IX

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(Randall)

«Oh, e così ti eri nascosta qui. Tana per te» tentò di scherzare Balthazar, acquattandosi sotto il cespuglio in cui mi ero rifugiata. Mi masticai le labbra. Mi toccò il braccio, passandomi il turno di gioco e io gli voltai le spalle. «Cosa è successo? Mi tieni il muso?»

Mi pulii la faccia dalle lacrime. Avevo passato giorni a esercitarmi, a sforzarmi di fare il massimo e seguire a menadito gli insegnamenti di Balthazar e non c'era stato alcun cenno di magia. Per quel mago fu tutto importante, diceva che fosse comprensibile e interessante vedere il rifiuto dei miei chakra di stabilizzare il mana. Per me era una perdita di tempo.

Mi ero rifugiata sotto quell'angusto cespuglio per nascondermi e piangere un po' in pace. Avevo immaginato di essere un grande Antimago, rispettata da tutti, tanto da poter calpestare le facce dei Graves.

«Ti stavo cercando» disse Balthazar inespressivo. «Questa mattina hai saltato la lezione. Mi sono preoccupato.»

Il mio volto divenne rosso per la vergogna. Non solo non era arrabbiato, si era persino preoccupato per me. Quell'attenzione non mi piacque affatto, mi fece sentire ancora più in torto.

«Non sono lezioni» lo corressi. «Tu mi mostri come fare qualcosa. Io ci provo. Non ci riesco. Tu ti fai i fatti tuoi.» Mi fermai. «Lo hai detto a mio padre?»

«A tuo padre non interesserebbe.» Sospirai sollevata. «Sono venuto di mia iniziativa. Volevo vedere se stessi male, se avessi una scusa per aver saltato l'allenamento.» La sua voce era tranquilla, però notai che aveva serrato la mascella. «Non mi sembri malata.»

«Non lo sono.»

«Allora non potrai usarla come scusa. Perché non sei venuta a lezione?» continuò più beffardo, punzecchiandomi. «Uno dei tuoi fratellastri ti ha presa in giro o ti sei solo offesa?»

Mi punse nell'orgoglio. Saltai in ginocchio e lo spinsi. Ci misi tutta la forza che avevo in corpo e lo colpii sul petto, con entrambi i palmi, e lui cadde a gambe all'aria. Si massaggiò lo sterno e nel momento in cui lo vidi boccheggiare ansimai impaurita, convinta di avergli fatto qualcosa di male.

«Io... Scusami!» farfugliai.

Balthazar alzò la mano e la agitò nell'aria. «Le tue spinte sono più forti della tua magia» scherzò freddo. «La magia è un'arte, Emily, e come tale ci sono persone più dotate di altre. Avere in mano una matita non fa di te una pittrice, è come usi i colori, esprimi le tue emozioni sulla tela, la tua bravura a definirti tale. Il cammino è un percorso lungo e non facile.»

«Alex aveva ragione, non sono brava a fare nulla» considerai collerica.

«Ci riuscirai, Emily. Devi solo avere pazienza, equilibrio e controllo» recitò e io feci eco tra le mie labbra.

Ero stanca di sentire quel mantra. Io non ero paziente. Non avevo equilibrio, tanto meno il controllo, né sulla mia vita né sui miei poteri. Mia madre ne era stata divorata e, prima di questi, i Graves l'avevano manipolata. Balthazar mi trattava come se stesse ancora cercando di proteggerla.

Il mago mi fece una carezza sulla testa, pulendomi i capelli dagli aghi verdi. «Io per sollevare una pietra ci ho messo quattro mesi la prima volta» mi consolò, stringendo le dita sul petto.

«Voglio essere brava. Brava come Alex. Non voglio aspettare! Perché non ci riesco? Cosa ho che non va?» strepitai e Balthazar si trovò in difficoltà. «Ho fatto come mi hai detto, gli esercizi di respirazione, lo studio e mi sono allenata tutti i giorni per ore intere! È una cosa stupida, il cammino lo è. Non lo voglio più fare!»

Aprì la bocca sconvolto, non aspettandosi quelle dure parole. Scivolai a terra e strisciai via, tra i rami intrecciati e sgattaiolai fuori dall'altro capo del cespuglio. Non avevo più alcuna intenzione di essere presa in giro, era meglio accettare che non avessi una magia forte e tanti cari saluti. I Graves avrebbero potuto massacrarmi, non me ne importava.

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