17 - The Idea

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Non avevo mai sognato il momento del “ti amo” come aveva fatto Cassie, ma nella mia mente (e stavo ben attenta a non dirlo a nessuno) speravo che un giorno accadesse. Che un giorno qualcuno mi avrebbe detto che mi amava e che sarebbe stato un momento indimenticabile, bellissimo e come nei film. Non avevo mai immaginato che avrebbe potuto essere qualcosa di così brutto e imperfetto.
Fossette mi aveva detto che si era innamorato di me ed io non ero riuscita a fare altro che a farlo arrabbiare. Perché ero stupida, perché non mi fidavo abbastanza della gente e perché avevo la tendenza a rovinare qualunque cosa bella mi capitasse. Ero sicura che fosse solo una questione di tempo e poi avrei distrutto ogni cosa anche al lavoro.
“Sicura che non vuoi parlarne?” Mi domandò Cassie il pomeriggio successivo.
Scossi la testa. Avevo provato a chiamare Harry una sola volta e avevo rinunciato dopo che non avevo ottenuto risposta. Mi vergognavo troppo. Non volevo più farmi sentire o vedere da lui.
Avevamo passato una settimana intera a vederci ogni giorno e, in generale, ci conoscevamo da poco più di due. Era presto per dirmi che si era innamorato di me? Che reazione avrei dovuto avere? Avrei dovuto saltargli al collo e dirgli che lo amavo anch’io? Non ne avevo idea. Non avevo mai avuto una relazione vera e propria. Una seria. Chad non mi aveva mai detto che mi amava (per ovvi motivi) e l’ultima storia che avevo avuto… beh, era stata un disastro.
 
Avevo conosciuto Jacob da Starbucks a Londra. Avevo passato una giornata orribile e avevo bisogno di bere un caffè gigantesco, possibilmente seduta su una delle poltrone del negozio a Westbourne Grove. Non avevo idea del perché, ma quella caffetteria mi aveva sempre rilassata.
Quel giorno c’era disponibile solo una poltrona ed era quella di fronte a lui. Avevo pagato il mio caffè e gli avevo chiesto se potevo sedermi. Lui mi aveva guardata a lungo attraverso i suoi enormi occhiali da vista e mi aveva detto di sì.
Era attraente, anche affascinante. Aveva i capelli biondo cenere, tagliati corti sui lati, ma aveva un ciuffo abbastanza lungo e riccio sulla fronte. Era vestito bene, aveva un paio di pantaloni a sigaretta verde scuro e sopra una maglietta scura, una giacca grigia e una sciarpa legata intorno al collo. Era… un po’ hipster, ma era carino. Stava leggendo un libro e aveva smesso quando mi ero seduta. Avevamo cominciato a chiacchierare e prima che me ne rendessi conto, mi aveva chiesto di uscire. Ed io avevo accettato, perché avevo un disperato bisogno di dimenticare Chad e la sua maledettissima ragazza da cinque anni e volevo una storia senza complicazioni. Lui mi sembrava la persona adatta. Intellettuale, carino e sembrava anche gentile.
Poi mi aveva fatto il discorso più strano del mondo durante una passeggiata pomeridiana a Piccadilly Circus dopo una mattina passata interamente rifugiati sotto il piumone del suo letto.
"Gli umani sono degli esseri volatili." Aveva decretato dopo aver fissato gli schermi luminosi e colorati dall'altra parte della strada per parecchi minuti.
"Volatili?" Avevo domandato incuriosita. Jacob si era aggiustato gli occhiali sul naso. Occhiali che, avevo scoperto dopo una settimana, avevano le lenti di vetro, perché non gli servivano né per leggere e né per vedere da lontano. Continuava a metterli perché diceva che rendevano la sua immagine da poeta tormentato più autentica. Avevo evitato di ribattere, dicendo che aveva solo diciannove anni, una famiglia e una vita perfette e nulla di tragico, perché in fondo mi piaceva quella sua particolarità. E poi non avevo voglia di ribattere, perché litigare era decisamente troppo faticoso.
"Sì, sono incostanti, cambiano idea ogni tre secondi. Sarà anche perché sono bombardati da immagini e da pubblicità tutto il giorno. Insomma, la mattina vogliono un iPhone e il pomeriggio hanno cambiato idea e vogliono un Samsung Galaxy." Aveva risposto, spostando velocemente lo sguardo da me al cartellone pubblicitario della Coca Cola.
"Vuoi dire volubili?" Avevo chiesto e poi mi ero morsa immediatamente la lingua. Sapevo quanto Jacob odiasse essere corretto, ma non ero riuscita a trattenermi.
"In ogni caso," aveva continuato lui, marcando bene ogni parola "le persone non sanno più quello che vogliono, perché hanno troppe scelte. Capisci quello che intendo?" 
Avevo annuito anche se in realtà non avevo la minima idea di quello che mi aveva detto. Qual era il punto del suo discorso? Ma soprattutto, ce n’era uno?
"Parli del resto dell'umanità come se tu non ne facessi parte." Avevo commentato dopo qualche minuto. Avevamo ripreso a camminare e avevamo raggiunto una via laterale aperta solo ai pedoni che ci avrebbe portati a Carnaby Street.
"Purtroppo sono umano anch'io, anche se non vorrei. Preferirei fare parte di un'altra specie, magari una immune dalle tentazioni." Aveva risposto lui, scuotendo leggermente la testa e prendendomi una mano. Avevo resistito alla tentazione di roteare gli occhi al cielo e mi ero invece concentrata sulla vetrina del negozio di UGG, cercando di scoprire perché ci fosse la fila davanti all'ingresso.
"Credo che tutti gli esseri viventi debbano avere a che fare con le tentazioni." Avevo detto proprio mentre un pensiero si era formulato nella mia mente. Peccato che non potevo permettermeli, perché mi sarebbe proprio piaciuto avere un paio di stivali UGG per i mesi freddi. Anche se, con tutta la pioggia di Londra, si sarebbero rovinati in poco tempo.
"Forse hai ragione." Aveva replicato Jake, stringendo leggermente la mia mano. "Però con il mio discorso hai capito quello che volevo dire, no? Cioè, capisci che, con tutte le immagini con cui sono bombardato giorno dopo giorno e la scelta di ragazze in giro, è stato proprio difficile resistere."
"Cosa vuoi dire?" Avevo chiesto, fermandomi in mezzo alla strada per guardarlo negli occhi. Stavo frequentando Jacob da due mesi e in quell'arco di tempo avevo capito che amava i discorsi lunghi e senza senso. Quello, però, sembrava finalmente essersi avvicinato al punto.
"Voglio dire che non puoi farmene una colpa se in queste settimane sono stato con altre ragazze. Immagino che sia stato così anche per te." Aveva risposto con naturalezza, come se mi avesse appena detto che lui prendeva il caffè con una bustina di zucchero e il latte.
Mi ci era voluto qualche secondo per farmi capire del tutto quello che avevo sentito.
"Mi stai dicendo che mi hai tradita? Più volte e con più persone?" Avevo domandato allibita.
"Beh, non lo definirei proprio tradire, la nostra non è proprio una storia seria, no?"
"Jacob, abbiamo passato la mattina a letto insieme! Ti ho detto che ti amo meno di due ore fa! Credi che sia una di quelle persone che fanno sesso con tutti? O che io dica quelle parole a tutti? No!" Avevo esclamato, sgranando gli occhi. Per me dire quelle parole significava tanto. Voleva dire esprimere i miei sentimenti nei confronti di una persona, ma anche fare una promessa. Era una cosa che non dicevo con leggerezza e anzi, Jacob era stato il primo ragazzo a cui l'avessi mai detto. Avevo cominciato a uscire con lui per dimenticare Chad, ma presto mi aveva fatto provare dei sentimenti per lui. Ci ero cascata e anche pesantemente. Ero stata un’idiota, perché volevo una storia senza complicazioni. Solo sesso, niente sentimenti. E invece avevo finito per sussurrargli quelle parole come una stupida. Come una povera illusa.
"Suvvia, non essere così fiscale. Siamo esseri umani, no? Siamo volatili. Allora non hai capito proprio nulla del discorso che ti ho appena fatto!" Aveva detto lui, gesticolando durante mentre parlava. Poi aveva abbandonato le braccia lungo i fianchi con un verso frustrato.
"Ho capito che non hai idea di cosa significhino le parole che usi, che sei più volubile del peggiore degli esseri viventi e che sei un bastardo." Avevo detto, sputando quelle parole con rabbia. Certo, ero stata veloce a pensare a qualcosa da dire perché ero sempre stata impulsiva e tendevo ad arrabbiarmi con troppa facilità, ma in verità mi aveva ferita e non volevo mostrarmi vulnerabile davanti a lui.
"Andiamo, Kim! Non puoi arrabbiarti così tanto! Non è colpa mia se la mattina mi sveglio e ho voglia di vederti e stare con te e il pomeriggio cambio idea e voglio passare del tempo con Lucy o chi per lei!" Aveva detto il ragazzo.
"Quindi quella dei telefoni di prima non era solo una metafora? Beh, questo iPhone ti sta piantando e spera che sarai felice con le tue decine di Samsung Galaxy!" Avevo ribattuto, infuriata. L’avevo lasciato a bocca aperta per qualche secondo.
"Kim, ma poi come faccio se scopro che mi piace di più l'iPhone?"
"Volatilizzati, Jacob."
Avevo resistito all'istinto di tirargli uno schiaffo in pieno viso davanti a tutti e invece avevo girato sui tacchi e raggiunto la fermata della metro più vicina per tornare a casa.
Mi ero rifugiata nella mia stanza e mi ero sdraiata sul letto con gli occhi gonfi di lacrime e il cuore a pezzi. Di nuovo.
E in quel momento avevo giurato a me stessa che non mi sarei innamorata di nuovo, ma poi avevo incontrato Fossette e il mio mondo era crollato un’altra volta. Anzi no, non era crollato, aveva solo ricominciato a girare e anche molto più velocemente di prima.
 
“Pianeta Terra chiama Kim?” Mi disse Cassie. Non mi ero nemmeno accorta di essermi rinchiusa nel mio mondo. Mi ero persino dimenticata di essere in una stanza con la mia gemella.
“Scusa, mi ero persa a pensare.” Replicai.
“Ti è tornato in mente Jacob?”
A volte era quasi spaventoso quanto mi conoscesse bene. Sapeva tutto di me.
Annuii lentamente, voltandomi e guardandola negli occhi.
“Raccontami di Zayn.” Dissi. Volevo cambiare argomento, volevo concentrarmi su di lei e smettere di pensare a me. Cassie assunse immediatamente un’espressione diversa. Assunse quel sorrisetto timido e riservato che aveva sempre quando era felice per qualcosa, ma nello stesso momento si sentiva in colpa.
“Continuo a pensare che dovrei avere una reazione diversa, che dovrei essere distrutta perché la storia con Nathan è finita dopo tanti anni…” Cominciò lei. “Ma la verità è che non mi sono mai sentita così libera ed elettrizzata in tutta la mia vita.”
“Credo che sia normale, in realtà. È finita perché non sei più innamorata. Non avete litigato, non vi siete insultati e non vi siete feriti. E poi… ognuno reagisce in modo diverso, no?”
“Sì, quello è vero.” Replicò lei. Era pensierosa. “Comunque Zayn mi ha perdonata per lo schiaffo. Mi ha detto che l’avevo spaventato un po’, ma quando gli ho spiegato tutto ha capito.”
“E…?” La incitai. Volevo sapere tutto.
“Non lo so, non abbiamo parlato di quello che succederà tra di noi. Mi ha solo invitata a cena domani sera, dopo il lavoro.”
“A casa sua?” Domandai.
“No, in un ristorante.” Rispose lei, alzando le spalle. “Non mi ha ancora detto dove, mi manderà un messaggio domani in giornata.”
Per un solo momento la invidiai. Cassie aveva avuto una bella storia d’amore con Nathan e sì, era finita, ma entrambi non erano più innamorati l’uno dell’altra. Non avevano sofferto più di tanto. E la sua relazione con Zayn… sembrava così casuale, così tranquilla. Senza alcun tipo di dramma. Perché non potevo essere un po’ più come lei?
Invece io avevo combinato un casino dietro l’altro nel corso degli anni e avevo rovinato anche quello che c’era tra Harry e me.
“Kim, le cose si aggiusteranno. So che lo faranno.” Disse improvvisamente la mia gemella.
“Devo solo sperare che il tempo gli faccia decidere di essere meno arrabbiato con me e scusarmi.” Sospirai. Poi, dal nulla, un’idea spuntò nella mia mente. Lui aveva rinunciato a tornare a casa per me. Aveva fatto un grande gesto romantico per me. E certo, io ero convinta che a me non piacesse quel genere di cose, ma non potevo negare l’evidenza. Era stato magnifico vederlo nel mio corridoio, un po’ piegato su se stesso per evitare le ombrellate della Newman. Toccava a me fare qualcosa. Non potevo sperare che continuasse lui a fare il primo passo. Quella volta la colpa era mia. Avrei dovuto muovermi io.
“Va tutto bene?” Mi chiese Cassie con aria preoccupata.
“So cosa devo fare.” Risposi con sicurezza. Mi alzai dal letto e raggiunsi la scrivania. La mia gemella mi osservò senza dire nulla. Sapeva che quando mi veniva un’idea era meglio se mi lasciava fare.
Accesi il computer e cominciai a sfogliare le foto che avevo scattato nel corso degli anni.
 
Mi ci vollero ore per portare a termine la mia idea, ma ci ero riuscita ed ero anche soddisfatta del risultato. Dovevo solo sperare che Harry lo apprezzasse. O almeno che mi lasciasse entrare nel suo appartamento.
Raggiunsi la casa al numero cinquantasette di Irving Place e guardai in alto. Le luci erano accese, qualcuno era sicuramente in casa. Era abbastanza tardi, non sapevo nemmeno io che ore fossero, ma probabilmente dopo le undici.
Suonai il citofono e cominciai a pregare mentalmente perché qualcuno rispondesse. Dopo qualche secondo sentii la familiare voce roca di Harry. Quando parlava al telefono – o attraverso un citofono – sembrava sempre che si fosse appena svegliato.
“Chi è?” Disse. Il mio cuore cominciò a battere più velocemente.
“Harry, sono Kim. Posso… posso salire? Devo darti una cosa.”
Passarono parecchi secondi. Mi sembrò un’infinità di tempo. Quando cominciai a temere che avesse deciso di non rispondere più, il ragazzo si schiarì la voce.
“Okay.”
Fu una sola parola, ma mi fece sentire come se fossi rinata. Okay. Non era stato un rifiuto. Era un passo avanti.
Con il cuore in gola raggiunsi l’ascensore ed entrai. Non salutai nemmeno il portiere notturno, lo ignorai completamente. Ero troppo agitata. Premetti il tasto corrispondente al sesto piano e attesi.
Il ‘bip’ metallico mi fece fare un salto. Ero arrivata a destinazione. Era arrivato il momento di fare a Harry il discorso che avevo preparato nella mia mente e che avevo ripassato per tutta la strada da casa mia fino a lì.
Fossette mi stava aspettando davanti alla porta dell’appartamento che aveva affittato e il mio cuore sprofondò nel mio stomaco quando lo vidi. Era sempre stato così bello? Probabilmente sì. Stava indossando una maglietta a maniche corte bordeaux ed era stupendo.
“Grazie per avermi fatta salire.” Dissi quando lo raggiunsi. Ero agitata come non lo ero mai stata. La sua sola presenza di fronte a me mi faceva tremare le mani. E se non mi avesse perdonata? E se avessi rovinato una delle cose più belle che mi erano capitate?
Lui non disse nulla, mi guardò e basta. Chiusi gli occhi, inspirai profondamente e presi dalla borsa quello che dovevo dargli. Gli porsi un mucchio di fogli rilegati con dello spago e lui mi guardò con aria perplessa.
“Cos’è?”
“So di essere stata un’idiota. Sono stupida, credo di essere coraggiosa e invece ho paura di tutto, soprattutto di te e dei sentimenti che provo per te. Non avrei mai dovuto obbligarti a rispondermi e a dire quelle parole e mi dispiace di non aver avuto la forza di replicare. La verità è che sono un disastro, ecco cosa sono. Però non sono mai stata più sicura di una cosa al mondo: non voglio perderti, Harry. Non voglio e non posso. Io… poche persone al mondo sanno come comportarsi con me. Forse solo la mia gemella o forse nemmeno lei. Quindi… quindi so che per te è difficile capirmi e ti ho portato questo per aiutarti. Questo è il mio libretto di istruzioni. Perdonami, Harry. Non so nemmeno io quello che sto facendo.” Dissi.
Fossette guardò prima me e poi quello che aveva in mano con aria sorpresa. Ero riuscita a fare il mio discorso. Beh, non proprio come l’avevo preparato. Probabilmente avevo solo detto un mucchio di stronzate senza senso, ma speravo che lui avesse capito.
Harry posò di nuovo lo sguardo su di me e mi osservò per quella che mi sembrò un’eternità.
Avevo paura di quello che avrebbe potuto dire e in quel momento cominciai a pensare che quella del libretto delle istruzioni fosse stata l’idea peggiore del secolo. Era infantile. Era stupida.
Poi Fossette mi porse il mucchio di fogli che gli avevo portato e mi guardò negli occhi. No, non ero pronta per la sua risposta. Ero ancora in tempo per scappare prima che distruggesse il mio cuore e lo calpestasse?

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora