Prologo.

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La mia testa pone tante domande ma mai risposte.
In verità, avrei voluto il contrario.
Smettere di pormi domande e ricevere più risposte.
E partivano così, quei pensieri che decidevano di prendere possesso di me.
Perché le persone a cui riponiamo fiducia o amore, prima o poi se ne vanno?
E come mai, sono sempre quelle più positive ad andarsene?
Forse, questo mondo non necessita di persone positive, ma al contrario sembra favorire crudeltà e violenza per poi pian piano andar in rovina.
O forse è semplicemente l'essere umano stesso che rovina e rende nero il pianeta.
Ricordo che cambiai totalmente le mie abitudini, tutto ciò che rappresentava essere me stesso, dopo la sua perdita.
La perdita di mia zia.
L'unico ricordo che mi era rimasto della mia famiglia biologica, l'unico frammento di speranza che mi teneva legato a qualcuno che mi dava aria di famiglia, aria di casa, aria di felicità.

Mi definisco un ragazzo dall'animo spento, di carattere cinico, non so nemmeno come definirmi; non ho più un senso, stento a credere di poter migliorare e di riuscire a poter provare anche solo un briciolo di emozione positiva.
Fumai la mia prima sigaretta all'età di tredici anni, mentre a notte fonda camminavo lì per strade buie e desolate corrispondenti al mio intero essere.
Mia madre biologica, stanca di me e dall'impegno di accudire un neonato, mi abbandonò in un vicolo cieco a soltanto un anno della mia vita.
Il nominativo "genitore" non concordava con il suo animo corrotto.
Mia zia, Isabelle, una sera mi raccontò della notte che mi trovò in quel posto cupo e freddo.
Dopo aver preso la decisione di mettermi sotto la sua protezione e, pensava lei, per il resto della vita, quella stessa notte, litigò in maniera pesante contro la donna che mi aveva messo al mondo tanto da condurla al suicidio.
Presi coscienza che Isabelle, era sorella di quella donna, che se avesse avuto un po' di coscienza, avrei potuto chiamare mamma.
Mia zia durante una delle numerose serate composte da pianti e di tristezza, spiegò che già da un po' di tempo quella donna non era stabile di mente.
Me lo raccontò esattamente quando avevo nove anni.
Isabelle, non poteva di certo lasciare quella donna così.
Era comunque la sorella.
In seguito, conobbi il nome della donna, Alaska.
Alaska, scoprì che il proprio marito, l'aveva tradita quando io avevo solo sei mesi di vita ed ero ancora in fasce.
Che uomo di merda o meglio dire,
quell'essere di merda.
Non esiste la parola uomo per lui.
Come si può tradire la donna che ti ha dato tuo figlio?
Dopo che ella ha dato tutto l'amore possibile donando il suo cuore.
È probabile, anzi sicuro, che il motivo del tradimento fui io, neanche mi voleva quell'uomo.
Da quel momento, la vita e la sanità mentale di Alaska, la abbandonarono totalmente.
Mia zia provò con tutte le sue forze ad impedire che quel fatto accadesse, ma dalla scoperta di Alaska, mio padre biologico sparì.
Alaska, resistette per altri sei mesi, a crescere un figlio da sola, senza padre.
A combattere forse, contro la sua stessa follia.
L'orribile destino che Alaska si delineò con le proprie mani, convivendo con un'essere che la manipolava.
Mia zia mi disse che invece le poche tracce rimaste del mio "padre biologico" sparirono definitivamente a seguito del suicidio di Alaska.
E di lui non ne seppe più nulla, né di dove potrebbe esser andato o se probabilmente fosse morto.
È solo grazie a mia zia, che presi coscienza di tutte queste cose, sentire ciò però non mi faceva sentire meglio, anzi mi faceva sentire solo frutto di un stupido errore.
In quei momenti desideravo non sapere che avevo anch'io un'identità prima di vivere con zia.
Nonostante quei pensieri negativi che di tanto in tanto aleggiavano la mia mente, lei era lì con me. Sempre.
Il dolore era comunque tenue, perché lei riusciva a proteggermi da quei ricordi che venivano a presentarsi davanti alla porta del mio cervello per volermi uccidere.
La sua presenza mi salvava la vita.
Mia zia morí quando io avevo dodici anni e mezzo a causa di un cancro al seno.
Da lì, conobbi il tragico mondo dell'autolesionismo.
Cominciai a tagliarmi i polsi, braccia, gambe e cosce.
Imparai a sopravvivere, vivendo da solo. Ma anche il maledetto giorno di cui io avevo il terrore,  arrivò.
Degli agenti irruppero dentro casa di mia zia l'unico posto a me caro, dove custodivo il suo ricordo.
Quel giorno piansi come un disperato, dimenandomi come se avessi il demonio in corpo.
Lo stesso giorno mi affidarono a una famiglia, attualmente ci vivo ancora adesso.
I primi anni di convivenza in quella casa, erano molto brutti, ma non per me; bensì per la famiglia stessa, che doveva subire tutti i miei insulti e le mie brutte azioni.
Poi ogni sera uscivo e fumavo, compravo le sigarette di nascosto.
Una volta successe che mi beccarono in flagrante e la mia madre adottiva fu molto delusa e preoccupata del mio stato d'animo.
Quella sera, però, non bastò a farmi smettere di fumare, uscivo come di consuetudine e fumavo stando sempre attento.
I miei genitori adottivi sono sempre stati buoni e pazienti con me.
Fin dal principio, mi trattavano come se fossi il loro figlio biologico, ma, purtroppo, neanche ciò mi aiutava a cambiare.
Il vuoto che avevo dentro e che mi portavo da anni, era troppo.
Mia zia mi diede il nome di Christophe, dato che lei stessa in una serata abbastanza allegra, mi confessò che quando aveva la mia età (allora avevo sette anni) le piaceva il nome Cristophe e che quindi ha deciso di chiamarmi così.
Alaska e il marito, non mi diedero neanche un nome.
Non feci neanche il battesimo per cui era d'obbligo dare un nome al neonato battezzato.
Ma tanto tutto ciò era inutile perché fui abbandonato troppo presto.
Ora ho diciassette anni e oggi dovrebbe essere il primo giorno di scuola.

Sono il tuo sorriso. [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now