Capitolo 15

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Michael mi aveva già fatto il prelievo per analizzare il mio sangue e stavamo tutti aspettando l'esito.
La trasfusione era andata bene, senza complicazioni, e dovetti ammettere che pensai sollevato «Meno male, una cosa che va a finire bene» e potei sospirare di sollievo. Sapevo che in casi rari la trasfusione poteva dare problemi ma, per fortuna, la sfortuna che arieggiava intorno a me non mi aveva ancora colpito quel giorno. «Scommetto che non ce la fai»
«Ah fanculo. Ora ti faccio vedere io.» Brice e Shelley stavano occupando il loro tempo facendo delle piccole sfide, come in quel momento. Shelley aveva appena provocato Brice a chi teneva gli occhi aperti il più allungo possibile. Non resistetti a far schioccare le mani nel bel mezzo del silenzio per far spaventare uno dei due. E ci riuscii tanto bene che feci chiudere gli occhi a Shelley dallo spavento. «Ah ah! Ho vinto.» disse Brice. Ogni tanto mi capitava di non credere che avesse trent'anni. «Ehi non vale! Sam mi ha spaventata.» si sbrigò a giustificare la povera creatura che pochi istanti prima s'impaurì.
«Pensavo» iniziai a dire per debellare ogni possibile scintilla di litigio «Ma se usate questo tempo per conoscervi meglio, invece di sfidarvi inutilmente?» si guardarono qualche secondo tra loro e poi guardarono me «Quello che volevo sapere ora lo so.» disse Brice «Io penso già di conoscerlo» Mi informò Shelley.
«Ah davvero?» dissi sarcastico «John sapevi che Shelley se avesse continuato a studiare sarebbe andata al MIT?» John subito sgranò gli occhi «Cosa?! E perché hai smesso di studiare?»
Shelley spostò una mano dietro la nuca a disagio «Non potevo permettermelo anche se avevo ricevuto una borsa di studio.»
Ma subito cambiai discorso «Shelley sapevi che John non è il suo nome completo, ma è Jonathan? Le leggende dicono che si sono ispirati a Star Trek Enterprise.» sorrisi vittorioso vedendo la faccia di Shelley che s'illuminava. «Oddio, perché hai dovuto dire una cosa così imbarazzante» Brice si coprì il viso con una mano poggiata sulla tempia «Credimi. Per noi non è imbarazzante» dissi ma non feci in tempo a concludere la frase che Shelley urlò dall'entusiasmo «È davvero ispirato a Jonathan Archer, capitano dell'Enterprice?» li lasciai conversare un po' su quanto la serie tv fosse il massimo esponente della loro infanzia e su quanto alcuni personaggi dimostravano un fascino quasi illegale.
La mia mente però viaggiò verso altri ragionamenti, e quello che più di ogni altra cosa non riuscivo a capacitarmi fu il povero ragazzo trovato per strada. Nutrivo molti dubbi su di lui perché mi sembrava così familiare ma al tempo stesso irriconoscibile. Non riuscivo a capacitarmi di questa sensazione.
Quel ragazzo... chi era? Perché fu picchiato a sangue? E chi mai avrebbe fatto qualcosa del genere?
Le mie perplessità crescevano sempre di più che quasi arrivai alla conclusione che tutta la faccenda fosse solo una mera coincidenza... o che forse poteva essere qualcosa di organizzato. Subito però scartai l'ipotesi, un uomo che accetta a farsi picchiare? E per cosa? «Terra chiama Sam» Shelley fece sventolare una mano davanti alla mia faccia per attirare l'attenzione. «Scusami, dicevi?» Chiesi spostando i miei pensieri sulla loro conversazione. «Ti stavo chiedendo se ti sentissi bene, sembri distante.» disse con una punta di preoccupazione «Ti preoccupano gli esami?» chiese John riferendosi al sangue ma scossi la testa «No no, gli esami avranno esito positivo. Non stavo pensando a quello.» li rassicurai «Mi domandavo...» iniziai a dire sistemandomi meglio sul lettino a disagio «Mi incuriosisce quel ragazzo che abbiamo ospitato. Il suo volto mi sembra conosciuto ma...» sbuffai grattandomi la nuca «Per non parlare del fatto che è stato picchiato quasi a morte e se n'è andato all'ospedale come se non fosse successo nulla di grave.»
«Cosa stai insinuando?» chiese curiosa Shelley. «Non lo so.» risposi «Ma ho la sensazione che la cosa più giusta da fare è parlare con quel ragazzo.» conclusi il mio ragionamento.
«Come facciamo a trovarlo?» domandò Brice con tono serio e leggermente annoiato «Così mi offendi.» intervenì Shelley prima che potessi prendere parola «Hai in squadra una persona che ti sa disattivare in meno di tre secondi le telecamere di mezza Manhattan, e tu chiedi come facciamo a rintracciare qualcuno?» continuò con tono offeso. Brice la guardò qualche secondo poi spostò lo sguardo su di me e chiese «Allora come facciamo?» come se non avesse sentito nulla di quello che Shelley disse. «Ma sei serio?» chiese Shelley con tono alto e più offeso di prima. In risposta Brice rise a crepapelle «Ti stavo prendendo in giro!» cercò di dire tra risate fragorose.
«Se tenti di essere divertente, mi dispiace dirlo, ma non lo sei. Per niente!» enunciò la poveretta cercando di avere l'ultima parola. Tra questi battibecchi intervenii fermando quello scambio di battutine con un leggero cenno di offese. «Ok... ok...» alzai le mai per essere sicuro di avere tutta l'attenzione «Ragazzi basta. Concentriamoci su cose importanti.» subito si zittirono e si guardarono lanciandosi a vicenda un'ultima battuta. «Come farai a tracciare l'ID?» Chiesi distraendola da quel commovente scambio di sguardi omicidi. «Internet ha fatto faville negli anni.» disse accendendo il proprio portatile «Con un semplice click posso sconvolgere la vita di tutti» disse con voce teatrale «Alla fine grazie a un giro di comandi posso capire chi è, dove vive e la sua cronologia internet.» disse digitando qualcosa. «A noi interessa solo dove vive e chi sia. Lascia perdere la cronologia. Piuttosto quanto pensi ci vorrà per...»
«Fatto» girò il portatile verso la mia direzione non lasciandomi il tempo di finire la frase.
Brice la guardò stupefatto: occhi sgranati, labbra schiuse con l'intento di voler dire qualcosa, fermo statico senza dire una parola. Lo stesso io. Sapevamo bene entrambi che Shelley era una maga di computer e che veramente poteva sconvolgere la vita a qualsiasi persona.
«Beh? Cosa sono quelle facce?» chiese rompendo il silenzio «Fai sembrare che sia tutto così facile.» dissi una volta tornato in me, e subito Brice mi indico e diede ragione a quello che avevo detto «Esattamente!» confermò annuendo.
«Comunque...» ripresi a parlare schiarendomi la gola «quindi si trova...» guardai meglio lo schermo «... nell'Illinois?» Chiesi conferma per vedere se avevo visto bene «Precisamente a Springfield.» Mi confermò Shelley rigirando il portatile «Purtroppo non posso scoprire altro. Soprattutto perché ha disconnesso il PC in questo momento.»
«In altre parole?» chiese Brice frugando nelle tasche cercando le gomme da masticare «Ha spento il PC ergo non lo vedo più sulla mappa. Probabilmente usa un dispositivo per mascherare il suo portatile quando è spento.» disse spiegandosi molto meglio.
«Non capirò mai voi cervelloni.» disse sbuffando Brice portandosi una gomma tra le labbra. «Senti chi parla il dottor Brice» disse scherzosamente Shelley.
«Ad ogni modo... quindi ora che facciamo?» cambiò argomento John.
«Beh siamo già nell'Illinois. Dobbiamo solo viaggiare verso Springfield.» dissi pensieroso.
«Dovremmo solo...» iniziò a dire John ma venne interrotto da Michael che aprì la porta. «I valori dopo la trasfusione, sono in netta ripresa. Quindi sei fuori pericolo.» sorrise. Non potevo crederci, ero sollevato nel sapere che stavo migliorando. I miei compagni di avventure esultarono e si abbracciarono a vicenda ma capendo la strana situazione si allontanarono guardandosi sconcertati per un breve momento. Subito decisero di passarci sopra e mi abbracciarono con affetto e speranza.
Decidemmo di ritornare a pensare al ragazzo. Oramai eravamo determinati a scoprire la sua storia, il motivo ma soprattutto chi mai avrebbe fatto una cosa del genere.

Springfield era vicina e con la macchina stavamo setacciando le strade in cerca del ragazzo. Il suo volto era ancora stamapato nella mia memoria, e più riflettevo sul senso di familiarità che mi suscitava, più non riuscivo a capire chi mi ricordasse. Mi frustrava non riuscire a collegare il suo viso a qualcuno che sapevo di conoscere.
«Accosta qui.» dissi a John che aveva insistito a voler guidare. Poco dopo fece come avevo richiesto, ma prima che potessi scendere mi afferrò il braccio «Per l'amor di Dio, Sam fai attenzione. Il mandato di cattura può esser stato esteso anche qui.» annuii «Voi andate nella zona residenziale.» scesi dall'auto e subito bussai al finestrino per farlo abbassare. «Mi raccomando, attenti anche voi.» dissi preoccupandomi per loro. Entrambi annuirono, quindi mi allontanai per far partire i miei amici. Mi guardai in torno e solo allora mi accorsi della bellissima città che era. Proprio come nelle foto che internet ti propone quando cerchi Spingfield. Feci un respiro profondo inalando aria pulita e aromatizzata. Un buon profumo di cibo cucinato proveniente da "Boone's" all'angolo tra la W Eduards St. e la S College St. Conoscendo le strade di quella città, come di tutte le altre, mi incamminai verso quello che pensai fosse il luogo perfetto per cominciare la ricerca di questo ragazzo: Illinois State Museum.
La gente del posto aveva un forte legame con quell'edificio perché molto vicino al Campidoglio.
Il tempo stava andando via via peggiorando ma questo non mi fermò, anzi, mi motivò a sbrigarmi.
Pochi minuti ed eccomi di fronte a quel grande edificio. Molta gente passeggiava lì e altrettanta entrava nel museo anche con passo svelto per via del maltempo. Tra la folla intravidi una persona molto simile al ragazzo che stavamo cercando, quindi lo inseguii a debita distanza. Teneva le mani nelle tasche del suo cappotto nero mentre camminava come se non gli fosse capitato nulla di male recentemente. C'era da dire che probabilmente non era l'uomo che cercavo ma avevo l'impressione che fosse davvero lui. Nonostante cominciò a pioviccicare, l'uomo di fronte a me continuo indisturbato a camminare, senza dare alcun importanza alla fredda pioggia che gli bagnava i capelli e il cappotto. Superò il museo e, prima di svoltare l'angolo per dirigersi verso il campidoglio, si girò. Il suo viso... era decisamente lui. Ammirai i suoi tratti distorti da alcuni lividi e cerotti. Vedendolo sveglio e in piedi mi si accese una lampadina in testa. Sgranai gli occhi finalmente riconoscendolo. Il cuore palpitava e qualche volta saltava uno o due battiti. Crescere lo aveva reso ancora più attraente di quello che non era già prima. Incontrammo i nostri sguardi e dalla sua espressione capii che mi riconobbe anche lui.
Sfruttai la folla per scappare dal suo campo visivo, non sapevo perché ma dovevo andarmene. Una volta al riparo da occhi e orecchie indiscrete attivai il microfono dell'auricolare. «Ragazzi, credo di averlo trovato...» dissi.
«Dicci dove sei.» sentii Shelley dall'altra parte. Mentre stavo per risponderle sentii la presenza di qualcuno. Mi voltai di scatto e lo vidi. Era fermo sotto la pioggia insistente che mi guardava. «Cavolo» sussurrai e con la stessa velocità di un fulmine ripresi il controllo del mio corpo, obbligandolo a proseguire lungo la strada.
Nei paragi non c'era più nessuno, probabilmente per la troppa pioggia e questo non andava per nulla bene. Mi sbrigai, accelerai il passo. «Sam, aspetta!» lo sentii urlare alle mie spalle. «Sam dove sei che ti raggiungiamo» insistette Shelley.
«Ehm...» ero confuso, la mia mante era da tutt'altra parte, ma, appena riportai la testa su cosa stavo facendo, le risposi «Vicino al Campidoglio» il fiato mi si spezzò quando qualcuno mi buttò a terra e si mise sopra di me bloccandomi persino le mani. «Sam ti prego voglio aiutarti.»

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