Capitolo 1

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Pettinai con molta fretta i miei capelli corvini, quasi strappandoli dal cuoio capelluto dal nervosismo.
Udii per l'ennesima volta le urla della mia madre adottiva che venivano dalla cucina.
<< Muoviti Christophe! Quest'anno è la tua occasione per fare amicizia con gente nuova e sopratutto entrare in un clima DIVERSO.>> marcò bene l'ultima parola, diverso.
Secondo lei con l'introduzione al nuovo anno scolastico, sarebbe finalmente cambiato tutto confidava sul fatto che per me sarebbe andato meglio.
Forse la mamma Charlotte, ancora non arrivava al fatto che ero io lo stronzo che allontanava chiunque sotto il proprio campo visivo, e che quindi, gli era difficile trovare persone che lo sopportassero anche dopo averle cacciate in un certo modo.
<<Si mamma, arrivo! >> urlai dal bagno. Ormai la chiamavo così e non più Charlotte, come ai primi anni in questa casa.
Lei se lo meritava di essere chiamata mamma, una cosa che ho subito notato, è che mi ricorda molto mia zia di carattere: estroversa e pazzerella, sempre pronta ad aiutare gli altri prima anche di se stessa.
Appoggiai il pettine sul marmo freddo del mobile, e, nel girarmi mi scontrai accidentalmente contro la figura di mio padre.
<<oh figliolo, ero venuto per farti accellerare i tempi...perché sai, incominciavo a rincitrullirmi con la voce squillante di tua madre.>> si mise a ridacchiare spostandosi poi al lato destro della porta per farmi passare.
Riddacchiai anch'io e uscito dal bagno gli sorrisi lievemente, dirigendomi poi in cucina da mia madre.
Solo all'interno di questa casa, forse, riuscivo ad essere un po' più sereno se così si può definire.
Ma appena varco la porta di casa, anche di pochi metri, i ricordi cominciano ad assalirmi e divorano il mio poco controllo emotivo, facendomi diventare il tossico di tutti i giorni.
Ossia: sigarette all'ordine del giorno, bestemmie senza motivo valido accompagnate dal solito broncio o sguardi poco raccomandabili a chiunque mi rompesse i coglioni.
Ad alcune persone, o forse a tutte, intimoriva, e le portava di conseguenza a stare alla larga da me.
La voce di mia madre mi distolse dai pensieri.
<<tesoro, muoviti a mangiare e prenditi subito lo zaino.>>
Annuii svogliatamente e mangiai velocemente il toast alla marmellata che c'era sul piatto.
Misi lo zaino in spalla e salutai i miei genitori con un cenno del capo.
Mi incamminai, armato di gps nel tentativo di trovare l'istituto in cui ero stato iscritto.
Verona alle prime luci del mattino era decisamente incantevole, il cielo era ancora tinteggiato di un leggero rosato, che abbracciava un rosso tenue.
Dopo un quindici minuti riuscii a trovare il liceo, varcando le porte col solito broncio.
Come sempre, tutti portarono il loro sguardo su di me.
Altra direttiva? No, non esiste.
Sguardi confusi, intimoriti, altri stupiti..e c'era anche chi mi guardava normalmente come se fossero già abituati a vedere tra i corridoi persone del mio genere.
Chiesi informazioni sulla mia classe assegnata ad un tizio con capelli brizzolati sulla sessantina d'anni.
Pffft... per me pareva fosse uscito da un film di fantascienza se così si può dire.
Ma d'altronde..per quanto riguarda me, dovevo ricoprire le vesti del solito stronzo no?
Ricordo che proprio questa frase la diceva spesso Milena, una mia vecchia compagna di classe logorroica che mi rompeva sempre i coglioni, solo per attirare la mia attenzione.
Capitava spesso che usasse anche la tecnica di parole offensive.
Ma era solo perdita di fiato, poiché io non prestavo attenzione.
Dopo che il tizio mi diede un bigliettino con scritti un numero e una lettera affiancata, mi avviai verso la classe assegnatomi e quando entrai, non feci a meno di notare una ragazzina bruna, al primo banco.
Essa si distolse da una conversazione che stava avendo con un riccio ragazzo biondo, i due si potevano sentire anche a distanza di duecento chilometri.
Lei spostò la sua attenzione verso il sottoscritto, guardando con un cipiglio strano, manco avesse visto la morte in persona.
Che ne fossi io la rappresentazione umana?
Il ragazzo biondo, che nel frattempo si rese conto di non essere più ascoltato dalla ragazza, seguì lo sguardo di essa e puntò anch'esso lo sguardo su di me, rivelando due occhi azzurri come il mare. Lui mi guardò inespressivo.
Nè sorriso, nè broncio di alcun genere. Una faccia...normale?
Nonostante questa breve occhiata, mi infastidii dal resto degli sguardi incuriositi degli altri compagni.
Mi agitai, prendendo subito posto sul primo banco libero che vidi.

Sono il tuo sorriso. [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now