12. Abisso di stelle

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I suoi occhi furono intrappolati in un abisso di stelle. Fu così disorientato nel riuscire a vedere tutte quelle stelle, che si perse. Sentì una fitta così violenta espandersi in tutto il petto, come se stesse annegando nell'abisso di un oceano e l'ossigeno iniziava a mancare da far bruciare i polmoni e da far spalancare gli occhi. L'amico probabilmente era tornato a sdraiarsi, provando a rimuginare qualcosa che egli non notò affatto. E fu perdendosi oltre al vetro della finestra, che la pece dei suoi occhi si sciolse come burro, alla vista delle prime stelle che si stendevano pacatamente e silenziosamente sul cielo, come le lacrime, sul viso già rigato di Rayn. Quelle stelle furono così magnetiche da imprigionare qualsiasi sguardo di chi le avesse incrociate.

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''Ray! Guarda le stelle!'' Le sue gambine corte corsero veloci verso il balconcino della biblioteca. Le prime notti di inverno erano le sue preferite. Era emozionata al sol pensiero di riuscire a scorgere anche la minima luce di una minuscola stella. E in quei suoi occhi il riflesso di una distesa dal colore del profondo di un oceano, si ricoprì di stelle, come se esse fossero un lenzuolo bianco, come se potessero coprire e proteggere tutta quell'immensità di un'abisso. In quei suoi occhi io non ritrovavo solo colori. Io ritrovavo tutto il cielo intero. La notte, le stelle, i raggi caldi del sole e le piogge tormentate. Lei era fatta tutta di cielo che le stelle si riversavano in lei, che il calore del sole sprigionava dagli occhi sorridenti. Lei era cielo, era un abisso di stelle. Era così immensa da creare ricordi indelebilmente profondi. 

''Ray, Ray, guarda le stelle! Eccola lì, Cassiopea, Oh guarda lì...Orione! Dimmi che è Orione. Sì, è proprio lui. Guarda è la sua cintura!'' ''Sì Elle, è lui.'' ''Sapevo che fosse lui, lo sapevo bene!'' In una risata calda e docile, quelle parole risuonavano fin dentro le pareti del mio cuore. Le fitte erano insostenibili, la sua risata era così fine e così tanto delicata, da insinuarsi nelle mie ferite e riempirle di calore pungente. Le sue piccole manine si tenevano salde alla ringhiera in ferro. si sporgeva sulle punte. Credeva che così avrebbe potuto sfiorare le stelle. Socchiuse gli occhi e tirò via un sospiro di sollievo. Anche oggi aveva visto le stelle in cielo. Poteva ora tornare sulla pianta dei piedi. Anche oggi aveva sfiorato le stelle. Tirò via un altro sospiro per dire poi la sua amata poesia.

''Ray, le stelle sono belle...''

''...Per via di un fiore che non può esser visto.''  La mia voce suonò così piano, che neppure me ne accorsi.

Il suo viso tornò basso, adesso i suoi occhi si poggiarono su di me, senza esitazione: I suoi occhi si poggiarono su di me e non furono in grado di riflettere più nulla. Eppure sembra avere ancora le stelle nei suoi occhi.

''Tu sei il mio fiore, il mio fiore dai petali corvini e setosi. Come le piume di un corvo. Ray se il mio più splendido fiore. Sei il mio fiore che si nasconde dietro ogni singolo stella luminosa.''

''Mi metterai sotto una campana di vetro?''

''Ray, che sciocco.''

Lui aveva sperato in un 'sì'. Aveva sperato con tutto se stesso che lei lo proteggesse. Aveva sperato che almeno lei lo avrebbe protetto da tutto ciò che lo tormentava: le voci, la rabbia, quel dannato senso di vuoto. Aveva sperato in un sì, inconscio del fatto che entrambi si erano messi l'uno sotto la campana di vetro dell'altra.

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''Rayn, mi ascolti?''

La voce di Josh lo fece smuovere dalle radici spinose di quel ricordo. Nessuno potrebbe mai avere la minima idea di quanto Ray odiasse tutti quei ricordi vivi. Nessuno eccetto egli steso, potrebbe avere la minima  idea di quanto si odiasse per ricordare tutto così nitidamente. 

Incuriosito, Josh seguì lo sguardo perso di Ray: Era rivolto verso il cielo stelato. Era rivolto verso il ricordo di Elle. Allora prese a suonare delle note che potessero riportarlo alla realtà. Erano le note dello spartito di ammissione per il conservatorio. Studiavano quelle note già da anni, volevano entrare al conservatorio musicale di Londra ad ogni costo. Quelle note erano scolpite sul cuore di Rayn, Elle, Josh e Neil. Ormai mancava solo due anni, e sarebbero potuti entrare a studiare ciò che amavano. Ma ormai era già passati due anni da quando Neil abbandonò Josh. Ed erano passate solo poche ore da quando la madre di Elle chiuse il collegio e affidò il loro pianoforte a Ray. Josh spezzò di nuovo il silenzio, questa volta con un tono di voce pieno di insoddisfazione, quasi angoscia o forse solo perplessità. 

''Ray, non trovi sia strano?''

''Cosa?'' 

''Non siamo poi così tanto diversi io e te. Siamo come un inganno agli occhi della gente. I classici migliori amici opposti. Io biondo tu moro, io ricciolino tu liscio, Tu suoni musica classica io il rock. Di diverso abbiamo solo i colori ecco, ma ora che ci penso, neppure quelli ormai dopo Elle.'' Josh aveva le mani ferme sulle corde tirate del basso. Non capiva se a riflettere di più la luce fossero i suoi capelli o la lucidità delle corde del basso elettrico. Iniziò a pizzicarle leggermente con i polpastrelli rosati. Dei suoni fermi e dal tono cupo, iniziarono a prendere forma sotto le dita di Josh. Si fermò di colpo.

''Anche in amore siamo stati fortunati allo stesso modo.'' Ray percepì subito quella amaro sarcasmo dell'amico, quasi sorrise se il tono con la quale Josh avesse detto ciò non si fosse abbassato di colpo come il suono delle quattro corde. Adesso l'espressione dell'amico si era persa. Ma si riprese subito con un sorriso a sbuffo, come se si fosse prese in giro da solo.

''E beh in quanto non salute mentale, ti lascio il primo posto, io riesco a cavarmela.''

''Divertente Josh, davvero molto.'' Si rivolse all'amico con un aria ben poco divertita. Ma sotto sotto aveva sorriso anche Ray.



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