Capitolo 5

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«Gentilmente potresti spiegarci ancora una volta come sei venuto a conoscenza della scheda?» Mi chiese Brice con finta gentilezza mentre si sedette comodamente su una sedia.
«Ho un contatto affidabile all'NSA.»
«NS... Ma sei ingenuo?» Sbottò Brice «Hai sentito tuo padre?! E ti sei già dimenticato che appena ti vedono sei come un bersaglio per i federali?»
«Crede nel nostro paese e con tale credenza aspira a purificarlo dalla corruzione. Quindi metti da parte le emozioni e segui il piano.»
«E ti bevi davvero una cazzata del genere?»
«Non devo giustificarmi con te. Ma sappi solo che senza il suo aiuto non avremmo la scheda, ergo nulla su cui lavorare.» sospirai stanco posando un palmo sulla fronte. Chiusi gli occhi. Non avevo ancora distolto l'attenzione da quello che aveva detto mio padre alla fine del video, e non riuscivo a togliermi dalla testa il ricordo della notte in cui furono uccisi i miei genitori.
«Okay, è stressante per tutti quindi... facciamo una breve pausa.» Intervenì Shelley prima che Brice potesse controbattere. Quest'ultimo si alzò e andò nella sua stanza lasciando me e Shelley da soli.
«Deve essere stato difficile per te vedere quel video.» Disse dopo infiniti secondi di silenzio.
«Già...» Confessai «Mi manca così tanto.» Aggiunsi liberandomi un po' dalla tristezza che stavo cercando di contenere. «Sono quattordici anni, Shelley... Quattordici anni in cui sono andato avanti con la speranza di poterlo incontrare un giorno.» Anche se dimostravo rabbia, delle lacrime amare e piene di tristi speranze solcarono il mio volto.
«Sai che non sono tipo da smancerie, pertanto ti dirò che se mai vorrai liberarti del peso che porti nel cuore, puoi contare su di me. Perché ci sarò.» Fece scivolare una mano sul mio braccio, un gesto per confortarmi. Era stata una vera amica in quel momento di debolezza e le ero grato che nel momento del bisogno lei c'era, perciò annuii.
«Per quel che vale, non ho mai dubitato del tuo intuito. Soprattutto dopo aver letto segretamente il biglietto di tuo padre...» Mi confessò «Spero che non sia un problema...» Si preoccupò subito di vuotare il sacco.
La guardai senza lasciar trasparire nulla «Lo so. So che lo hai letto.»
Sembrava sorpresa e, invece di cercare di giustificarsi, rimase in silenzio. Restammo per un po' così, finché Brice si sedette di nuovo sulla sedia, ci guardavamo come se due cani stessero cercando di proteggere il proprio territorio ma interruppi quella messa in scena «Ascolta Brice, so che deve essere strano per te lavorare con me, ma dobbiamo restare uniti se vogliamo vincere questa guerra.» Continuò a non dire nulla tenendo lo sguardo su di me «Perciò se vuoi andartene sei libero di farlo, ma se invece resti, dovresti ricordarti che anche se non vi dico tutto, vi potete fidare di me.» Continuai. «Nessuno più di me vuole morti quei bastardi.» Distolsi lo sguardo arrabbiato stringendo le mani a pugno per scaricare leggermente i miei nervi.
Annuì. «Lo so.» Disse «Non prometto nulla ma quello che mi fa davvero irritare è che ci tieni sempre all'oscuro di tutto.»
«John...» Intervenì Shelley «Sai come è fatto Sam. Sai che lui non agirebbe mai per far del male a noi o agli altri.»
Brice guardò lei poi spostò l'attenzione su di me. «Sam ti stimo. Davvero» annuì per farmi capire che diceva la verità «Ma dovresti fidarti anche tu di noi.»

~~~

Le parole di Brice mi stavano tormentando. Si ripetevano fino alla nausea nella mia testa, non mi davano pace. Nonostante davo il massimo per concentrarmi in un piano perfetto, la mia attenzione si spostava facilmente a quelle parole «dovresti fidarti anche tu di noi». Non lo presi come un insulto o un consiglio, Brice volente o nolente aveva ragione. E ciò mi portò a pensare che anche mio padre me lo ripeteva da piccolo.
Eravamo al New York Botanical Garden per una sorta di gita. In realtà mio padre mi portava spesso in giro per farmi vedere più cose possibili. «Lo faccio per stimolarti, campione» diceva sempre «Sei un piccolo genietto ma voglio che trovi qualcosa che ti appassioni come me con l'ingegneria spaziale».
Mentre stavo ammirando le diverse specie di farfalle tenendo la mano a mio padre, lui cambiò strada avvicinandosi a un uomo vestito in modo un po' buffo. Dietro di lui si ergeva una immensa porta vetrata da cui si poteva ammirare solo una minima parte della meraviglia che conteneva al di là della soglia. L'uomo e mio padre parlarono di un piccolo giro di cinque minuti e lì per lì non capii cosa intendessero. Quando conclusero il dialogo mio padre si piazzò d'avanti a me e si inginocchiò per stare alla mia stessa altezza.
«So che sarà difficile, ma... che dici vuoi tentare?.»
Inclinai la testa mostrando confusione sul mio volto.
Mio padre ridacchiò poi mi pizzicò la guancia delicatamente «Questo giardino botanico ha un'area aperta alle visite solo per oggi. Ci sono coppie di animali e insetti di ogni sorta e specie.» Si fermò qualche secondo per guardarmi bene poi riprese a parlare «So che hai paura delle api e li dentro ce ne sono.» Portò la sua mano dietro la mia nuca in segno paterno. «Entriamo e facciamogli vedere che noi siamo grandi e grossi, e che loro non potranno nulla contro di noi» Usò un tono molto teatrale come per descrivere dei supereroi, ma non vedendomi convinto avvicinò il suo volto nel mentre spinse delicatamente la mano dietro la mia nuca per far scontrare le nostre fronti. «Finché staremo insieme niente e nessuno ti toccherà. Non lo permetterò. Ti fidi di me?» Sussurrò.
Annuii. Su mio padre non c'era dubbio, di lui ci si poteva fidare anche ad occhi chiusi. Così entrammo in quell'area meravigliosa ma spaventosa al tempo stesso. Il ronzare delle api mi entrava nelle orecchie e mi tormentava il cervello. Strinsi più forte la presa sulla sua mano e in risposta mi avvicinò ancora di più a se.
Avevo un terrore irrazionale delle api, ma mi aiutò a superarlo. Pochi minuti dopo si inginocchiò un'altra volta davanti a me e mi disse «Come stai andando?»
Non volevo dimostrare debolezza ma potevo fidarmi di lui quindi dissi la verità «Ho paura.»
«Campione, è normale avere paura.» Mi arruffatò i capelli «Ma sei qui lo stesso, questo fa di te un ometto coraggioso.» sorrise teneramente per infondere tranquillità come solo lui sapeva fare. «Allunga un braccio verso di me» porse la mano aspettando che io gliela prendessi e non ci volle molto prima che mi decidessi a farlo.
Delicatamente afferrò la mia manina e con l'altra porse il palmo verso l'alto aspettando qualcosa. Bastarono pochi secondi prima che un'ape si posasse sul suo palmo. Lentamente avvicinò la mano al mio braccio e improvvisamente diventai teso. L'ape stava per salire sul mio braccio ma, guardando mio padre che aveva i suoi occhi fissi nei miei mi aiutò a non pensarci. L'ape quindi si avventurò qualche secondo su di me prima di volare via e tornare al suo alveare.
Sorrisi divertito consapevole del mio coraggio nell'affrontare quella piccola paura.
Odiavo ammetterlo ma Brice ragionava, qualche volta, come mio padre e più questa somiglianza era evidente più la sua mancanza si faceva sentire. Ma la colpa non era di certo di John...

Dovetti usare tutte le mie forze per alzarmi da quella sedia e andare a scusarmi con Brice. Quando non si faceva vivo nella sala generale, si rintanava o nella sua camera oppure prendeva una boccata d'aria per rilassarsi e magari per pensare a qualcuno a lui caro. Così uscii con la scusa di voler cambiare aria. Ma appena messo un piede fuori un mal di testa pungente si fece strada nella mia testa.
Fortunatamente non dovetti sprecare tempo a cercare il mio amico perché lo trovai intento a consumare un pacchetto di gomme per sconfiggere la sua dipendenza dalle sigarette.
«Ehi..» lo chiamai, prontamente si girò e mi guardò un paio di secondi prima di ritornare ad ammirare il cielo. Intuii che non aveva intenzione di proferire parola quindi mi appoggiai alla ringhiera della veranda e continuai a parlare «Mi spiace»
Brice a quel punto ridacchiò «È difficile sentirti dire queste cose.» non potei dargli torto, quindi preferii continuare le mie scuse «Alcune volte mi sento abbandonato e mi rinchiudo in me stesso. E penso che se inizio a fidarmi di qualcuno questo sparirà come hanno fatto gli altri.» poggiai i gomiti sul parapetto e guardai le mie mani ciondolare. «E se capitasse qualcosa a voi perché vi confido il piano? E se cercano di estorcervi informazioni? E se vi-»
«Sam.» con voce risoluta Brice mi fermò «La gente va e viene e non sei tu a deciderlo. Tutti noi abbiamo paura di qualcosa ma bisogna esporsi per fare quello che stiamo facendo noi. Io e Shelley abbiamo accettato conoscendo i rischi.» Fece una pausa ed io alzai lo sguardo per guardarlo. «Se non mi fidassi di te non sarei qui ora. So che cerchi di proteggerci ma sappiamo badare a noi stessi.» posò la mano sulla mia spalla per poi darmi qualche pacca prima di rientrare.
Restai lì per un po' per riorganizzare i pensieri e mi resi conto che il cielo non era stato così limpido da tanto tempo.

***

«Okay squadra oggi faremo un viaggetto.» Dissi stendendo la mappa sul tavolo mentre Shelley sedeva davanti al computer e Brice giocava con uno yo-yo in un angolo della stanza. Entrambi si girarono a guardarmi e all'unisono chiesero «Come?»
«Dicevo...» dissi «Andremo fuori città, più precisamente alla casa in montagna dove andavo da piccolo.» indicai sulla mappa il luogo preciso «È un po' lontana quindi dovremmo fare a turni e visto che l'unica che non può guidare è Shelley ci dovremmo arrangiare noi due» indicai prima Brice e poi me stesso. «Ehi fermo ragazzo» Disse Brice «Con così poco preavviso... perché tutta questa fretta?»
«Questo perché quella casa è una miniera di informazioni. Lì c'è stato mio padre e tutte le sue cose sono rimaste lì. La casa non è stata mai venduta.»
«E come la mettiamo con i federali. Anche se c'è la possibilità di non incontrarli, c'è sempre la possibilità di incappare in sbirri per strada.»
«Ho studiato ogni particolare. Fidati.» Una volta detta questa parola una fitta al petto mi obbligò a fermarmi qualche secondo. I ricordi di me e mio padre mi stavano dilaniando dall'interno. Poggiai entrambe le mani sul tavolo con lo sguardo sulla mappa, poi ripresi a parlare. «Quando c'è un ricercato i poliziotti cambiano turno ogni 3 ore lasciando un buco scoperto di almeno 2 ore. Di notte ci sono meno turni, uno ogni 4 ore. Basandomi su esperienze passate i turni durano da un'ora alle 3 ore.» Mi tirai su facendo finta di nulla e li guardai. Notai preoccupazione nei loro occhi ma non volevo che i miei problemi diventassero anche i loro. Quindi interruppi quel silenzio imbarazzante e quel contatto altrettanto preoccupante «Quindi... preparate gli zaini e...» guardai Brice per 3 secondi prima di prendere la mappa e dirigermi in camera «Riposate. Viaggieremo di notte. Faccio io il primo turno.» Andai in camera e mi chiusi la porta alle spalle. Lo stress in quella stanza era altissimo e non seppi dire se era solo un mio sentore o se era per tutti così.

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