Capitolo 6

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Ero al volante di notte contando ogni minuto. Dovevo assicurarmi di oltrepassare il punto in cui la polizia si fermava per controllare le macchine e assicurarmi di stare nei tempi previsti. Gli altri dormirono beati nei sedili posteriori e ogni tanto lanciavo loro uno sguardo attraverso lo specchietto assicurandomi che stessero bene. In macchina avevamo messo tutto quello che serviva: computer di Shelley, kit di Brice e oggetti utili. Di certo non poteva mancare il Saturn V che tenevo gelosamente custodito nel vano porta oggetti sul cruscotto.
Sospirai malinconico e sprofondai leggermente nel sedile a ripensare quante volte avevo percorso quella strada con i miei genitori. Potevo riconoscere quel solito pino che si trovava alla curva di metà strada e il ponte poco dopo. Subito mi tornò in mente uno degli ultimi viaggi verso la casa in montagna, era solito ascoltare una canzone in particolare per intrattenimento e per far si che non ci si perdesse nel silenzio.
«Dai Sam canta anche tu!» Mi invitò la mamma nel duetto mentre papà cantava alla guida. «But when you worry you make it double» la mamma assecondò il buon umore di papà facendo finta di avere un microfono che portò davanti alla bocca di mio padre «Don't worry,» la mamma poi passò il microfono immaginario a me e io finii la frase «be happy» poi tutti insieme ripetemmo la stessa frase come nella canzone.
Un giorno che non avrei mai dimenticato, come tutti gli altri bei ricordi della mia breve infanzia. E come in quel bel ricordo canticchiai, piano per non disturbare chi dormiva, quella canzone positiva. «Don't worry, be hap-» Ma a metà frase mi si spezzò la voce e una lacrima decise di scivolare sulla guancia. La mia vista era annebbiata per gli occhi lucidi quindi li asciugai in fretta e cercai il controllo che avevo sempre avuto in queste situazioni.
Inghiottii il groppo che mi si era formato in gola e lasciai che il silenzio mi opprimesse.
«Don't worry, be happy.» Sentii pronunciare nei sedili posteriori quindi alzai lo sguardo nello specchietto retrovisore e appurai che Shelley era sveglia e mi guardava. Distolsi subito lo sguardo e mi concentrai sulla guida.

Il viaggio si rivelò troppo lungo per il pieno di benzina, quindi fummo costretti a fermarci al benzinaio più vicino. La notte era finita e stava iniziando a sorgere il sole quindi Brice si stiracchiò mentre faceva benzina. Bussò al finestrino del guidatore per attirare la mia attenzione, poi col pollice mi indicò di andare nei sedili dietro per il cambio turno. Non obiettai e fui felice della sua iniziativa. Mi spostai agilmente nei sedili posteriori vicino a Shelley mentre Brice ritraeva la pompa della benzina e rientrava in macchina. Mise in moto e partimmo.
«Che ne dite di un po' di musica?» io non risposi guardai fuori dal finestrino assorto nei miei pensieri. Non feci caso alla musica finché non partì proprio quella...
«John, credo sia meglio cambiare stazione» Disse Shelley ma interruppi il movimento di Brice dicendo «No va bene così» guardando la radio poi Shelley. «Ho bisogno di collegare questa canzone a eventi più piacevoli» dissi piano portando lo sguardo fuori dal finestrino. «Perché non ti riposi? Se non lo fai le emicranie saranno sempre più forti dato il forte stress a cui sei sottoposto» Mi consigliò il dottore, lo guardai dallo specchietto e abbassai lo sguardo «Se ci riuscissi probabilmente lo avrei già fatto.»
«Quando avevi intenzione di dirci che hai problemi a dormire?» chiese preoccupata Shelley
«È rilevante?» Chiesi alzando le spalle
«Chiede se è rilevante» Ridacchiò Brice «Certo che è rilevante Sam. Stiamo parlando della tua salute. Se non dormi bene ne esci matto, te lo dico io.» avevano ragione, assolutamente ragione ma perché farli preoccupare quando si trattavano solo di incubi che mi tenevano sveglio la notte? «Nel mio zaino ho del sonnifero.» Disse John rompendo il ghiaccio «Non mi aiuterebbe comunque.» Risposi sistemandomi meglio sul sedile «Gli incubi non si arrendono facilmente. È per questo che non ho voluto dirvelo.» sospirai.
«D'accordo» Disse Brice.
Quella fu l'ultima parola pronunciata fino al raggiungimento della casa. Una volta parcheggiato scesi dalla macchina e osservai quella casa inghiottita da edera e altri vegetali. Non era cambiata poi molto. Splendida come la ricordavo, e questo mi fece sorridere. Si affiancarono i miei complici e l'ammirarono anche loro in tutta la sua possenza. «Beh per quel che vale, è una bellissima casa. Lontana da tutto e da tutti.» interruppe quel silenzio il signor Brice. «Ricorda molto la mia vecchia casa» Aggiunse poco dopo e potei udire un accenno di malinconia. Lo guardai in modo discreto. Sapevo a cosa si riferiva, in quel momento probabilmente stava pensando a Jackster.
Lasciammo le cose futili in auto e portammo tutto dentro, fu proprio allora che l'ambiente mi fece saltare un battito «È proprio come...» serrai le labbra non continuando la frase, subito una mano si posò sulla spalla e sapevo che si trattava di Shelley che mi diceva indirettamente che loro erano con me e che sarebbe andato tutto bene.
Sospirai prendendo coraggio e avventurandomi nello studio di mio padre. Era il primo luogo ovvio dove cercare qualsiasi cosa di utile. Mio padre di certo era un uomo meticoloso e astuto quindi forse quella stanza era troppo ovvia, ma tentar non nuoce.
Setacciai da cima a fondo, ogni libro, ogni cassetto, su ogni ripiano ma apparentemente nulla sembrava fuori posto, persino la pistola calibro 12 era al suo posto. Questo fece sì che un dubbio si instradò nei miei pensieri. «Possibile che mio padre non abbia uno scomparto nascosto qui in ufficio?» Mi girai osservando per un attimo la stanza senza muovermi. Doveva esserci un posto, un cassetto segreto, un doppio fondo magari. «Infondo mio padre spendeva molto tempo qui dentro.» riflettei tra me e me. Mi avvicinai alla scrivania perso tra i pensieri e i ricordi ma qualcosa attirò la mia completa attenzione. «Questo certo non c'era prima» dissi sfiorando con le dita dei solchi sulla scrivania. Seguii le linee fin sotto di essa scoprendo una maniglia, la tirai a me e aprì un piccolo cassetto. Al suo interno c'era solo un hard disk senza scritte.
«Se eri così ben nascosto servirai a qualcosa.» dissi prendendo il disco e richiudendo il cassettino. «Sam vieni in salone!» Mi chiamò John. Misi in tasca l'hardisck e mi avvai al salone come chiesto. Vidi Brice e Shelley spalla a spalla chinati a vedere qualcosa, mi davano le spalle quindi non riuscii a vedere l'oggetto del loro interesse. Quando mi avvicinai Brice mi guardò e fece un piccolo sorriso poi mi mostrò l'oggetto. Era l'album fotografico dei viaggi che io e mio padre avevamo fatto. «Credo che dovresti portarlo con te.»
«Si... forse hai ragione» quei ricordi felici e spensierati mi fecero sorridere. Spesi un paio di minuti per rivedere le foto e dovetti ammettere che rivedere la faccia di mio padre nelle foto non fece così male come nel video. Forse perché lo ritraevano felice mentre nel video nonostante sorrideva si vedeva che era preoccupato. Quando chiusi l'album mi ricordai del disco esterno che avevo trovato quindi lo tirai fuori dalla tasca e dissi «Ho trovato questo. Era nascosto bene quindi potrebbe essere utile.» Shelley lo prese annuendo sapendo già cosa fare e pochi secondi dopo si accomodò sul divano a gambe incrociate con sopra il suo portatile. Inserì il disco esterno e lo analizzò mentre io e Brice continuammo a cercare per la casa. Mentre stavamo analizzando l'ambiente delle varie stanze, Brice ruppe il silenzio.
«Ascolta Sam, non nascondo il fatto che sia una situazione pazza e forse è il momento meno indicato ma sappi che conosco il tuo dolore... Jackster è... era tutto per me.» Disse sedendosi sul letto matrimoniale dei miei genitori «Quindi se vorrai mai confidarti. Beh... lo sai.» Mi sedetti anche io accanto a lui e annuii. «Grazie Brice.» guardai le mie mani mentre lo dicevo, non pensavo che sarei mai riuscito a sostenere lo sguardo di qualcuno in quel momento. «Come l'hai superata?» Chiesi infine. Era strano parlarne con qualcuno ma sapevo che era l'unico modo per andare avanti. Sbuffò «Beh... in un certo senso non l'ho ancora fatto, soprattutto stando in gruppo con te.» a questa affermazione non potei fare a me di guardarlo, ero confuso... cosa voleva dire?
«In che senso?» Chiesi subito.
«Jackie era molto simile a te. Avete gli stessi atteggiamenti, stessa parlantina. Persino quando torni con le ferite e ti devo mettere i punti.» ridacchiò senza traccia di divertimento. «Quando ti guardo non riesco a fare a meno di pensare a lui e a quanto sono stato stupido. Un egoista. Se non fossi stato una testa calda probabilmente sarebbe ancora vivo...»
«Brice non è certo colpa tua...» non mi fece finire che replicò «È colpa mia, Sam.» si portò indice e pollice ai lati del naso corrugando la fronte «Se non mi fossi arrabbiato, lui non avrebbe mai preso la macchina e non avrebbe avuto l'incidente.» Mi guardò e per la prima volta sul suo viso vidi del senso di colpa che lo stava prosciugando. Stavo per rispondere ma Shelley ci chiamò dal salone quindi la rangiungemmo «Cosa c'è cervellona?» domandò Brice.
«Ah Ah» rise sarcasticamente al commento «Comunque l'hardisck che ha trovato Sam è una miniera d'oro.» si fece sfuggire un sorrisetto mentre digitava dei codici sulla riga di comando. «Luoghi, eventi passati, file segreti, foto... c'è di tutto! Persino una canzone.» esclamò la ragazza ma si fermò subito «Aspetta» navigò ma non gli diedi importanza trovando molto più interessante il fatto che la casa non fosse cambiata dall'ultima notte in cui ci ero stato. «Torno subito» dissi guardando il corridoio di casa e subito dopo mi diressi lì.
Poco prima della mia camera mi fermai, guardai i muri, il pavimento, la porta. Eppure sembrava tutto pulito. Troppo pulito. Avevo sentito gli spari e poco dopo il motore di una macchina, quindi non avrebbero avuto il tempo per pulire tutto. Aprii la porta della mia camera e, come mi aspettavo, era vuota.
Abbandonai le speranze di trovare qualsiasi cosa e, proprio mentre ritornavo in salone, dopo una chiamata da parte di entrambi i miei amici, il mio sguardo finì nuovamente per terra. Proprio allora intravidi qualcosa. Le assi del parquet erano diverse dalle altre e questo mi incuriosì, tanto che mi inchinai e scoprii che una di esse si sollevava facilmente. Intravidi qualcosa, un piccolo oggetto metallico che raccolsi, subito capii che si trattava di un bossolo di una calibro 12.
Misi in tasca il bossolo e ritornai dagli altri «Sam, c'è...» iniziò Shelley ma non sapeva come continuare quindi prese la parola Brice «C'è un file video, recente. Sembra che si tratti di-» si schiarì la gola «Sembra che sia di tuo padre.»
Lo guardai incredulo, poi una risata altrettanto incredula li sconvolse «Non prendetemi per il culo.»
«Sam, io..» non la lasciai finire che subito urlai «No!» un urlo di rabbia e tristezza «Non posso riporre altre speranze!»
«Sam calmati» si avvicinò Brice con voce pacata «Calmarmi?» ripetei con tanta rabbia in corpo «Mi state dicendo che mio padre, morto 14 anni fa, ha salvato recentemente un video su quel coso» portai una mano sulla fronte chiudendo a forza gli occhi per il dolore lancinante che la rabbia mi aveva provocato. Mi allontanai, mi rifuggiai dall'altra parte della stanza appoggiandomi al muro. C'era Brice che mi parlava ma non ascoltavo, non riuscivo a capire cosa stesse dicendo. «Sam! Guardami!» sentii infine dalla sua voce forte e profonda. Quel comando non potevo evitarlo quindi voltai la testa come da lui ordinato. «Hai emicranie vero?» Disse con più gentilezza mentre analizzava qualcosa sul mio viso. Scossi la testa, ovviamente mentii, e nonostante il senso di acido in bocca, mandai giù ogni tentazione di vomitare. Le emicranie mi facevano sempre questo brutto effetto e John lo sapeva. Inghiottii prendendomi tempo per tranquillizzarmi poi disse «Non hai una bella cera. Vai a riposarti, penseremo più tardi al resto.»
Neanche il tempo di ribattere che con una piccola siringa mi ignettò un liquido «Ti aiuterà a dormire bene» dovevo immaginarmelo da Brice. Si preoccupava sempre troppo. Ma sapevo che più tardi lo avrei sicuramente ringraziato per il dovuto riposo che non mi riuscivo a concedere da un po'. In pochi secondi le mie palpebre divennero pesanti e la gravità gravò sul mio intero corpo ma non ricordo di aver mai toccato terra. Ricordo però qualcuno che mi teneva e che ripeteva che fosse l'unico modo per alleviare qualsiasi cosa avessi.

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