13 - The Mistake

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Fuochi d’artificio. Non sapevo come altro descrivere quello che era successo la sera prima con Harry. Con Fossette. Non ci conoscevamo da tanto, ma era come se, in realtà, non fosse la nostra prima volta insieme. Era come se lui sapesse esattamente quello che volevo, quello che mi piaceva e viceversa. Non avevo mai provato quel tipo di sensazioni con nessun ragazzo – e non ne avevo avuti molti, in realtà. Dopo Chad ero stata a letto solo con un tizio di nome Jacob prima di Harry.
Fossette ed io eravamo incredibilmente compatibili, sembrava che fossimo stati creati l’uno per l’altra.
 
Mi svegliai presto per colpa di un raggio di sole pallido che si era posato esattamente sul mio occhio. Harry stava ancora dormendo, così mi fermai a guardarlo per qualche secondo. Aveva un’espressione pacifica sul viso e dormiva profondamente. Il suo corpo era coperto solo parzialmente dal lenzuolo azzurro e i capelli ricci formavano una coroncina spettinata intorno al suo bellissimo viso. Dormiva a pancia in giù e vedevo la schiena alzarsi e abbassarsi ritmicamente seguendo il suo respiro.
Mi misi a sedere il più lentamente possibile. Non volevo svegliarlo. Non potevo. Mi passai una mano tra i capelli e sospirai. Avevo passato la notte più bella della mia vita, avevo provato sentimenti che non pensavo nemmeno potessero esistere e, nonostante la notte prima non avessi paura… beh, quella mattina ero terrorizzata. L’intensità delle emozioni che provavo voleva dire solo una cosa: il dolore, quando la nostra relazione – o in qualunque modo si potesse chiamare quello che c’era tra di noi – sarebbe finita, sarebbe stato inaffrontabile. Ed io non volevo che qualcuno avesse il potere di ferirmi in quel modo. Non potevo permetterlo.
Mi alzai dal letto in cui avrei voluto rimanere per il resto della mia vita. Avevo il cuore pesante. Mi sentivo come se fossi caduta nell’acqua con tutti i vestiti. Mi sembrava di aver corso una maratona sotto il sole bollente del deserto.
Senza far rumore recuperai tutti i miei vestiti dal pavimento, mi rivestii e, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata, uscii da quella stanza e chiusi la porta alle mie spalle. Era la cosa giusta da fare. Dovevo andarmene mentre i sentimenti erano ancora nuovi. Dovevo allontanarmi da quella situazione prima che quello che provavo per lui potesse farmi così male da uccidermi.
Guardai l’orologio. Erano appena scattate le sette del mattino. Avrei fatto in tempo a tornare a casa, buttarmi sotto la doccia, vestirmi, truccarmi e andare al lavoro. Magari avrei anche potuto sedermi da qualche parte, da sola, a riflettere. No, chi volevo prendere in giro? Non volevo rimanere da sola. Avevo bisogno di distrazioni. Dovevo rimanere in compagnia il più possibile.
“Buongiorno!” Sentii una voce provenire dalla zona cucina della casa. Mi bloccai, con il cuore in gola e gli occhi sgranati. Non era Harry, ne ero sicura. Doveva essere uno dei suoi amici.
Mi voltai lentamente e trovai Zayn con i capelli spettinati, un accenno di barba e una tazza di caffè in mano.
“Buongiorno.” Replicai a bassa voce, nella speranza che Fossette non si svegliasse. Era già stato difficile separarmi da lui così, mentre dormiva. Non sarei mai riuscita ad affrontarlo sveglio.
“Caffè?” Propose il ragazzo, allungando verso di me la caraffa con il liquido scuro.
Non dissi nulla. Non sapevo cosa dire. Non volevo nulla, non volevo nemmeno che lui mi parlasse insieme. Vidi l’espressione di Zayn cambiare. Aveva capito quello che stava succedendo.
“Io… non posso rimanere qui.” Dissi. Poi mi affrettai verso la porta, prima che lui potesse rispondere qualsiasi cosa. Avevo paura che potesse convincermi a restare. Perché immaginavo che l’avrebbe fatto. Lui era amico di Harry, voleva solo il meglio per il ragazzo. E ciò non comprendeva sicuramente essere piantato dalla ragazza con cui stava uscendo – dalla ragazza per cui non era tornato a casa dalla sua famiglia durante la pausa dal tour – dopo una notte insieme.
 
L’aria fredda del mattino di New York mi colpì come uno schiaffo in pieno viso. Cominciarono a bruciarmi gli occhi, ma non volevo piangere. Le strade brulicavano già di persone dirette in ufficio. Vidi un gruppetto di ragazzi più o meno della mia età che erano chiaramente ancora fuori dalla notte prima. Stavano ridendo e una delle ragazze non riusciva nemmeno a stare in piedi sui tacchi.
Passai davanti a uno Starbucks e contemplai l’idea di entrare per fare colazione. Avevo bisogno di tutte le mie forze per affrontare quella giornata. Aprii la porta e le note di una canzone mi investirono. Conoscevo quella voce. Era di Fossette.  Ma ero sicura che quel brano non fosse un singolo, perché non l’avevo mai sentito prima.
 
I don't care what people say when we're together
You know I wanna be the one who hold you when you sleep
I just want it to be you and I forever
I know you wanna leave so come on baby be with me so happily”

 
Non sapevo nemmeno io se ridere o no davanti a quel beffardo scherzo del destino. Ma no, in quel momento non avevo proprio voglia di ridere. Anzi. I miei occhi si riempirono di lacrime, richiusi la porta del negozio senza entrare e cominciai a camminare velocemente verso l’appartamento che condividevo con Piper, Cassie ed Elle.
 
“Buongiorno!” Esclamò la mia gemella quando entrai in casa. Fantastico, erano già tutte sveglie. Avevo sperato di riuscire a sgattaiolare in bagno, chiudermi nella doccia e rimanere lì, con l’acqua calda che scorreva sul mio corpo, per ore. Speravo che mi aiutasse a scaldarmi, perché in quel momento mi sentivo vuota e fredda.
“Ciao.” Dissi, richiudendo la porta alle mie spalle. Sapevo che si era già accorta del tono della mia voce, dell’espressione nei miei occhi. Era la mia gemella, era probabile che lo sapesse da ancora prima che entrassi da quella porta.
“Ehi, che succede?” La domanda arrivò dopo pochi secondi, esattamente come avevo previsto. Cassie abbandonò quello che stava facendo dietro il bancone della cucina e mi accompagnò al divano, dove mi fece accomodare e mi osservò.
Piper ed Elle, che stavano facendo colazione, ci raggiunsero. Dovevano sempre muoversi tutte in gruppo? Quel pensiero mi sorprese. Non ero arrabbiata con loro, non dovevo sfogare la mia frustrazione sulle mie amiche. Sulle persone che mi stavano vicine. Ero arrabbiata con me stessa, era diverso.
“E’… è successo qualcosa?” Mi chiese Piper. Capivo dalla sua espressione che non voleva fare domande inappropriate, ma era preoccupata.
Non sapevo nemmeno io cos’era successo con esattezza. Sapevo di aver passato la notte più bella della mia vita e poi, dopo aver dormito, mi ero svegliata con la consapevolezza che doveva finire, perché non avrebbe mai funzionato. Non era umanamente possibile essere così felici con qualcuno. Avrei finito per piangere accasciata sul pavimento del bagno quando sarebbe finita. Perché lo sapevo, lui se ne sarebbe andato come tutti gli altri.
“Vi dispiace se non ne parliamo?” Domandai. Le ragazze mi guardarono con apprensione.
“Assicuraci solo che non ti è successo nulla e che stai bene.” Insistette Cassie. “E poi possiamo parlarne quando te la sentirai, se te la sentirai.”
Avevano davvero paura che Fossette fosse un ragazzo pericoloso? Lo era, ma non in quel senso. Era pericoloso perché sembrava troppo perfetto.
“Non è successo nulla che io non volessi.” Dissi lentamente. “Sto bene.” Mentii poi. Non era vero, mi sentivo a pezzi, ma fisicamente non avevo nulla. Era il mio cuore che quel giorno era distrutto e la colpa era stata solo mia.
“D’accordo.” Replicò Cassie. Sentivo dell’incertezza nella sua voce, ma sapevo che si fidava di me.
“Allora, Piper, che feste strane ci sono oggi?” Domandai dopo qualche secondo per cambiare argomento.
“Oh, sono due cose difficili.” Replicò la ragazza. “E’ la giornata dei pisolini in pubblico e della fatina dei denti.” Aggiunse.
“Puoi sempre dormire in università.” Suggerì Elle.
Piper la guardò con aria scandalizzata.
“Sei pazza? E mi perdo la spiegazione? E poi chi mi passa gli appunti? Sono io che li spaccio a tutti i miei compagni di corso.”
“Dovresti farti pagare.” Dissi io. “Tu fai tutto il lavoro e gli altri se la dormono tranquillamente a lezione.”
“Ehi, ma oggi è anche la giornata internazionale anti-bullismo e della sensibilizzazione sulle malattie rare.” Intervenne Cassie dopo aver controllato qualcosa sul suo telefonino. Piper si rilassò e sorrise.
“Grandioso, allora posso passare la giornata a studiare!”
Scoppiammo tutte a ridere ed io scossi la testa. Avevo ragione, dovevo stare in compagnia perché avevo bisogno di distrazioni. E mia sorella e le mie amiche erano persone fantastiche e sapevano che in quel momento avevo solo bisogno di parlare di altro e di non pensare a Fossette.
 
La prima cosa che sentii quando entrai nello studio fotografico, quella mattina, fu la voce di Harry. Amber era chiaramente sola e stava ascoltando la musica a volume abbastanza alto. Fossette stava cantando qualcosa di lento e romantico, accompagnato solo dal suono di una chitarra acustica.
 
“'Cause it's you, oh it's you,
It's you they add up to
And I'm in love with you,
And all these little things”

 
Speravo solo che la giornata finisse in fretta. Come se quello non fosse abbastanza, il mio cellulare cominciò a vibrare e lessi il nome di Fossette sul display. Mi stava chiamando. Si era svegliato e non mi aveva trovata di fianco a lui. Probabilmente aveva parlato con Zayn e lui gli aveva riferito che ero scappata come una prostituta da quattro soldi, come una ladra.
“Bella giornata, non è vero?” Mi disse Amber, sorridendomi. Guardai fuori dalla porta di vetro e guardai il cielo bianco, segno che stava per nevicare. “Ora tu ti siedi qui e mi racconti tutto quello che è successo a Los Angeles per filo e per segno. E non lasciare fuori nulla, voglio sapere tutto! Ogni parola, ogni espressione, ogni muscolo che hanno mosso quei cinque!” Esclamò la ragazza, facendomi sedere di fianco a lei.
No, quella giornata non poteva decisamente che peggiorare. Pregai perché Sophia arrivasse presto. Avevo bisogno di lavorare, dovevo tenermi occupata e non dovevo pensare a Fossette e a quello che era successo la sera prima. A come mi ero sentita quella mattina.
Amber mi rivolse un altro sorriso enorme per spronarmi a cominciare a parlare, così, contro la mia volontà, iniziai a raccontarle qualcosa del viaggio a Los Angeles, concentrandomi soprattutto sulle cose tecniche. Speravo che la ragazza si annoiasse se avessi parlato per tutto il tempo di macchine fotografiche, scatti, luci e cose del genere.
Fortunatamente Sophia arrivò presto quella mattina e mi salvò dal dover entrare nei dettagli con Amber, che mi aveva appena chiesto se i ragazzi si erano tolti la maglietta davanti a me e se li avevo visti mezzi nudi.
 
“Kimberly!” Esclamò la fotografa. Abbassai la testa e puntai gli occhi sul pavimento. Non ne avevo fatta una giusta quel giorno. Le avevo portato il caffè sbagliato, le avevo dato gli obiettivi sbagliati al momento sbagliato ed ero inciampata nel cavo di una delle lampade nello studio. Ero un disastro, non riuscivo a concentrarmi su niente, soprattutto perché il mio telefono continuava a vibrare nella tasca dei pantaloni e sapevo che si trattava di Harry. Lo sapevo anche senza guardare il display. Non potevo permettermi di dare un’occhiata a quello schermo, perché altrimenti avrei visto il viso di Fossette che mi sorrideva, perché quando avevo finalmente salvato il suo numero, la sera prima, gli avevo scattato una foto per la rubrica.
“Mi dispiace, Sophia, mi dispiace.” Mormorai. Mi aveva chiamata con il mio nome intero. Non poteva essere un buon segno, no?
“Sto seriamente rischiando di alterarmi, Kim. Che cosa ti sta succedendo? Sei stata bravissima fino a oggi. Cosa c’è che ti turba?” Mi domandò la donna, appoggiandosi a uno sgabello dietro di lei. I clienti se ne erano appena andati e, nonostante tutte le mie distrazioni, il servizio fotografico era riuscito perfettamente.
“Non… non lo so, sarà un po’ di stanchezza.” Mentii. “Prometto che cercherò di concentrarmi e non sbaglierò più nulla.” Dissi. Dovevo riprendermi, non potevo permettere che il mio lavoro risentisse per quello che era successo nella mia vita personale.
“D’accordo.” Disse lei. “Conta questa chiacchierata come un avvertimento. Fortunatamente non hai sbagliato nulla di importante, ma ho bisogno che la tua testa sia al cento percento in questo studio, okay? Mi piace pensare di essere una persona onesta, quindi ti concederò tre errori grandi per tutta la durata del tuo impiego. Al terzo sei fuori.”
Deglutii. Altro che avvertimento, quella sembrava più come una minaccia ben nascosta. In un anno potevo fare solo tre errori e poi sarei stata licenziata? Beh, quello era decisamente una buon motivo per concentrarsi su quello che stavo facendo.
“Grazie.” Risposi. Non ero sicura che quella fosse la cosa giusta da dire dopo un discorso come quello di Sophia, ma il suo sorriso tranquillo mi confermò che non avevo fatto il primo grande errore della mia carriera.
 
Quella sera toccava a me cucinare, così prima di tornare a casa passai dalla pizzeria italiana di fronte al palazzo in cui abitavo e comprai due pizze giganti. Eravamo in quattro, quindi ero sicura che sarebbero bastate.
Dopo l’avvertimento (che io continuavo a vedere come minaccia) di Sophia, ero riuscita a concentrarmi sul lavoro. Avevo tolto la vibrazione al cellulare, così non avevo idea se Fossette mi stesse chiamando o no, e avevo fatto tutto quello che dovevo – e anche di più, perché mi ero offerta volontaria per pulire lo studio prima di uscire.
Quando il cassiere mi consegnò le due scatole di pizza fumanti, attraversai la strada e mi bloccai davanti alla porta. Quello era Harry, ne ero sicura. Lo riconoscevo anche se mi stava dando le spalle. Che cosa potevo fare?
“Kim!” Esclamò lui quando mi vide. Era troppo tardi per scappare. Mi costrinsi ad avanzare verso di lui, ma non dissi nulla. Non c’erano parole che avrebbero potuto spiegare perché avevo fatto quello che avevo fatto. Perché mi ero comportata in quel modo orribile.
“So che non avrei dovuto venire qui, perché, e ti sto citando, la disperazione non mi si addice, ma non so più cosa pensare.” Disse il ragazzo.
“Harry…” Mormorai. Non pensavo più che quella fosse la combinazione di cinque lettere più bella del mondo. In quel momento era la peggiore, era quella che non avrei mai più voluto pronunciare. Sembrava forzata sulle mie labbra, non era quello che volevo dire.
“Che cos’è successo, Kim? Perché sei scappata? Siamo andati troppo veloci?”
Una pioggia di domande. Anzi, una nevicata, visto che stava iniziando l’ennesima tempesta di neve dall’inizio dell’anno.
“No.” Risposi. “Sì.” Aggiunsi dopo pochi secondi. “Non lo so.” Ammisi alla fine. Non riuscivo a pensare chiaramente, perché lui era davanti a me. Era bellissimo e la sua espressione preoccupata mi spezzava il cuore. Come avrei fatto a dirgli addio un’altra volta? Non potevo stare con lui, lo sapevo. Se Sophia avesse scoperto che stavo uscendo con un suo cliente – dannazione, che mi ero innamorata di un suo cliente – mi avrebbe scalato i tre errori permessi in una sola volta. Ne ero sicura, come ero sicura che la neve fosse bianca.
“Che pensiero orribile è passato nella tua mente questa mattina? Avevi paura che ti avrei lasciata dopo essere venuto a letto con te? Perché non ho intenzione di farlo, Kim. Se è questo ciò di cui hai paura, non lo farò. Non sono mai stato più sicuro di niente nella mia vita.”
Chiusi gli occhi e mi accorsi che mi stava tremando il labbro inferiore. Come faceva a sapere quello che pensavo? Come faceva a essere così perfetto, ma così tremendamente sbagliato per me?
Non riuscivo a sopportare l’idea di perderlo, nonostante sapessi che era quello che dovevo fare. Ma io ero egoista, me ne rendevo conto. Ero egoista perché volevo passare ancora del tempo con lui, volevo sentire le sue labbra sulle mie, volevo vederlo ridere e prenderlo in giro. Volevo che cantasse qualcosa solo per me, come aveva fatto la sera prima mentre ci coccolavamo a letto, volevo stare con lui.
Senza dire una parola, mi avvicinai e lo baciai.

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Where stories live. Discover now