XXIV

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Le settimane successive, straordinariamente, furono tranquille e ci fu qualche sorpresa. Pensavo che con l'arrivo di Bucky il mio umore sarebbe peggiorato, così la mia routine, al contrario rimase tutto più o meno uguale.

La mattina ci alzavamo all'alba per andare nei boschi e trascorrevamo quasi tutta la mattinata in mezzo alla natura, talvolta mangiando insieme vicino al ruscello. Quando avevamo giorni particolarmente buoni e avevamo cacciato abbastanza prede, ci limitavamo a fare delle passeggiate. Gli insegnai tutto quello che sapevo su quei territori e sulle erbe che poteva trovare nei paraggi, come il biancospino, l'iperico e la salvia. Altre da cui tenersi alla larga, quali l'aconito, la cicuta o la belladonna. Gli feci conoscere gli spiriti dei boschi, le fate che mi avevano dato la mano da piccola, che abitavano tra i funghi e le cortecce degli alberi. I pixie guardarono incuriositi il mercenario per molti giorni, a volte tentavano di avvicinarsi di nascosto per toccarlo, ma appena lui li notava e si voltava scappavano via, agitando le loro ali sottili. Odorava troppo di metallo dato che passava varie ore a limare i suoi coltelli e pulire i fucili, a volte sfiorava il logorroico, e per quello alle fate non andò mai troppo a genio.

Non potevo andare in città, altrimenti mi sarebbe piaciuto andare a fare un giro con Queenie e Callum, d'altronde non pensavo più di mettere nei guai Bucky di proposito. Anzi, a volte pensavo di portarlo con me e immaginavo di andare nei bar tutti insieme, a parlare come persone normali. Quando poi lo guardavo stringersi i lacci degli scarponi persino d'estate e caricare la pistola, mi ricordavo che non fosse un amico o un ospite da prendere sottomano.

Bucky cercò di sdebitarsi insegnandomi qualcosa di sopravvivenza, o giusto un po' di aggiornamenti dal mondo esterno. Mi impedì di proseguire con la mia tecnica di nodi e me ne mostrò alcuni vari, savoia, inglese o piano, spiegandomi le differenze e gli usi di tutti.

Dopo pranzato, stavo con Balthazar, Bucky o i miei cugini. Con Balthazar mi dedicavo alla lettura di qualche vecchio tomo di magia noioso, rischiando di addormentarmi ad ogni paragrafo, mentre il mago e il mercenario crollavano esausti sul prato. Se venivano Queenie, Callum o Tommy (le rare volte che suo padre lo faceva uscire dai suoi alloggi) stavamo nell'orto, giocavamo e parlavamo nei boschi. Seppure il soldato ci seguisse cominciò a lasciarmi più spazio libero e gliene fui grata.

D'altra parte, se quei bei pomeriggi soleggiati li passavo con lui, ad un tratto gli venne la straordinaria idea di insegnarmi a sparare. Montò delle bottiglie molto lontano e le ruppi tutte. Ne fu compiaciuto. Le pistole di quel genere erano il mio forte, persino le cameriere dei Graves conoscevano la mia abilità e mi paragonavano a mio padre. Provai allora il fucile d'assalto di Bucky per sfizio, però quando mi volò via dalle mani per il rinculo e mi ruppe quasi la spalla non volli più toccarlo e lo maledissi.

Allora si appese all'idea di allenarmi da sé e Balthazar mi prese in giro a lungo. Ero brava nelle arti del combattimento, ma con Bucky come avversario era tutt'altra storia: era tre volte più forte e massiccio del mago e non aveva un briciolo di energia magica, il che mi rendeva impossibile anticipare le sue mosse. Mi educò al meglio e imparavo in fretta, imitandolo, tuttavia non c'era verso di mandarlo al tappeto senza la magia. A volte pensavo che gli facesse piacere prendermi un po' a calci nel culo, giusto per darmi una salata lezione per via del mio sarcasmo.

Di sera mangiavamo all'aperto e ci stendevamo sul prato a osservare le stelle fino a notte fonda, quando calava il freddo.

Le uniche volte in cui Bucky scompariva dalla mia vita era quando marciava diretto verso la casa di mio padre, ogni tre giorni puntuali, e tornava dopo un'ora. Riferiva un costante "niente aggiornamenti" ed era abbastanza frustrante.

Bucky aveva una moto, anche se il rumore era più quello di un carrarmato. Era una Harley Davidson con un telaio rosso fiammante, sella di pelle, con cerchioni e forcelle lucidi. Gli chiesi di portarmi a fare un giro in città, lo supplicai almeno mezz'ora, promettendogli che sarei restata sempre al suo fianco. Volevo fare un giro a Portland, mangiare un gelato menta-amarena, assurdamente dolce e amaro allo stesso tempo, però non mi accontentò. Accampò varie scuse e cercai di prendere il divieto abbastanza bene. Ero abituata a Balthazar, ai suoi "no" vaghi e illusori che in realtà erano un "fai quello che vuoi, basta che torni e dai fastidio a tuo padre".

The falloutWhere stories live. Discover now