ᴘᴀʀᴛᴇ ᴘʀɪᴍᴀ || 1 • 𝑰𝒍 𝒎𝒂𝒓𝒄𝒉𝒊𝒐

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Colori sgargianti lo circondavano, talmente luminosi da costringerlo a sbattere più volte le palpebre per prendere confidenza con la nuova luminosità.

I corti fili d'erba ondeggiavano pigramente mossi dal vento, il quale portava con sé i teneri cinguettii dei canarini che vivevano in quella prateria immacolata pari ad un paradiso, un utopia.

Stava forse dormendo?

Si alzò in piedi; la percezione dell'ambiente era fin troppo potente per trattarsi di una visione o di un sogno. Le gambe gli pesavano, così come il respiro e lo stomaco reclamava cibo, quello che probabilmente non mangiava da tempo.

Uno stridio lo costrinse a guardare in alto nel cielo, dove un falco pellegrino dalle lunghe piume marroni lo scrutava attentamente.
Il pennuto volava in cerchio proprio sopra di lui, sbattendo le ali per mantenersi in alta quota.
All'ennesimo giro stranamente volò verso l'orizzonte, sorvolando quella che sembrava essere una gigantesca foresta.

Il ragazzo la osservò a lungo, cercando di riconoscerla, invano. Un sentiero conduceva fin laggiù, era tappezzato da sassi e bastoncini spezzati ed era lo stesso sul quale ora stava poggiando i piedi.
Si guardò il corpo: i suoi vestiti erano usurati e strappati in più punti, ma proprio non aveva idea di cosa avesse potuto ridurlo così.

D'improvviso, un bruciore al collo gli fece strizzare gli occhi. Qualcosa pizzicava terribilmente al lato della sua gola, precisamente alla sua sinistra.
Provò a passare una mano sul punto dolente, ma il bruciore non fece che aumentare.
Digrignò i denti, infastidito.

«Ehi tu!» esordì una voce maschile.

Voltandosi con ardore, Levi vide un ragazzo dai corti capelli biondi e gli occhi cerulei, così come il cielo limpido. Portava un lungo cappotto grigio, il quale giungeva fino all'altezza delle ginocchia. Sotto di esso, in parte coperta, riuscì a scorgere il manico di una spada.
Pur trattandosi di un individuo armato, però, non gli dava una cattiva impressione.
Solo lo zaino che portava sulle spalle lo incuriosiva, essendo munito di moltissime tasche.

«Tutto bene...?» chiese con sospetto il viandante.

Non seppe cosa rispondere.

Lo avrebbe preso per un pazzo se gli avesse semplicemente detto di essersi svegliato in mezzo alla strada con un amnesia a tormentarlo. Continuò a massaggiarsi il collo, poi degnò l'altro di una risposta.

«Mi sai dire dove siamo?»

Il viaggiatore sbatté un paio di volte le palpebre, perplesso. Si sistemò meglio lo zaino sulla schiena, il quale produsse un leggero suono metallico a quel movimento.

«Beh, questo è l'altopiano del Sole, siamo parecchio a sud», spiegò, studiando il suo viso. «Tu da dove vieni? Ti sei perso?»

«Una specie. Non ricordo nulla a dir la verità».

Tolse il palmo dal collo, arrendendosi ed accettando il dolore che gli avrebbe arrecato chissà quale stupida ferita.
Poi, però, fu lo sguardo dell'estraneo a farlo trasalire.

«Che cos'è quello...?» mormorò il biondo, sgranando gli occhi.

Levi cadde nel panico.
Aveva un ragno addosso? Un buco nel collo? Del sangue? Diamine, perché non parlava quell'idiota?

«Cosa? Che cosa c'è?»

«C'è un segno...», disse il ragazzo, avvicinandosi un poco. L'altro, in risposta, indietreggiò.

«Che segno?» domandò, allora.

Furlan credeva di avere le allucinazioni.
C'era un triangolo nero impresso sulla pelle pallida di quel tizio. Era formato da tre scaglie appuntite che si inseguivano l'un l'altra, formando la figura geometrica precedentemente nominata. Pareva essere un segno di disgrazia: di certo non aveva un bell'aspetto.

𝔗𝔥𝔢 𝔅𝔯𝔞𝔫𝔡Onde histórias criam vida. Descubra agora