XXIII

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(Tommy Incant)

«Non è divertente» berciò lui, pulendosi la faccia.

Dei minuscoli occhietti neri sbucarono da dietro un dente di leone, fissando la scena con aria curiosa. Spikey se ne stava appollaiato in un ciuffo d'erba, nascosto dai fiori. Il pixie aveva la pelle verde, lunghe orecchie a punta sulla zucca pelata ed era vestito con una foglia a coprirgli il busto. Dietro di lui sbucò Lulu, la sua immancabile amica, esile quanto un fuscello e fluorescente con quel cappello a fungo sulla testa.

«Spikey! Lulu!» esclamai allegra e i due pixie non si mossero dubbiosi.

Bucky allargò gli occhi spaventato da quelle minuscole figure in mezzo all'erba che lo fissavano senza mai sbattere gli occhi completamente neri. Spikey e Lulu erano pixie, delle fate della foresta che si divertivano ad andare in giro a fare i dispetti. Da piccola si erano divertiti a sbeffeggiarmi varie volte, tirandomi i capelli o facendomi fine in qualche fosso. Quando difesi un cucciolo di cinghiale da Flynn cominciarono ad essere amichevoli, capendo che non fossi crudele come gli altri Graves.

«Va tutto bene» tranquillizzai il soldato. Mi avvicinai ai due esserini e loro saltarono sulle mie ginocchia, grattando la pelle con le loro minuscole unghiette spinose. «Lui è un amico e un mio ospite. Per favore, fate i gentili.»

Stavo avendo dei problemi a convincere quei due pestiferi a darmi retta, dato che oramai fossero abituati solo alla mia costante presenza. Le fate non amavano gli esseri umani, avevano inquinato la natura e il loro vecchio mondo magico, però noi che eravamo un po' umani e un po' magici ci sopportavano.

«È un umano! Un umano! E puzza!» si lamentò Spikey, facendo segno di vomitare.

«Sì, sì, puzza!» continuò Lulu crudele.

«È un ospite di mio padre» cercai di convincerli.

I pixie non avevano concetti troppo raffinati, persino l'amicizia per loro era relativa e strana. "Ospite" era il termine che maggiormente riconoscevano.

«Lui puzza! Non ci piace!» insisté Spikey.

«Non ci piace!» fece eco Lulu. «Cattivo ospite!»

Ci pensai, poi andai da Bucky e gli chiesi di darmi tutte le sue armi. Gli presi il fucile, la pistola e persino i coltelli che teneva nascosti nelle numerose tasche dei pantaloni, posandoli dentro il tronco cavo di un albero a poca distanza. Mi pulii le mani con i petali di un fiore e tornai dai due pixie, già più convinti.

Spikey e Lulu volarono vicino a Bucky, appendendosi ai suoi capelli e dandogli fastidio.

«Cosa sono?» mormorò assorto e fu quasi sul punto di spappolare Lulu con una manata quando cercò di infilargli un dito nel naso.

«Pixie, folletti dei boschi» dissi facile. «Il metallo li ferisce, quindi la prossima volta non portare più niente di quel genere. Le pistole non ti aiuterebbero comunque, mercenario.»

Per come la vedeva Bucky, andare in giro senza arma significava andare incontro alla morte. Se però camminava in mezzo a boschi magici, colmi di creature che al sol fiutare del metallo si incazzavano a morte, morire per un pazzo era preferibile anziché adirare gli spiriti.

«Tu non puzzi affatto come Emily! Emily puzza come come gli uomini cattivi che vivono oltre le spine di ferro!» esclamò Lulu con voce sprezzante.

«Le spine di ferro intendi i cancelli?» chiese Bucky e annuii. «E quindi puzzi?»

Sospirai scocciata. «Ho il sangue dei Graves nelle vene e per loro puzza, ma in genere tutti gli Antimaghi hanno del fetore per le fate. Li conosco da quando ero piccola e mi tengono compagnia, di tanto in tanto. Se resterai è bene che tu conosca i tuoi vicini, e i veri proprietari della foresta.»

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