10 - The Terminal

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Il mattino successivo riuscii ad evitare lo sguardo di Harry per  quasi tutto il tempo. Sul van che ci portò tutti all’aeroporto mi concentrai su Louis e Liam e parlammo del fatto che loro due avevano scritto la maggior parte dell’ultimo album della band e di come fosse stato divertente il processo creativo.
Quando arrivammo all’aeroporto, dopo qualche foto, fu il momento di salutarci. Fu una sensazione strana, perché durante la giornata precedente avevo creato un rapporto di più o meno amicizia con quasi tutti i ragazzi e mi sarebbe dispiaciuto non vederli più. E poi c’era tutto quello che era successo con Harry. La notte passata a parlare, la nuotata nell’oceano e quel bacio carico di fuoco e passione fuori dalla porta della mia stanza d’hotel. Come avrei fatto a fare finta di nulla?
Liam, Niall, Louis e Zayn mi abbracciarono e mi diedero un bacio su ogni guancia per salutarmi. Poi Harry, approfittando della distrazione di Sophia – che aveva cominciato a parlare con il manager della band – mi chiese di seguirlo e ci allontanammo un po’ dal gruppo.
“Kim, quello che è successo ieri sera…” Cominciò lui.
“Non è successo niente.” Ribattei velocemente.
Lui mi guardò con aria scettica.
“Lo sai anche tu che è successo qualcosa. C’eri anche tu.”
“Che cosa vuoi che ti dica, Harry?” Domandai improvvisamente. “Che baciarti è stata la decisione migliore che abbia mai preso? No, è stata la peggiore. E’ stato uno sbaglio enorme. Un errore che non avrei mai dovuto fare.” Dissi.
Lui scosse la testa e sbuffò.
“Perché continui a negare che hai provato qualcosa?”
“No.” Replicai. “Non sto negando di aver provato qualcosa. Sto solo dicendo che quello che ho provato è sbagliato.”
“Ma non deve esserlo.” Disse lui. “Perché hai paura dei tuoi stessi sentimenti?”
“Perché non posso provarne per te.”
“Hai paura che la distanza possa rendere le cose difficili? Perché mi basta che tu dica una parola, Kim. Una sola parola ed io non salirò su quell’aereo per l’Inghilterra e passerò tre mesi a New York con te.”
Per un momento pensai a quella proposta. La prospettiva di passare tre mesi a New York con Harry non mi sembrava per niente male. Avrei potuto uscire a pranzo con lui, presentarlo alle mie coinquiline e approfittare delle sere in cui il Club del Libro mi avrebbe permesso di avere la casa vuota per fare l’amore con lui e passare il tempo a coccolarci nel mio letto. Avremmo parlato di tutto e ci saremmo innamorati, perché in qualche modo sapevo che lui era quello giusto per me, nonostante avessimo passato solo poco tempo insieme. Non sapevo nemmeno io spiegare come, era qualcosa che sentivo dentro di me.
Ma cosa stavo pensando? Quelle cose succedevano solo nei film. In realtà Harry avrebbe conosciuto la vera Kim, quella cinica e che odiava le cose sdolcinate e si sarebbe stancato dopo poche settimane. Mi avrebbe tradita alla prima occasione o mi avrebbe lasciata per tornare in Inghilterra e mi avrebbe spezzato il cuore come avevano fatto tutti gli altri. Perché in fondo era quello che avevano fatto tutti gli uomini e i ragazzi nella mia vita. Se ne erano andati e mi avevano spezzato il cuore.
Aveva cominciato il mio vero padre, quello che non avevo mai nemmeno conosciuto, e poi avevano continuato tutti i ragazzi che avevo conosciuto a scuola. E per ultimo il signor Fletcher, che se ne era andato di casa quando aveva divorziato dalla moglie e aveva abbandonato anche lui Cassie e me.
Non avrebbe mai funzionato, era anche inutile sperarci. Ero solo una stupida illusa e avrei finito per soffrire ancora.
“Fai buon viaggio, Harry.” Mi costrinsi a rispondere.
Sapevo che dirgli arrivederci era la cosa giusta da fare, ma allora perché mi sentivo come se il mio cuore si fosse appena rotto in un milione di piccoli frammenti? Perché continuavo a sperare che lui non accettasse quella risposta e che rimanesse lo stesso a New York con me?
Il ragazzo abbassò lo sguardo, deluso.
“Fai buon viaggio, Kim.” Mormorò. Non ci abbracciammo e non ci scambiammo nemmeno un bacio sulla guancia. Ci allontanammo entrambi, lui in una direzione ed io in quella opposta, senza più dire una parola.
 
Arrivai a New York più o meno alle sei di sera e, dopo aver condiviso un taxi con Sophia, mi ritrovai da sola davanti alla porta del palazzo in cui abitavo. Respirai profondamente un paio di volte prima di cercare le chiavi nella borsa e decidermi a salire. Avevo passato sei ore in aereo a cercare di non pensare a quello che era successo a Los Angeles e a obbligarmi a non piangere. Harry Styles non meritava nessuna delle mie lacrime. Inoltre non volevo che nessuno – né Sophia, né gli altri sconosciuti a bordo dell’aereo – mi vedesse piangere. Non era successo nulla. Avevo conosciuto un ragazzo, ero stata stupida e avevo permesso che mi baciasse e poi ci eravamo salutati. Fine della storia.
L’ascensore si fermò al quarto piano con un salto. Trascinai la mia valigia in corridoio e notai la porta della signora Newman aprirsi più del solito.
“Si sta trasferendo, signorina?” Mi domandò, emergendo dall’appartamento. Insieme a lei uscì una nuvola di profumo al borotalco.
“No, sto tornando da un viaggio di lavoro.” Risposi. Vecchia impicciona.
La donna mi guardò con aria scettica per qualche secondo.
“Non è giovane per fare viaggi di lavoro? Di cosa si occupa?”
Degli affari miei, al contrario di te. “Sono l’assistente personale di una fotografa.” Risposi invece.
La signora Newman mi fissò ancora per qualche minuto, in silenzio. Mi domandai se fosse il caso di mandarla a quel paese e rifugiarmi nel mio appartamento. Avevo bisogno di vedere Cassie per raccontarle tutto quello che era successo. E sì, ero anche stanca per il viaggio e per aver dormito pochissimo durante quei giorni.
“Usate il computer?” Mi domandò insospettita. Sorpresa dalla domanda, abbozzai un sorriso.
“Sì, lo usiamo per scegliere gli scatti e modificare la luce e…” Cominciai a dire. L’anziana vicina alzò gli occhi al cielo.
“Il computer!” Esclamò. “Oh, questi lavori moderni! Non ci sono più i fotografi di una volta! Aaah, ai miei tempi…” Disse e tornò nel suo appartamento chiudendo la porta alle sue spalle, dove continuò a borbottare parole indistinte.
Scossi la testa e ricominciai a trascinare la valigia. Elle e Piper mi avevano detto che la signora Newman era un po’ strana, ma non avevo ancora avuto il piacere (o il dispiacere) di conoscerla di persona.
 
Mi avvicinai alla porta del mio appartamento e notai subito qualcosa di strano. Non era chiusa a chiave. Quale persona sana di mente lasciava la porta aperta a New York?
La aprii lentamente ed entrai. Le luci erano tutte spente e c’era un silenzio innaturale. Le mie coinquiline avrebbero dovuto essere a casa, perché era sabato e nessuna di loro lavorava o aveva lezione. Inoltre era ora di cena, dov’erano finite tutte?
Mille pensieri cominciarono a impossessarsi della mia mente. E se qualcuno fosse entrato e avesse svaligiato la casa? E se avessero ucciso le mie coinquiline? Lo sapevano tutti che New York era una delle città con il più alto tasso di criminalità al mondo.
Avanzai di qualche passo, con il cuore in gola e le gambe che tremavano, cercando con la mano l’interruttore della luce. Le tende erano chiuse e il livello di visibilità era pari a zero. Cosa avrei trovato una volta acceso? I mobili rovesciati? Le mie coinquiline per terra in una pozza di sangue? Valutai velocemente la situazione. Non avevo nemmeno qualcosa con cui difendermi in caso qualcuno fosse ancora in casa. Perché non tenevamo un ombrello di fianco alla porta? O una mazza da baseball. Quella sarebbe stata ancora più utile.
La stanza si illuminò di colpo dopo che, con dita tremanti, avevo trovato il tasto giusto.
“Sorpresaaa!” Esclamarono Piper, Elle e Cassie, sbucando da dietro il divano. “Bentornata!” Aggiunsero.
Ed io, invece di ridere o di avere qualsiasi tipo di reazione normale, urlai e indietreggiai, finendo contro il muro.
“Cazzo!” Esclamai, massaggiandomi il gomito. La valigia era caduta durante il salto, colpendo la mia caviglia. “Ma siete impazzite?!” Aggiunsi quando mi sembrò che il cuore non stesse più per uscire dal mio petto.
“Scusa, Kim! Non pensavamo che avresti avuto paura.” Disse la mia gemella, avvicinandosi e raccogliendo la mia valigia.
“Mi avete spaventata a morte! Pensavo che qualcuno si fosse introdotto nell’appartamento e vi avesse uccise!!” Replicai. Poi notai alcuni palloncini con la scritta “Bentornata!” nell’angolo cucina e uno striscione che diceva la stessa cosa. Mi sentii molto stupida. “Grazie per il pensiero, però. E’ stato molto carino.” Aggiunsi quando riuscii a ritrovare il sorriso. Forse la mancanza di sonno mi aveva resa paranoica. Forse ero solo stanca.
“Scusaci davvero, non pensavamo che ti saresti spaventata così tanto!” Esclamò Piper.
“Nessun problema.” Replicai.
“Per farci perdonare ti abbiamo preparato una torta.” Disse Elle, indicandomi il bancone della cucina. “O meglio, l’ha fatta Piper.”
“E’ al pistacchio, perché oggi è la giornata nazionale del pistacchio.” Commentò l’autrice della torta con un sorriso.
“Non farci caso.” Intervenne Elle, sistemandosi i capelli dietro le spalle. “Ieri P. ha scaricato un calendario che riporta feste strane e si è messa in mente di festeggiarle tutte.”
“Ehi, è una cosa divertente! Domani è la giornata dedicata agli orsi polari!” Esclamò Piper sulla difensiva.
“E cosa farai per festeggiarli, ne adotterai uno?” Chiese Cassie, incuriosita.
“No, andrò allo zoo di Central Park.” Rispose. “Non ho mai visto un orso polare e domani mi sembra il giorno perfetto per rimediare a questa cosa.”
“E quando c’è più di una festa cosa fai?” Domandò ancora Cassie.
“Cercherò di fare più cose possibili. Ovviamente mi capiterà di non riuscire a fare qualcosa. Non lo so, improvviserò.”
“D’accordo.” Rispose Elle, scuotendo la testa e ridendo. “Tornando a te, com’è andata a Los Angeles? Forza, siediti e raccontaci tutto!” Esclamò la ragazza, indicandomi uno sgabello. Ordinammo velocemente qualcosa da mangiare da un ristorante cinese take away poco lontano e ci sedemmo tutte vicine. La mia gemella e le mie coinquiline non vedevano l’ora di sapere quello che era successo in California. Cosa avrei potuto dire loro? Avrei potuto fidarmi di Elle e Piper? Di Cassie ero sicura di sì, la mia gemella avrebbe mantenuto un segreto fino alla morte. Ma le altre due ragazze?
“E’ stato stancante, ma molto bello. Più che altro ho un sonno pazzesco, perché ho dormito pochissimo.” Risposi.
“Hai lavorato anche di notte?” Mi chiese Cassie.
“No, è che…” Cominciai a dire. Al diavolo, erano le mie coinquiline. Avrebbero capito. “La prima notte l’ho passata interamente a parlare con Harry sul tetto dell’hotel.” Dissi.
“Dimmi che la seconda l’hai passata nel suo letto, ti prego.” Intervenne Piper, incrociando le dita. Mio malgrado, scoppiai a ridere.
“No, la seconda l’ho passata a fissare il soffitto della mia stanza perché ci siamo baciati ed è stato uno sbaglio.” Risposi velocemente, sperando che nessuna di loro capisse quello che avevo appena detto.
“Hai baciato Harry Styles?” Mi chiese Elle.
“No, tecnicamente lui ha baciato me.”
“Perché è stato uno sbaglio? Non mi pare che stia uscendo con nessuna al momento.” Mi chiese Piper.
Cassie, che sapeva della regola di Sophia, mi rivolse un sorriso incoraggiante.
“Perché il mio capo mi ha espressamente vietato di uscire con i clienti.” Replicai.
“Beh, ma tecnicamente passare una notte di passione in una stanza d’hotel non è uscire. A meno che non sia uno a cui piace farlo in pubblico.” Scherzò Piper.
“No, ma… non è così semplice.” Dissi. Io non credevo nell’amore a prima vista e in tutte quelle stronzate, ma non riuscivo a spiegarmi quello che avevo provato con Fossette in nessun altro modo.
In pochi minuti raccontai tutto quello che era successo in California alle altre ragazze, che mi ascoltarono attentamente e maledissero il ragazzo delle consegne quando interruppe la mia storia sul più bello. Andai ad aprire, lo pagai e poi ripresi a parlare davanti a una scatola di spaghetti di soia che avevano un profumo celestiale.
“Tu sei la persona più pazza che io abbia mai conosciuto.” Decretò Piper alla fine. “Voglio dire, hai vissuto una situazione da film e un ragazzo come Harry Styles ti ha detto che avrebbe passato tre mesi a New York con te e tu hai rifiutato per una stupida regola del tuo capo?” Domandò la ragazza. Poi si guardò intorno, cercando l’approvazione di Elle e Cassie, che annuirono.
“La stupida regola potrebbe costarmi il mio lavoro.” Dissi.
“Certo, se qualcuno sapesse della vostra storia e lo dicesse a Sophia.” Intervenne la mia gemella. “Ma pensaci un attimo: avrebbe potuto funzionare se aveste tenuto la cosa segreta.” Aggiunse.
“Ma figurati, non ne vale la pena.” Dissi, sbuffando.
“Ne vale sempre la pena, quando si tratta del vero amore.” Disse Elle.
Deglutii e mi passai una mano tra i capelli. Avevo fatto l’errore più grande della mia vita, rifiutando quella proposta? D’accordo, non credevo nell’amore e nelle cose romantiche e sdolcinate, ma se ci fosse stato davvero qualcosa di forte tra Harry e me? Che idiota ero stata.
“Oh beh.” Commentai dopo qualche minuto. “Se è davvero destino ci incontreremo di nuovo, giusto?” Aggiunsi, citando quello che la mia gemella amava dire quasi tutti i giorni. Lei ci credeva fermamente. Pensava che tutto succedesse per una ragione e varie cose del genere. Io non ero così.
Piper decise di cambiare argomento, forse perché aveva visto la mia espressione mentre parlavamo di quello che era successo in aeroporto, così finimmo di cenare, ridendo e scherzando. Cassie ci raccontò le sue ultime disavventure al negozio di abiti da sposa, mentre Elle ci deliziò con una storia divertente sul suo capo alla redazione di Seventeen Magazine.
Poi, quando Piper si alzò per andare a prendere la torta, sentimmo delle urla nel corridoio. Sembrava che un uomo e una donna stessero litigando e, a giudicare dai tonfi, qualcuno le stava prendendo di santa ragione.
Ci alzammo tutte per andare a guardare dallo spioncino. Qualcuno stava picchiando la signora Newman?
“Certo, come no! Come ha fatto a salire al piano se non ha le chiavi? Io chiamo la polizia se non se ne va immediatamente!” Urlò la donna anziana. Elle cominciò a guardare fuori e Piper prese in mano il telefono in caso dovessimo chiamare la polizia.
“Non sono un ladro!” Esclamò il ragazzo. Perché la sua voce mi sembrava familiare? Era bassa, roca e aveva l’accento inglese.
Spostai Elle e aprii la porta, trovandomi faccia a faccia con Fossette, che si stava riparando la testa dalle ombrellate che gli stava tirando la signora Newman.
“Harry!” Esclamai. La donna si fermò per qualche istante, spostando lo sguardo da me al ragazzo.
Era davvero lui. Ed era a New York, nel corridoio del palazzo in cui abitavo.

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Where stories live. Discover now