16. Mare e petrolio.

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La prima volta che Josh Wilhemian incontrò Ray fu subito dopo aver riaperto gli occhi steso su un lettino dell'infermeria. Sentiva come se avesse ancora i polmoni impregnati d'acqua e la testa schiacciata sotto ad un masso. Ray si trovava seduto giusto a pochi metri di distanza da lui, su di una poltrona di velluto verde come quelle di vecchio stampo. Josh si accorse subito che egli respirava rumorosamente e questo lo infastidì parecchio, portandolo a chiedersi il perché quel ragazzo che lui non conosceva affatto, se ne stesse lì seduto a braccia conserte, le gambe distese e appisolato su quella squallida poltrona presente in ogni singola camera d'ospedale che si potesse mai immaginare. Squadrando la figura del ragazzo sconosciuto, Josh si accorse che egli aveva un cerchio violaceo tutto intorno all'occhio da far paura, la sua pelle era così pallida da permettere a quel livido di risaltare vivo nel candore, come il labbro inferiore gonfio e sanguinante. Josh non capiva se il viso di Ray ridotto a sangue gli donasse o stonasse con gli spigoli di quel volto tanto bianco. 'Avrà fatto a botte', pensò poi fra sé e sé, ecco perché si trova qui. La sua attenzione ricade poi sui suoi capelli maestosamente corvini, se Josh l'avesse visto senza lividi e mezzo sanguinate, avrebbe pensato di certo che fosse un angelo. Ma non un angelo paradisiaco circondato da un'aura pura cantato dai cori delle chiese, bensì l'angelo più tormentato, avvolto da ali splendidamente mozzate di piume dei corvi più neri. Quei capelli mostravano tutta l'essenza di Ray.

Buttando poi velocemente un'occhiata alla stanza in cui si trovava, Josh si domandò per quanto tempo avesse dormito e il perché si trovasse in infermeria del collegio, circondato dalle mura più squallide di quella struttura. Provò poi a smuoversi fra le coperte immacolate del lettino: Non capiva se il loro odore fosse troppo chimico o era semplicemente vero che tutte lenzuola d'infermeria fossero vertiginosamente pulite, ma i suoi muscoli non ne vollero sapere nulla. Erano tutti tirati e li sentiva pulsare da sotto la pelle. Gli bastò un minimo movimento della testa per accorgersene, che subito corrugò la fronte dal dolore, e tornò immobile. Prese riconoscenza dell'accaduto subito dopo, tutto d'un colpo, in un battito di ciglia. Una nausea gli si attaccò viscidamente alle ossa, spalancandogli gli occhi. Avrebbe voluto coprirsi il viso dietro i palmi delle proprie mani, scavarsi gli occhi o semplicemente urlare. Ma era immobile. Se avesse potuto avrebbe stretto volentieri il proprio collo fino a morire: avrebbe ricordato per sempre ciò che subì poche ore prima: la risata assillante di Marcus, conficcata nei timpani unita al rumore dell'acqua e dello sciacquone, mentre gli teneva la testa giù nell'acqua del gabinetto, la ricerca invana d'ossigeno e la vergogna che occupava ogni singola cellula del suo corpo. Avrebbe ricordato per sempre, che ciò che era successo era dovuto al fatto che fosse  Gay. Era immobile quando l'unica cosa che avrebbe voluto fare era sgusciare via dalla propria pelle. Si sentiva ripugnante nel suo essere.

Anche piangere gli sembrò costargli fatiche immense.

 Con lo sguardo fisso verso il soffitto, Josh pensò che avrebbe preferito morire.

Ray schiuse gli occhi qualche minuto dopo. Tirando su col naso, si mise composto attirando ancora per una volta la sua attenzione. Le sue gambe non erano più stese, teneva le braccia sulle ginocchia e le mani incrociate. Non gli aveva ancora rivolto lo sguardo.

"Chi sei?" Gli chiese inclinando leggermente la testa verso di lui.

''Sono Rayn." 

"Mh. Io sono J-Josh." gli disse.

Seguì un silenzio così fitto tale da far sembrar di sentire i battiti cardiaci di entrambi. Fu la voce secca di Rayn, a spezzarne la continuità. Il suo tono era un vortice di nervosismo e tristezza.

"Mi dispiace." 

''...''

"Tu non hai nulla di sbagliato... Lo riesci a capire?'' 

Rayn era rammaricato, cercava le parole giuste da dire, in un continuo susseguirsi di sussurri ma a Josh sembrava solo che stesse borbottando fra sé e sé. Distolse poi lo sguardo dal ragazzo pallido. Fu sorpreso quando Rayn riprese a parlare con voce più ferma mentre tormentava le proprie cuticole dei pollici: "Se avessi corso più in fretta magari sai, ecco adesso tu non saresti qui, e quel bastardo di Marcus non ti avrebbe alzato un dito e..."

"Non è colpa tua Rayn." Josh lo interruppe cercando i suoi occhi, senza sapere che si sarebbe macchiato per sempre se mai quelle pupille avessero incontrato le sue. La voce di Rayn si fece piatta, lineare. Arida.

"E di chi sennò?" 

"Di chi altro pensi che sia la colpa. La mia. Sono io quello gay. Sono io quello sbagliato." La voce strillante di Josh si troncò nell'esatto istante in cui pronunciò quelle parole. La gola gli iniziò a bruciare e i muscoli presero a pugnalargli la pelle. 

Rayn si sentì gelare il sangue davanti a quelle parole d'odio con le quali Josh stesso si identificava. In silenziò Rayn, alzò lentamente lo sguardo verso il ragazzo dai riccioli d'oro, quasi come se non volesse fare rumore, attraversò tutta la sua figura fino ad arrivare agli occhi: il tempo si cristallizzò. Fu come se l'azzurro del mare si riempì della pesantezza del petrolio. I loro occhi rimasero fissi gli uni sugli altri. Due iridi così differenti, come opposti. Il mare e il petrolio. 

Subito dopo Ray scoppiò a piangere. Si sentiva misero difronte alla vastità cristallina di quelle iridi. Difronte a dei colori così puri tanto quanto l'anima tormentata del ragazzo che gli stava davanti. Sentiva che l'avrebbe rovinato se avesse continuato a guardarlo ancora dritto negli occhi.

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Josh non si meritava nulla di quello che gli era accaduto. 



Spazio autrice

La prossima parte sarà un po' pesante per chi è sensibile all'argomento sh|autolesionismo. Faccio sempre del mio meglio per cercare di non scrivere qualcosa che possa infastidire parecchio a voi che state leggendo la mia storia. Se è un argomento che vi tocca particolarmente, non vergognatevene e accogliete questo dolore. Ricordate sempre che non siete soli e che un sacco di persone possono capirvi. Accettare l'aiuto non rende il vostro dolore meno importate o inesistente. Come dissi tempo fa, preferirei che voi non leggiate affatto il mio libro se quest' ultimo possa influenzarvi negativamente.

state al sicuro.

La trasparenza dei coloriWhere stories live. Discover now