18. I passi del vento

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L'imponente struttura del conservatorio di Londra si estendeva verso quell'atipico celeste mattutino della città. Nessun vortice di nuvola oziava in quella distesa piena e vanitosa che tormentava gli occhi di Ray rivolti verso essa. Era come se non volesse farsi guardare per più di tre secondi. Il cielo sembrava sagomare tutti i profili e i tetti delle case. Quella giornata si sarebbe rivelata strana e insolita come un cielo celeste e limpido a Londra. 

Il vento tagliò la scena richiamando l'attenzione di Ray: Sembra sentirlo cantare mentre attraversava le chiome degli alberi autunnali come dita sfilate fra ciocche di capelli variopinti di toni caldi. Le foglie si abbandonavano ad esso come per compiacerlo. Si smuovevano e cantavano come il vento avrebbe desiderato. Senza esitare un attimo. La foglie avrebbero fatto la qualsiasi per sentirsi avvolte e sfiorate ancora una volta dal soffio soave del vento.

Una staccionata bassa e nera divideva le due strade principali di Marylebone. Ray attraversò di fretta non curandosi di raggiungere le strisce pedonali alla sua destra, le pochissime auto che circolavano pigramente rallentarono senza esitazione per farlo attraversare. Una volta dopo aver attraversato, all'ombra degli alberi che aveva notato pochi istanti prima, decise di fumare. Sfilò via dalla tasca del cappotto un pacchetto di sigarette, lo aprì e tra quelle schiere di filtri bianchi  prese quella che stava più a sinistra. Mise via il pacchetto in tasca.

Portò poi la sigaretta alle labbra tenendola ferme con esse. Prese l'accendino e avvicinando entrambe le mani fece scivolare con decisione il pollice sull'accensione a pietrina. Sporse la sigaretta verso la fiamma iniziando ad aspirare lentamente. Il calore d'essa iniziò a pizzicargli il viso, portandolo a spegnere subito l'accendino. Filamenti di fumo si issavano dalla sigaretta: sembravano danzare per poi spigionarsi e liberarsi fin sopra la testa di Ray. Il fumo aspirato diede delle piccole scosse al suo stomaco, il tutto fu accompagnato da un senso di vertigini e di leggerezza che lo sovrastavano un tiro dopo l'altro. 

Alzò poi lo sguardo scrutando con un filo d'incertezza tutto la compostezza dell'istituto costruito in mattoni rossi e bianchi. L'eleganza di quest'ultimi adornava l'arcata dell'ingresso, salendo lungo le due file da tre finestre posizionate  l'una sopra l'altra, fino a raggiungere la finestra rotonda più piccola nell'arcata superiore del tetto. Fra tutte le cose ciò che spiccava maggiormente era Il rosso della bandiera con lo stemma della ''Royal Academy of music''. I disegni in bianco raffiguravano lo stemma sulla sulla quale poggiano una leonessa e un unicorno ai rispettivi lati, e una corona al di sopra del logo. 

Una volta dopo aver finito di fumare si diresse verso l'ingresso. Un paio di ragazzi si affrettavano ad entrare sorpassandolo, sembravano aver fretta d'iniziare le lezioni. Ma Ray 'sta fretta non l'aveva, anzi indietreggiando e allontanandosi dall'entrata, decise di accendersi un'altra sigaretta. 

Adesso però entrava davvero. Buttò via la cicca e aprì la porta. Le luci calde dell'ingresso trasmettevano un'atmosfera signorile e teatrale. Fece pochi passi in avanti verso il bancone alla sinistra e chiese indicazioni alla segretaria:

"S-Salve, buongiorno." Ray si schiarì la voce mentre una donna sulla quarantina si voltava verso di lui, al di là dell'alto bancone, richiamata da quella voce nuova e profonda.

"Buongiorno a te, posso esserti d'aiuto?" La donna gli porse un sorriso. I suoi capelli erano bianchi e ricadevano morbidi sul collo. Indossava un maglioncino di lana bianco, con una spilletta d'oro dell'accademia sulla sinistra e una targhetta, anche questa d'oro, con inciso 'Anne' sulla destra. Portava dei pantaloni neri eleganti e legato al collo aveva un piccolo foulard arancione e rosso. 

Perché gli sorrideva?

"Si, ecco ho vinto la borsa di studio quest'anno e mi è stata detto che avrei iniziato le lezioni a metà anno, mi chiamo Rayn Winteroos.''

La signora annuì leggermente, smanettò un po' al computer trovando tutte le sue documentazioni e subito capì chi fosse il ragazzo davanti ai suoi occhi.

''Oh eccoti, Rayn, sono lieta di accoglierti qui, alla Royal. Dammi solo cinque minuti che stampo tutti i tuoi fascicoli e poi chiamerò Hellen..." Ray sentì le sue buddela contorcersi, come se avesse appena incassato un pugno allo stomaco. "...ti spiegherà un paio di cose da sapere sulle lezioni, sul materiale e tutto ciò che ti servirà per il tuo percorso di studi. Ecco qui." Gli porse una dozzina di fogli: "Questi li devi dare ai professori Walter, Lee e alla professoressa Jacobson, questi tre invece li devi conservare tu, sono tutte le certificazioni d'ammissione per quest'anno. Ho fatto delle copie per me, non ti preoccupare ragazzo. E infine con quest'ultimo, ecco qui, potrai avere il tesserino d'ammissione e l'accesso alla mensa. Il tesserino ti arriverà settimana prossima, va rinnovato ogni mese!" Ray cercò di stare al passo con tutte queste informazioni ma fra i mille fogli e quel nome troppo simile a quello di Elle, entrò ben presto in uno stato di confusione. Con uno sguardo perso verso Anne, raccolse la manciata di fogli, ficcandoli dentro alla tracola senza cura. Ritirò subito la mano sentendo una striscia di bruciore percorrergli l'indice: si era tagliato con la carta. Sorrise.

Anne accorgendosene gli indicò subito il bagno e gli disse che sarebbe tornata con un cerotto e con la ragazza. Ray si avviò con delle ampie falcate verso di esso. Trascinò la porta scorrevole che si trovava alla destra del lungo corridoio e si appoggiò ai lavandini in marmo che riflettevano la luce pallida di quel pulitissimo bagno. Aprì il rubinetto: dell'acqua gelida scivolò lungo le sue mani armeggiate di vene. Non ebbe motivo di allarmarsi, chiuse il rubinetto e si asciugò le mani sui vestiti. Portò l'indice alle labbra aspettando che il sangue smettesse di fuoriuscire. Uscì dal bagno e fissando la sua camminata cercò di tornare verso il bancone dove la dolce signora lo aveva accolto. 

Immerso nei suoi pensieri e col dito in bocca, Ray non si sarebbe mai accorto di star andando a sbattere contro una persona. Tantomeno lei, presa a cercare con foga un cerotto nel suo zaino di tela, si sarebbe aspettata di sbattere contro un palo di ragazzo, venendo dalla via opposta alla sua. Lei inciampò sui piedi di lui e perdendo l'equilibrio cercò di aggrapparsi miserabilmente a quel ragazzo, e Ray, dopo aver compreso cosa stesse succedendo, fece il possibile per non farla cadere. La afferrò saldamente dal braccio, tirandola su quasi come un manichino. 

La ragazza dopo essersi ricomposta prese a gesticolare: "Dio mio, scusami, non ti ho visto,  stavo cercando un cerotto nella borsa, Anne mi aveva chiamata perché un ragazzo nuovo è appena arrivato e non so per quale dannato motivo avesse bisogno di un cerotto e poi sono inciampata e scusami..." La ragazza alzò gli occhi verso Ray: la stava fissando.

Le venne una fitta al petto: era lui.

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Nel momento esatto in cui lei inciampò, mi accorsi del colore dei suoi capelli: erano rossicci. Non un rosso acceso come quello di Elle, ma un rosso appassito, come i petali di una rosa essiccati fra le pagine di un libro di poesie. Le afferrai subito il braccio, si sarebbe fatta male se fosse caduta con la faccia contro il muro. La tirai su per farle riacquistare l'equilibrio. Iniziò a gesticolare e a scusarsi. E più si scusava, più notavo le lentiggini sul suo viso sfilato, più continuava a parlare, più mi sembrava di sentire e avere Elle davanti. L'aria iniziò a mancare fra le pareti dei miei polmoni. Non avrei retto un secondo di più, ogni piccolo dettaglio che notavo, sembrava di appartenere ad Elle: le orecchie grandi e i ciuffi accostati dietro d'esse, un piccolo neo sulla tempia sinistra, le mani eleganti e le labbra color pesca. Stavo per interromperla quando alzò gli occhi verso di me e dio, fu come essere stato bruciato vivo: i suoi dannati occhi erano verdi come la giada più preziosa che avessero mai trovato.

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 Dei brividi lo percorsero violentemente. Si sentì investito da una folata di caldo soffocante: sembrava lei.



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