25 - The Club

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“È un bastardo e lo odio.” Dissi tra le lacrime.
Per settimane non avevo fatto altro che andare al lavoro, mangiare, fare la doccia e dormire. Poi avevo trovato un maglione che Harry aveva dimenticato a casa mia pochi giorni prima di partire ed ero scoppiata a piangere. L’avevo annusato e quando avevo sentito il suo profumo (ormai quasi scomparso del tutto, ma io me lo ricordavo bene) non ce l’avevo fatta più. Perché nonostante continuassi a cercare di convincermi che lo odiavo per quello che mi aveva fatto, la verità era che non avevo smesso di amarlo.
“Non l’hai più sentito da quando è partito?” Mi domandò cautamente Cassie.
“No. Non posso chiamarlo. Non posso affrontarlo. Non voglio sentirlo parlare di come si sta consolando con una fottutissima modella di Victoria’s Secret!” Dissi. Strinsi il maglione al mio petto e mi asciugai le lacrime con il dorso di una mano.
Quanto tempo era passato da quando mi aveva lasciata? Tre settimane? Un mese? Non lo sapevo. A me sembrava un’infinità di tempo. Mi sembrava un’eternità.
Cassie annuì e non disse nulla. Sapevo che lei era in contatto con Zayn, ma davanti a me non aveva mai detto niente, perché aveva paura che potessi soffrire.
“La supererai, Kim. Ce la farai. Cosa posso fare per farti stare meglio?” Domandò dopo un po’ la mia gemella, abbracciandomi stretta.
“Usciamo questa sera? Andiamo da qualche parte? Ti prego, ho bisogno di non pensarci. Ho bisogno di distrarmi e, possibilmente, di trovare qualcuno che mi offra da bere.”
“D’accordo. Questa sera tu, io, Piper ed Elle andremo in un locale e rimarremo fuori fino all’alba.”
Era un piano che mi piaceva. Per la prima volta in settimane sapevo cos’avrei fatto e sapevo anche come avrei superato quella rottura.
E magari avrebbe fatto bene anche ad Elle, che dopo la storia con Brian-Matt aveva giurato che non sarebbe mai più uscita con un ragazzo. O a Piper, che era ancora delusa da quello che era successo – o meglio, quello che non era successo – con Niall.
 
Mi ero truccata molto più pesantemente del solito e avevo indossato molto meno tessuto del solito. In poche parole, avrei potuto essere scambiata per un’escort senza nessun problema. Ma era quello il mio obiettivo. Volevo uscire, trovare un ragazzo carino, bere fino a ubriacarmi e portarlo a letto. Perché in qualche modo dovevo colmare il vuoto che aveva lasciato Harry e sapevo che non avrei mai potuto amare nessuno come amavo lui, ma magari sentire la pelle di un altro ragazzo a contatto con la mia, sentire il suo tocco, sentirmi desiderata avrebbe potuto aiutare. E poi se lui si stava consolando con una modella (o più modelle, non ne avevo idea, mi ero tenuta ben lontana da qualsiasi sito o trasmissione di gossip), perché io non avrei potuto fare la stessa cosa con un New Yorker figo?
Le mie amiche ed io entrammo in un locale più o meno verso mezzanotte e cominciai subito a guardarmi intorno, scartando i ragazzi che erano già in compagnia, i vecchi inquietanti e i possibili serial killer.
Notai un gruppo di ragazzi più o meno della mia età seduti intorno a uno dei tavolini e decisi che loro erano esattamente quello che volevo. Uno di loro era molto carino e pensavo che mi avrebbe aiutata a dimenticare quel bastardo di Harry Styles.
Proposi a Elle, Piper e Cassie di sederci al bancone esattamente di fronte al gruppo di ragazzi e cominciai a utilizzare tutti i consigli che avevo sempre letto sui giornali femminili. Le mie amiche ordinarono delle bibite analcoliche, mentre io aspettai. Doveva comprarmi da bere la mia preda.
“Cosa stai facendo?” Domandò Piper, incuriosita.
“Sto utilizzando la tattica dei quattro secondi.” Risposi io con naturalezza.
“Cioè?” Mi chiese la mia amica.
“Sto osservando quel ragazzo. Quando incrocerà il mio sguardo, manterrò il contatto visivo per quattro secondi. È praticamente sicuro che poi verrà da me.” Dissi. “O almeno così dice Glamour, io non ci ho mai provato prima.”
Un’ondata di tristezza mi appesantì il cuore. Non avevo avuto bisogno di usare stupidi trucchi con Harry. Aveva fatto tutto da solo, anche quando sembrava che io non volessi avere nulla a che fare con lui.
“Oh, okay.” Replicò lei, guardandomi con apprensione. Forse aveva paura che sarei scoppiata a piangere da un momento all’altro o forse temeva che potessi esplodere. Ma io non avevo intenzione di fare nessuna delle due cose. Volevo divertirmi e togliermi dalla mente quello stronzo di proporzioni epiche.
 
Il ragazzo che stavo puntando – che era il totale opposto di Harry, perché aveva i capelli biondi e cortissimi, gli occhi azzurri ed era molto muscoloso – finalmente si accorse di me. Cercai di assumere l’espressione più attraente del mondo e mantenni il contatto visivo per esattamente quattro secondi. Poi distolsi lo sguardo e finsi di essere timida.
Quando il tizio si avvicinò a me, poco dopo, mi ritrovai a pensare che allora le giornaliste di Glamour sapevano davvero quello di cui stavano parlando. Aveva funzionato.
“Ehi.” Mi salutò. Odiai istantaneamente il suo tono di voce troppo alto per la sua figura così mascolina. Odiai persino il suo modo di salutarmi. Non poteva dire ‘ciao’ come tutte le persone normali? Ma non ero lì per innamorarmi di lui. Non dovevo condividere niente con quella persona, se non una serata di solo sesso.
“Ehi.” Risposi, sorridendo.
“Ti ho notata appena sei entrata nel locale e mi chiedevo… hai sete?” Mi chiese lui. Notai il modo in cui posizionò il suo corpo esattamente tra me e le mie amiche, ignorando completamente le ragazze. E odiai profondamente il modo in cui mi domandò se volevo un drink. Se davvero mi aveva notata da quando ero entrata nel locale… quella era davvero l’unica cosa che si era chiesto?
“Sì.” Risposi. Non dovevo avere nulla in comune con lui. “Prendo volentieri un Martini.” Aggiunsi dopo qualche secondo.
Sperai che il barista non mi chiedesse la carta d’identità, perché non avevo ancora l’età legale per bere negli Stati Uniti. Fortunatamente ci pensò il tizio a ordinare da bere, così almeno un problema fu risolto.
“A proposito, io mi chiamo Keith.” Disse il ragazzo biondo. “E una creatura angelica come te come può chiamarsi?”
Mi trattenni a stento dal roteare gli occhi al cielo.
“Kim.” Risposi. Non c’era nemmeno bisogno di utilizzare il mio nome intero. Anzi, mi ero già anche dimenticata come si chiamava lui. Kyle, aveva detto? Non mi importava.
“Che ne dici, Kim, di unirti a me e ai miei amici questa sera?” Domandò il ragazzo dopo un po’. “Possono venire anche le tue amiche.” Aggiunse, facendomi l’occhiolino.
Ugh. Viscido e arrogante esempio di essere umano. Pensai.
Finalmente si era accorto delle mie amiche. Ma non dissi nulla ad alta voce. Recuperai il mio bicchiere di Martini già mezzo vuoto, feci un cenno a Piper, Elle e Cassie, e raggiunsi il tavolo con gli amici di Kyle. Kelly. Keith. Quello che era.
 
Scoprii numerose informazioni inutili sui ragazzi. Avevano tutti tra i venticinque e i trent’anni, lavoravano a Wall Street e quella sera erano fuori per festeggiare la promozione di uno di loro.
Tutte quelle parole vennero presto annegate dalla quantità spropositata di alcool che avevano ordinato al tavolo. Non sapevo nemmeno io quanti shot di tequila avevo bevuto. Di certo troppi, perché la stanza aveva cominciato a vorticare pericolosamente. Ma fortunatamente ero seduta sulle gambe di Kevin – Keith, dovevo ricordarmelo – e quindi ero salva.
“Ehi, bellezza, che ne dici se io e te andiamo in un posto meno rumoroso e con meno gente?” Il ragazzo sussurrò nel mio orecchio. Scoppiai a ridere, perché quella mi sembrò la cosa più divertente del mondo in quel momento. Poi annuii e cercai di alzarmi e di stare in equilibrio sui tacchi.
Keith fece un occhiolino ai suoi amici, poi mi circondò la vita con un braccio e mi accompagnò verso una porta. Quando la aprì scoprii che si trattava del bagno e al diavolo tutto, non avevo mai fatto sesso nel bagno di un locale. Poteva essere divertente. Anzi no, sicuramente lo era. Se solo la stanza avesse smesso di girare abbastanza da permettermi di stare dritta.
“Oh, questa sera sono l’uomo più fortunato di tutto il locale.” Mormorò. Poi mi fece appoggiare contro la parete della cabina e cominciò a baciarmi il collo.
Ridacchiai e mi aggrappai ai suoi bicipiti, che sembravano di marmo. Era proprio muscoloso quel Karim. Keith. Perché continuavo a dimenticarmi il suo nome?
Non pensavo di essermi mai ubriacata in quel modo in tutta la mia vita. Certo, a Londra avevo bevuto qualche birra. Persino qualche cocktail ogni tanto, ma non ero mai stata così tanto fuori di me. Il che non mi dispiaceva, perché avere il cervello così fuori uso da non riuscire a pensare a nulla, se non a un modo per rimanere aggrappata a lui, non mi dispiaceva per niente.
“Tutto bene?” Sentii domandare da una voce distante. Sbattei le palpebre un paio di volte e misi a fuoco Keith davanti a me.
“Sì.” Risposi. In realtà no. Avevo cominciato a sentire un peso sullo stomaco e non mi sentivo in gran forma, ma non mi importava. Nulla mi avrebbe fermata quella sera.
Il ragazzo annuì, poi riprese a baciarmi il collo. Sentii le sue mani calde sulle cosce e chiusi gli occhi. Poi, quando stava per alzare ulteriormente il mio vestito, lo allontanai con una mano.
“Avevi detto che eri sicura.” Si lamentò lui. Scossi la testa. Non era quello. Stavo male. Malissimo.
Keith si avvicinò di nuovo e riprovò a baciarmi, ma lo bloccai. Probabilmente intuì il motivo del mio rifiuto e, prima che potessi accorgermi di come era successo, mi ritrovai piegata in due davanti al WC.
“Dannazione, ma quanto hai bevuto?” Mi chiese lui, aiutandomi a rimettermi in piedi e porgendomi un fazzoletto di carta.
“Tanto.” Risposi. Girava ancora tutto, ma il peso sullo stomaco sembrava essere passato. “E tu non sei ancora Harry.” Borbottai. Se anche non fossi stata male, non sarei mai riuscita ad andare fino in fondo. Quel ragazzo non era Harry ed io non sopportavo l’idea che nessun altro mi toccasse. Non potevo stare con nessun altro. Mi mancava il mio ex ragazzo e non sapevo quello che stavo facendo.
Keith mi osservò per qualche secondo.
“Così è questo di cui si tratta? Qualche tipo di vendetta nei confronti del tuo ex?” Mi chiese.
Maledizione a me e alla mia lingua lunga. E all’alcool che non mi faceva ragionare. Dovevo per forza dire quel nome?
“Non lo so.” Dissi, strascicando le parole.
“Senti, facciamo una cosa. Non mi sembri nelle condizioni di prendere una decisione questa sera. Ed io non sono certo uno che si approfitta delle ragazze nel tuo stato. Vado a chiamare le tue amiche, così ti aiuteranno a tornare a casa, d’accordo?”
Beh, almeno era un gentiluomo. Se fossi stata nei suoi panni, probabilmente me ne sarei andata, senza nemmeno preoccuparmi dello stato di salute del poveretto di fronte a me.
Annuii, uscii dalla cabina del bagno e mi appoggiai al lavandino per far smettere di girare la stanza. Poi recuperai il telefono e presi una decisione. Dovevo chiamare Harry. Dovevo parlargli e dovevo insultarlo. Dovevo chiedergli di smetterla di occupare la mia mente, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. Dovevo mandarlo a quel paese e dirgli tutto quello che mi passava per la testa.
Cercai il suo numero e premetti il tasto verde.
Uno squillo, due squilli, tre squilli. Rimasi con l’orecchio appiccicato al telefono per qualche minuto, mentre tutto il mondo intorno a me continuava a girare. Poi sentii la sua voce. La segreteria telefonica.
“Ciaaao, sono Harry! Al momento non sono disponibile, ma se mi lasciate un messaggio con il vostro nome e numero vi richiamerò appena possibile! Okay, ciao!”
Dio, quanto mi mancava. Non sentivo la sua voce da più di un mese e non pensavo che potesse mancarmi così tanto.
Sentii il segnale acustico e per un momento mi chiesi perché lo stavo facendo. In condizioni normali, senza tutto quell’alcool nel sangue, non avrei mai fatto niente del genere. Ma ero ubriaca e, in quell’istante, chiamare Harry e lasciargli un messaggio in segreteria mi sembrava l’idea migliore del mondo.
“Non so dove sei in questo momento e non so nemmeno perché ti sto chiamando.” Cominciai a dire, strascicando un po’ le parole. “Volevo insultarti, volevo urlare e volevo dirti quanto ti odio. Ma la verità è che stasera ho provato ad andare a letto con un’altra persona e non sono riuscita, perché non eri tu. Sei un bastardo, ti odio e mi manchi da morire, perché ti amo ancora.”
Poi non dissi più nulla finché non sentii di nuovo il segnale acustico. Ormai avevo la vista offuscata dalle lacrime e i pensieri continuavano a vorticare nella mia mente. Buttai il telefono nella borsa e mi risciacquai il viso. Volevo tornare a casa. Uscire era stata l’idea peggiore del secolo.
Fortunatamente Cassie, Piper ed Elle entrarono nel bagno e mi trovarono. Sembravano tutte preoccupate e cominciai a sentirmi in colpa per quello che avevo fatto. Le avevo trascinate fuori e poi ero sparita.
“Oh, Kim.” Disse semplicemente la mia gemella. Mi attirò a sé e mi abbracciò stretta. Il contatto mi fece scoppiare di nuovo a piangere e singhiozzai sulla sua spalla per qualche minuto.
Poi Elle prese un fazzoletto di carta, lo bagnò e mi aiutò a pulire il viso. Mi era colato tutto il trucco e avevo davvero un aspetto orribile.
“Forza, andiamo a casa. Domani ci aspetta una giornata intera sul divano a guardare film che fanno piangere e a mangiare popcorn.” Disse Piper.
Annuii e lasciai che mi guidassero fuori dal locale. Poi fermammo un taxi e tornammo a casa.
 
Mi svegliai alle cinque e quarantasei del mattino, perché il mio telefono aveva cominciato a vibrare. Non sapevo perché la sera prima avevo pensato che ubriacarsi sarebbe stata una buona idea. In quel momento mi sembrava la peggiore. Il rumore della vibrazione sotto il cuscino mi sembrava fortissimo e la mia testa minacciava di esplodere da un momento all’altro.
Chi diavolo si permetteva di telefonarmi a quell’ora? Lentamente recuperai la fonte di tanto rumore e socchiusi gli occhi. Luce. Troppa luce. Quel dannato schermo sembrava un maledetto albero di Natale.
Quando la mia vista si abituò, cominciai a distinguere le parole e le immagini sullo schermo. Vidi il sorriso di Harry e il suo nome e il mio cuore fece un tuffo. Mi stava chiamando.

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Where stories live. Discover now