17. L'incompletezza della ramificazione del sangue.

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Spazio autrice

Questa parte sarà un po' pesante per chi è sensibile all'argomento sh|autolesionismo. Faccio sempre del mio meglio per cercare di non scrivere qualcosa che possa infastidire parecchio a voi che state leggendo la mia storia. Se è un argomento che vi tocca particolarmente, non vergognatevene e accogliete questo dolore. Ricordate sempre che non siete soli e che un sacco di persone possono capirvi. Accettare l'aiuto non rende il vostro dolore meno importate o inesistente. Come dissi tempo fa, preferirei che voi non leggiate affatto il mio libro se quest'ultimo possa influenzarvi negativamente.


"Prendo a fuoco nella neve:

essa brucia sotto la mia pelle

e io non mi scanso.

non si arde spesso nel suo candore."


Sapete, ognuno di noi ha un subconscio. Immaginatelo come un sottile strato di vita che delimita il confine fra ciò che vivete e ciò che elaborate da ciò che vivete. Qualcosa che sta al di sotto della vostra coscienza. Qualcosa che vive di vita propria, a vostra insaputa. Questa sottile membrana, dopo aver raccolto ogni singolo dato della vostra giornata, si insedia come una biscia nei cassetti della vostra mente e rilascia senza noncuranza tutto quello che ha assimilato. In questo caso, il subconscio di Ray si smembra in piccole e affilate schegge di legno, che continuano a persistere conficcate in quei momenti magici che la gente chiama "sogni". E conoscendo Ray, le uniche cose che il suo stesso subconscio potesse assimilare durante la sua esistenza, non erano altro che i ricordi fluorescenti di lei, e sì, anche del pianoforte.

Quel giorno Rayn si era ritrovato nel proprio appartamento, a pochi passi dalla sua realtà, quel maledetto pianoforte. Piombato in quella stanza con tanta facilità come un lampo che si dimena nel cielo più scuro durante una notte di tempesta. E quel giorno Elle si trovava lì, seduta sulla cassa chiusa del pianoforte, sorridente come un usignolo in festa. E Ray era lì, con le dita poggiate sulla cassa lucida a forse tre centimetri dall'anima di Elle. E ciò che le disse lo sapete bene.

Rayn avrebbe preferito avere le mani mozzate in quel momento. Come al solito, avrebbe preferito scappare. Ma i sogni sono dei bastardi e questo lui lo sa bene. I sogni sanno dove colpire, dove strisciare, perché sono guidati non dalla realtà bensì dal signor. Subconscio. 

Ray quella notte sognò effettivamente di avere le mani mozzate. In quell'immagine viva, non aveva più un singolo dito. E ciò che vedeva, purtroppo, non era una pozza di sangue come lui avrebbe sperato di sognare, ma erano delle semplici bende bianche. Vergini. Non c'erano tracce di sangue, né di un pianoforte, né di Elle. Solo la visione delle proprie mani mozzate in uno sfondo altrettanto bianco e quell'afosa preferenza che lo avrebbe allontanato di certo da Elle.

 Fra l'immacolatezza di quel sogno, una voce giunge a Ray:

"È davvero questo che vuoi?"

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L'orologio al polso di Ray segnava le cinque di mattina. Si svegliò di colpo preso dalle vertigini: afferrò in fretta le lenzuola accorgendosi l'istante dopo di non star precipitando da un palazzo di cinquantaquattro piani. Tornò poi a chiudere gli occhi ed espirando profondamente, le parole del sogno gli ripercorsero improvvisamente la mante:

"È davvero questo che vuoi? Dimmelo Ray. Dimmi come puoi disprezzare ciò che brami, ciò che più ti manca? Come puoi preferire delle mani mozzate al profumo della sua pelle o a tutti quei dannatissimi colori che ti riempivano? Dimmelo Ray, come hai fatto a renderti così ridicolo, perché sì, lo sei. Sei ridicolo. Cos'è che ti tiene ancora distante da quel maledetto pianoforte, eh? È forse la paura di capire che sei vivo anche senza lei? Che lei non c'è più. O semplicemente sei un codardo? Mi raccomando: la prossima volta che te la ritrovi davanti, ribadiscile che è morta, le riempierà il cuore che le hai sfracellato comportandoti così."

La trasparenza dei coloriNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ