9. Nodi di ricordi

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Elle portò via con se tutti i colori, ed io non fui più in grado di distinguerne alcuni. Non mi importava più di distinguerli. Che senso avrebbe avuto guardare e riempirmi di altri colori se continuavo a cercare solo i suoi? Che senso avrebbe avuto guardare altri occhi, quando i miei fremevano dalla voglia di scontrarsi e rigettarsi nei suoi. Mi perdo fra i miei pensieri. Cerco di afferrare qualcosa, ma cosa? Non posso afferrare nient'altro che l'enorme voragine del nulla che si espande nel mio petto. Ma qui la vera domanda è: Come si afferra qualcosa che non è afferrabile al tatto? Come si tiene qualcosa che non c'è, qualcosa che non può restare.

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Essere privo di colore, è questa la condanna di Ray. Ma che condanna è se poi tutti i colori di Elle in realtà, si trovano in lui. Che condanna è se in realtà riesce a riflettere tutti i colori del mondo con la capacità di renderli suoi. E' che questo lui non l'ha capito. Si mortifica, urla e non si dà pace. Crede ancora che avrebbe potuto fare qualcosa per salvarla. Ma quando la testa urla, nulla può salvare. Solo un grido più forte può battere quei mille pensieri malati ed Elle era grande abbastanza da decidere cosa fare della sua vita ma lei era già troppo stanca. Gli occhi dei suoi genitori che solo adesso aveva addosso, la opprimevano.

Tranne quelli di Ray. I suoi occhi erano neri, erano vuoti. E allora lei in quegli occhi ci navigava dentro, ci trovava conforto, trovava un posto sicuro in cui sapeva di poter prendere posto. Gli occhi di Ray l'avevano sempre guardata. Furono la prima cosa che il verde di Elle incontrò quel giorno in sala musica. E gli occhi di lui, non esitarono un attimo a rigettarsi nel verde come il vetro di una bottiglia, degli occhi di lei. Ora, quella pece era incastonata in quel verde smeraldo.

E come lo si spiega il colore del nulla? Come si spiega qualcosa che vedi solo quando in realtà i tuoi occhi sono chiusi, e che dunque non vedi mai. Come si spiega il colore del vuoto, il colore di quando nulla è attorno al nulla. Come si spiega il colore degli occhi di Ray?

Questo solo Elle lo sa, che non ha mai avuto paura di quel vuoto, che anzi in quelle due voragini ci trovava conforto. Solo lei sa cosa significasse essere guardata da quegli occhi così pienamente vuoti e scavati. Gli occhi di Ray erano magnetici, come qualcosa così privo di tutto, che riuscisse a tenerla. Solo lui era in grado di apprezzare tutti i colori di lei. E solo Elle trovava sicuro il niente di cui Ray è composto.

E allora, lei decise di prendersi ogni singola cellula di Ray e lui invece, non fece nient'altro se non tenerla stretta a sé, come se non volesse più lasciarla. E fu così fino all'ultimo: In fin dei conti lei morì fra le sue braccia. Il suo posto preferito, dove poteva solo fiorire e splendere sempre di più. Un posto in cui lei poteva essere tutto e nulla contemporaneamente. Un vuoto in cui lei trovava concentrate tutte le cose buone del mondo. Uno spazio nella quale lei non si sentiva di troppo. Uno spazio nella quale si sentiva abbastanza. Elle non voleva colmare quel vuoto, lei ne faceva solo parte, si intrufolava schiettamente e stava lì, in silenzio. Senza mai giudicare. Senza mai sentirsi giudicata. Non si sarebbe mai azzardata ad ''aggiustare'' quel vuoto, perché sapeva bene, che lei e lui solo sfiorandosi, riuscivano a divenire l'uno la parte bella dell'altra.

E che anime insignificanti le loro: Si riempivano l'uno dell'altra tanto da essere in grado di nutrirsi a vicenda. Sapevano trovarsi due anime come quelle. E si intrecciavano, si contorcevano, si ingarbugliavano, creando nodi di ricordi. Nodi che Ray non era più capace di sciogliere, che non voleva sciogliere. Voleva tenerli tutti stretti nella sua mente per aggrapparsi a qualcosa, per riuscire a illudersi che forse quel rosso sangue fosse come quello dei capelli di lei. Sembrava proprio un bambino che non voleva staccarsi dalla mano della mamma. Egli sapeva di avere gli occhi chiusi ma aprirli sarebbe stato più doloroso di un taglio sul braccio. Aprirli sarebbe stato equivalente ad accettare la morte di Elle, ad accettare la sua assenza.

E allora lui spera con tutto se stesso che in quel rosso possa rivedere lei.

D'altronde il genere umano non ha mai fatto nient'altro se non aggrapparsi morbosamente a qualsiasi cosa in cui potesse trovare conforto. E' questa la tortura dell'essere.

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Mancava ormai qualche settimana all'inizio delle lezioni al conservatorio e Ray non si sentiva abbastanza pronto a ricominciare a relazionarsi con le persone. L'idea di dover essere compreso in una distanza sociale con tutti gli altri studenti del corso gli dava la nausea. Più passavano i giorni e più iniziò a sentire il bisogno di mollare tutto e di richiudersi in casa a marcire. Eppure qualcosa gli diceva di continuare, di andare avanti. Lui avrebbe dovuto vivere la vita che a lei è stata sottratta dalla malattia. Lui doveva farlo, aveva ancora del tempo per realizzare il loro sogno...

Il vento soffiava forte quella sera e faceva scagliare la neve sul vetro della finestra della sala di musica. Eravamo seduti al piano quando mi disse ciò che aveva in mente di fare: ''Sai Ray, un giorno vorrei suonare davanti a un sacco di persone, vorrei che qualcuno sentisse cosa le nostre anime hanno da comunicare, so che è difficile, ma sarebbe bello.''

''Elle abbiamo solo dodici anni, credi davvero che continueremo a suonare assieme per così tanto tempo?''

''Rimangia ciò che mi hai appena chiesto Rayn! Lo metti in dubbio, sul serio?

''Scusami, non volevo offenderti ma mai nessuno ha voluto passare con me così tanto tempo. Neppure i miei genitori. Ho per caso sbagliato qualcosa?''

Elle girò in fretta il suo busto verso di me, mi pianto gli occhi addosso e mi prese saldamente le guance fra le sue mani e con un tono autoritario mi disse: ''Non ti azzardare mai più a dire qualche sciocchezza del genere. Stupido di un Rayn. Intesi?!''

''S--si.''

''Come?! Non ho bene capito!''

''Se--Se mi Lasci--assi la faccia!''

Allentò la presa, ma il suo sguardo continuava ad essere minaccioso e proteso verso di me.

''Vorresti davvero suonare davanti a mille persone?''

''Mille? Sono poche, io vorrei essere famosa, vorrei suonare davanti a diecimila persone!'' mi disse rigirandosi verso la tastiera, Adesso sembrava pensierosa.

''Certo, diecimila figurati.''

All'improvviso scattò di nuovo lo sguardo verso di me: ''Sì, diecimila e uno. Saranno diecimila e uno le persone che saranno presenti alla nostra esibizione!''

''Va bene Elle, sarà così.''

Alla fine l'assecondai, anche se il solo pensiero di mille persone mi preoccupava e mi creava una sensazione di sconforto.

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Sapeva che in ogni caso non gli sarebbe costato nulla, ma che gli avrebbe portato distrazioni in più, qualcosa di più vero. Ma ciò che lo spaventava era proprio il doversi staccare da ciò che lo faceva rimanere incatenato al passato, il dover accettare e andare avanti. Dimenticare è una cosa che fanno le persone priva d'anima. Si dimentica qualcosa che non è stato importate, qualcosa alla quale non si è stati attenti. Si dimentica qualcosa che non ha lasciato un segno. Ma se un ricordo lacera la tua pelle, vale davvero la pena ricordarlo? Eppure, la domanda che egli si poneva era sempre l'opposta: Se un ricordo è così straziante e presente da lacerarti la pelle, come lo si può dimenticare? Se qualcosa lascia un segno, lo lascia per sempre, ed Elle e Ray si erano plasmati a vicenda. L'uno era l'opera d'arte dell'altra, la poesia mai letta ad alta voce perché farebbe lacrimare gli occhi, il brano intimo che nessuno ha mai ascoltato, la canzone che si sente scorrere lungo tutta la periferia delle vene. I fiori che si vedono sbocciare nei propri occhi. Lei non aveva lasciato un semplice segno perché lui per lei, fu come un foglio bianco, e lei per lui fu come la bambina che provava a colorare cautamente dentro i contorni. L'uno senza l'altra non potrebbe esistere. 

E tutti sanno che i fogli sono nati per essere scritti, colorati, segnati o tagliati.

La trasparenza dei coloriWhere stories live. Discover now