?” Richiamò lui la mia attenzione. Smisi per un secondo di essere agitata e mi persi nei suoi occhi. “Ti adoreranno, sei perfetta.”
Emisi un piccolo verso di frustrazione e scossi la testa. Non ero perfetta e non sapevo come comportarmi con i genitori del mio ragazzo.
“C’è qualche argomento di cui non devo parlare?” Domandai.
“No. Devi solo stare tranquilla.” Replicò lui, avvicinandosi per darmi un bacio sulle labbra. L’ascensore si fermò con un piccolo salto e si aprirono le porte. “Vedremo come sarò agitato io quando mi presenterai alla signora Fletcher in Inghilterra.” Borbottò lui dopo qualche secondo. Quel pensiero mi strappò un sorriso e improvvisamente mi sentii più calma.
Fossette mi prese per mano e mi accompagnò in casa. Annunciò il suo rientro alla famiglia, che stava aspettando pazientemente sul divano nero, e poi cominciò a presentarci tutti.
Guardai la madre, Anne, e immediatamente capii da dove aveva preso tutta quella bellezza Harry. Era una donna stupenda. Mi salutò con un sorriso e poi mi abbracciò.
Gemma, la sorella maggiore di Harry, era bella quanto la madre e il fratello. In realtà era uguale a Fossette. Avevano lo stesso sorriso.
“Kim! Piacere di conoscerti!” Esclamò la ragazza. Anche lei mi abbracciò e poi mi strinse la mano. “Finalmente ti conosco! È da un bel pezzo che sento parlare di te!”
“Piacere mio, Gemma!” Risposi. Così Fossette aveva raccontato di me a sua sorella? Beh, in teoria era un buon segno, no?
Robin, un uomo alto con i capelli e i baffi grigi, mi strinse la mano e mi sorrise.
“È un vero piacere, Kim.” Disse.
“Piacere mio.” Replicai.
“Dov’è la banda di pazzi questa sera?” Domandò Anne, guardandosi intorno.
“Già, c’è troppa pace in questo posto!” Esclamò Gemma.
“Zayn è a cena con la gemella di Kim. Niall, Louis e Liam, invece, sono andati a casa di un loro amico a cena. Poi credo che usciranno, ma non mi hanno detto nulla di preciso.”
Ci accomodammo tutti al tavolo vicino alla finestra, da cui si vedeva il traffico di Manhattan, e cominciammo a chiacchierare. Fortunatamente Anne, Robin e Gemma erano persone simpaticissime e mi misero subito a mio agio, raccontandomi episodi divertenti su Harry. Scoprii che da bambino era davvero una peste, come mi aveva raccontato quella sera sul tetto del Roosevelt Hotel, e Gemma mi confermò che non lo sopportava.
“Cantava a ogni ora del giorno e della notte, era impossibile concentrarsi e studiare.” Disse, poi scoppiò a ridere.
Il suono del campanello interruppe le nostre risate e Harry andò a ritirare le pizze.
Non avevo mai incontrato i genitori di nessuno dei ragazzi con cui ero uscita – o almeno non in modo ufficiale – e mi ero sempre immaginata quel momento come qualcosa di imbarazzante. Pensavo che nessuno di noi avrebbe avuto nulla da dirsi e che avremmo passato minuti di orribile silenzio. Invece non si faceva in tempo a finire una frase, che qualcun altro stava già parlando. E la cosa bella era l’atmosfera che si era creata. Eravamo tutti allegri e continuavamo a ridere.
La famiglia di Harry era esattamente come immaginavo sarebbe stata una famiglia perfetta. Si volevano tutti bene e mi facevano sentire parte del gruppo. Era una bella sensazione.
 
“Spiegaci qual è il segreto, non ho mai visto mio fratello così felice con una ragazza.” Disse Gemma.
Ormai avevamo finito di mangiare e ci eravamo sistemati sui divani con delle bottiglie di birra. Eravamo tutti inglesi, noi eravamo abituati a bere dai diciotto anni e il limite dei ventuno ci sembrava eccessivo. Louis aveva rifornito il frigo, così ci eravamo serviti.
Guardai Fossette, che sorrise con un po’ di imbarazzo. Mi resi conto che anche per lui non doveva essere facile avere il coraggio di presentare una ragazza ai genitori.
“Beh, innanzitutto devo dire che all’inizio lei non mi voleva.” Replicò dopo qualche secondo.
“Ah, quindi è quello il motivo.” Disse la madre con un sorriso. “Hai dovuto fare fatica!” Esclamò e poi scoppiò a ridere.
“Di solito per lui è facile conquistare qualcuno. Lo è sempre stato da quando era alto così.” Raccontò Gemma. “Ricordo quando andavamo in vacanza al mare. Io dovevo portarlo con me e le mie amiche, perché mamma non voleva che lo lasciassi da solo. Dopo mezz’ora le aveva conquistate tutte. Lo seguivano ovunque e pendevano dalle sue labbra. Non so come faceva, giuro! Erano anche più grandi di lui di tre anni!” Esclamò.
“Ehi, non chiederlo a me. Io ero solo un bambino!” Si giustificò lui.
“Sono le fossette.” Dissi con sicurezza. “Se non le avessi avute non ti avrei degnato di un secondo sguardo.” Aggiunsi in tono scherzoso.
“Certo, certo.” Replicò il ragazzo, scuotendo la testa e ridendo.
“Siete proprio una bella coppia.” Disse Anne, sorridendo. “Sono contentissima di averti conosciuta, Kim. Quando tornerai in Inghilterra sarai la benvenuta da noi tutte le volte che vorrai.”
“Grazie.” Replicai. “Anch’io sono felicissima di avervi conosciuti.”
Robin, Anne e Gemma si alzarono dal divano e si avviarono verso la porta.
“Noi torniamo in hotel, perché non ci siamo ancora abituati del tutto al fuso orario e siamo un po’ stanchi.” Disse la madre del ragazzo. Guardai l’orologio e notai che, in effetti, avevamo fatto tardi. Ci eravamo fermati a chiacchierare ed era quasi mezzanotte. Io avrei dovuto andare al lavoro il giorno successivo, ma non mi importava.
Dopo esserci salutati tutti, i familiari di Harry lasciarono l’appartamento e noi ci ritrovammo da soli. Fu una questione di pochi secondi prima che ci ritrovammo a baciarci e ad inciampare l’uno nei piedi dell’altra per raggiungere la camera da letto.
 
Il mattino successivo mi svegliai abbracciata a Harry e con la sensazione che nulla avrebbe potuto andare storto durante quella giornata. Non mi ero mai sentita in quel modo in tutta la mia vita e non avevo idea del motivo per cui provassi certe cose. Ero innamorata di lui, ormai era palese. Lo sapevo io, lo sapeva anche lui e, probabilmente, lo sapevano anche tutti i nostri amici e la sua famiglia. E la cosa più bella era che lui ricambiava i miei sentimenti.
“Buongiorno.” Mormorò il ragazzo, girandosi verso di me e aprendo gli occhi lentamente. La mia sveglia aveva cominciato a suonare e avevo meditato di lanciarla fuori dalla finestra. Per quale motivo avrei dovuto lasciare quel letto?
“Buongiorno.” Risposi, sorridendo automaticamente appena il mio sguardo incontrò il suo. “Mi dispiace di averti svegliato così presto.”
“Ma figurati.” Replicò Harry. “Tanto volevo alzarmi comunque, perché ho delle cose da fare.”
“Okay, va bene. Continua pure a fare il misterioso.” Scherzai.
“E tu preparati per andare al lavoro, se no farai tardi.” Rispose lui.
“No.” Borbottai. “Prima devo fare una cosa.” Mi avvicinai e posai le labbra sulle sue. Lui mi abbracciò istintivamente ed io mi sentii completa e felice.
“Ti amo, Harry.” Mormorai nel suo orecchio. Era la prima volta che dicevo quelle parole ad alta voce. Certo, gli avevo confessato di essermi innamorata di lui, ma dire “ti amo” era diverso. Era terrificante ed elettrizzante nello stesso momento.
“Ti amo anch’io, Kim.” Rispose lui. “E adesso vai, non voglio che tu commetta il primo grande errore per colpa mia. So che Sophia odia chi arriva in ritardo.”
Con riluttanza, mi alzai dal letto e raggiunsi il bagno.
Quando tornai nella zona giorno, trovai Harry seduto al tavolo con due tazze di caffè e due muffin.
“Ho fatto una corsa da Starbucks e ho preso la colazione.” Spiegò.
Avevo trovato il ragazzo più perfetto del pianeta.

***


Quella mattina Amber non si presentò al lavoro. Mi mandò un messaggio, dicendomi che aveva avuto un’urgenza ed era dovuta correre dal dentista e mi aveva chiesto di aiutarla in caso Sophia avesse avuto bisogno di qualcosa da lei.
“Kim, ho bisogno di te!” Urlò la mia datrice di lavoro dallo studio. Stava scattando foto a due modelle per una rivista di moda, mentre io mi destreggiavo tra il mio ruolo e quello di Amber.
“Arrivo!” Replicai. Era stata una mattina infernale e non vedevo l’ora del momento del pranzo per rilassarmi un po’. Avevo già programmato di comprare qualcosa di veloce e andare a mangiarlo al parco.
“Ho bisogno di spedire questa attrezzatura allo studio del mio amico Alec, con la massima urgenza. Abbiamo girato insieme il video per il suo matrimonio e questo proiettore e la pellicola devono arrivargli tassativamente entro domani sera.” Spiegò. “L’indirizzo è sul tavolo di fianco al computer. Te ne occupi tu?”
“Certo.” Risposi. Spostai lo scatolone che mi aveva indicato la donna alla scrivania di Amber, recuperai il foglio con l’indirizzo e chiamai il servizio di consegne per organizzare il ritiro.
Proprio mentre stavo chiudendo il pacco con il nastro adesivo vidi lo schermo del mio cellulare illuminarsi. Sorrisi istintivamente alla vista della foto della parte inferiore del viso di Harry e risposi, dopo essermi assicurata che Sophia non fosse nei paraggi. Fortunatamente aveva la musica piuttosto alta in studio, quindi potevo rispondere.
“Sei pazzo?” Sibilai.
“No, volevo solo sentirti per dirti una cosa.” Replicò lui con tranquillità.
“Dimmi. E fai veloce, perché sto lavorando e non voglio che Sophia mi scopra.” Sussurrai. Poi riuscii in qualche modo a tenere il telefono in equilibrio tra l’orecchio e la spalla, mentre scrivevo l’indirizzo della consegna sulla bolla che avevo appena applicato allo scatolone.
“Ti amo.”
Alzai gli occhi dallo scatolone e sorrisi. Mi aveva telefonato per quello?
“Tu sei completamente pazzo.” Risposi, ridendo. Cercai di capire perché le farfalle nello stomaco non erano mai sparite, nonostante ormai stessimo insieme da poco più di due mesi. Erano ancora lì e le sentivo svolazzare ogni volta che sentivo il suo nome o la sua voce o lo vedevo. E l’idea che mi avesse chiamata solo per dirmi che mi amava mi rendeva piuttosto felice.
“Beh sì, tecnicamente sono pazzo di te.”
“Harry?” Lo chiamai. “Ti amo anch’io.” Aggiunsi.
Lo sentii ridacchiare dall’altra parte del telefono. Terminò la conversazione ed io cominciai a riflettere. Mi fidavo di lui e lo amavo. E il mio terrore era che potesse fare qualcosa che lo rendesse più umano, meno perfetto. Avevo paura di smettere di provare qualcosa per lui, di trovare qualcosa che me lo facesse odiare.
 
All’ora di pranzo salutai Sophia, recuperai la mia giacca e uscii di corsa dallo studio. Nella fretta andai a sbattere contro un ragazzo che stava entrando.
“Scusa!” Esclamai, massaggiandomi la spalla.
“No, scusa tu.”
Brian. Cosa diavolo ci faceva fuori dal mio posto di lavoro? Alzai lo sguardo su di lui e gli rivolsi un’espressione sorpresa.
“Cosa fai qui?” Domandai alla fine.
“Mi sentivo in colpa per quello che ho detto quando ci siamo visti in caffetteria e volevo chiederti scusa. Non sono riuscito a smettere di pensarci per praticamente un mese.”
“Okay, ma come sapevi dove trovarmi?”
Manhattan non era enorme, ma il fatto di aver trovato Brian nella caffetteria in cui ero e poi davanti al mio posto di lavoro cominciava a essere inquietante.
“Mi avevi detto il nome della fotografa per cui lavori, così ho cercato il suo studio su Internet. Mi sentivo una merda, te lo giuro.”
Giusto, mi ero completamente dimenticata di quello che ci eravamo detti. L’avevo rimosso dalla mia mente. Dovevo smettere di essere così paranoica.
“Per farmi perdonare ho pensato di invitarti a cena.”
Roteai gli occhi al cielo.
“Grazie, Brian.” Dissi, cercando il modo migliore per rifiutarlo. “Ti perdono per quello che hai detto in caffetteria, ma non sono interessata a venire a cena con te.”
Stava cominciando a darmi sui nervi.
“Lo so, Kim. Sono stato veramente uno scemo a comportarmi come mi sono comportato, ma giuro che voglio solo chiacchierare da amici. Una semplice cena, ci raccontiamo quello che è successo in questi anni e poi amici come prima.”
Avrei voluto rispondergli che non volevo rimanere sua amica, ma forse andare a cena con lui era l’unico modo per levarmelo di torno.
Che cosa avrei potuto fare?

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Where stories live. Discover now